Caro bollette e materie prime colpiscono anche i forni. Rischiamo di rimanere senza pane?

L'allarme arriva dai panificatori che si trovano ad affrontare aumenti insostenibili e che chiedono un intervento immediato del Governo per calmierare le tariffe. Ne abbiamo parlato con Richemont Club Italia e Assopanificatori che hanno confermato che il rischio di chiudere è reale

01 ottobre 2022 | 05:00
di Silvia Balduzzi

I prezzi dei generi alimentari hanno subito una forte impennata. E anche il pane, alimento base dell'alimentazione quotidiana, non ne è esente. 

Il problema non è solamente delle famiglie italiane, ma anche del comparto panificatori, che nei giorni scorsi è sceso in piazza a Napoli per denunciare che, a causa del caro energia, gas e materie prime, rischia di scomparire. 

A confermarlo sono Davide Trombini, presidente di Assopanificatori Fiesa Confesercenti e Matteo Cunsolo, presidente del Richemont Club Italia (associazione parte di un’organizzazione internazionale, senza scopo di lucro che sostiene l’attività dei suoi soci ai vertici nel settore della panificazione e della pasticceria), e presidente dei panificatori di Confcommercio Milano, che ci hanno raccontato il momento critico che stanno attraversando i panificatori, soprattutto le piccole e medie imprese, che chiedono a gran voce un intervento del nuovo Governo. 

Dal 10 al 35% l’incidenza delle bollette in un anno sui bilanci delle attività

«I rincari sull’energia sono molto forti: ad agosto, per un panificio artigianale, il conto ha superato i 7mila euro quando l’anno prima era di 1.500 euro. Ora il costo dell’energia incide sui bilanci dell’attività per il 35%, nel 2021 era il 10%. Con le parti sociali abbiamo avviato un confronto intercategoriale teso a dare garanzie al consumatore. I rincari, se necessari, cercheremo di concentrarli sui prodotti di nicchia, piuttosto che sul pane abitualmente consumato. Un impegno gravoso per le nostre imprese? Sì certo, ma come molti nella vita. Abbiamo prima di tutto un dovere morale: il pane è una missione sociale, deve restare al centro del consumo alimentare» - spiega Matteo Cunsolo. L’Associazione Panificatori rappresenta 600 aziende a Milano e Città Metropolitana con 1.800 addetti e un fatturato complessivo stimato in 250 milioni di euro.

A rischio le piccole e medie imprese

 «Come presidente di Panificatori Confcommercio Milano posso dire che i nostri funzionari di ConfCommercio stanno chiedendo a Regione Lombardia di attuare una politica che vada incontro alle imprese con maggiori difficoltà. Perché comunque le aziende medio e piccole sono quelle che stanno riscontrando le maggiori problematiche. Una piccola azienda familiare con due-tre dipendenti non ha la forza di un’industria con 300 dipendenti che può intervenire chiudendo un reparto o utilizzando la cassa integrazione. Per un panificio una situazione del genere è impensabile. Lasciare a casa un dipendente in cassa integrazione significa, alcune volte, rinunciare al 50% della forza lavoro, quindi perdendo anche una professionalità importante per il panificio. Un’industria più grande può stoccare a magazzino e fermare per un periodo la produzione. Nelle realtà come le nostre, in cui la produzione è giornaliera, una soluzione di questo tipo è impensabile» - racconta Cunsolo. 

Le richieste a Regione Lombardia

«Abbiamo chiesto a Regione Lombardia di intervenire sul credito d’imposta, di calmierare le bollette e di cercare delle soluzioni che aiutino le imprese a superare questo momento. Perché la cosa che ci auguriamo è che si tratti di un momento, perché se fosse qualcosa di duraturo, tantissime aziende arriveranno a chiudere» - prosegue Matteo Cunsolo. 

 

 Ora bisogna fare sistema, ma a livello Italia

 «Come Richemont Club Italia ciò che posso dire è che, anche confrontandomi con i colleghi su queste tematiche, ci auguriamo che il Governo entrante trovi una soluzione nell’immediato. È vero che siamo panificatori e che parliamo di ciò che riguarda noi, ma questo è un problema nazionale, che riguarda tutti. Forse è il momento per fare veramente sistema, ma a livello Italia. Non serve fare tutti piccole battaglie per settore, ma è giusto unirsi sotto un unico credo che è quello di abbassare le bollette che stanno a tutti arrivando. In questo modo sicuramente avremo un’arma in più».

Un problema anche di concorrenza

Sul tema interviene anche Davide Trombini, presidente di Assopanificatori Fiesa Confesercenti che ha dichiarato: «Il primo motivo di difficoltà per il comparto è presente da diversi anni perché la panificazione artigianale è in crisi a causa del pane acquistato dall’estero surgelato. E questo è un problema che ha messo a rischio e fatto chiudere più di cinque mila aziende. E questo stato di crisi lo registriamo ormai da sei anni.  La concorrenza dall’estero sul pane surgelato si registra soprattutto nella Gdo in cui la clientela si sposta molto anche su questa tipologia di pane, cosa che mette in crisi ovviamente la panificazione artigianale. La concorrenza oggi proviene principalmente dalla Francia e dalla Spagna, che hanno una riduzione dei costi energetici, cosa che li rende molto competitivi. In passato proveniva soprattutto dall’Est Europa».

 La pandemia prima, l'esplosione dei costi poi

 «Poi è arrivato il Covid, che ha dato un’altra stoccata al comparto e, poi man mano, a partire dal 2021 abbiamo visto una crescita dell’energia e delle materie prime. E questo ancora prima della guerra, quindi è un problema di speculazione che è in atto su tutte le materie prime. Materie prime, che vanno dalle farine, dal pomodoro e dall’olio allo zucchero, ai grassi alimentari, come lo strutto, al latte e alle uova, tutti quegli ingredienti indispensabili nel mondo della panificazione. E su questi prodotti abbiamo visto aumenti anche del 100%. Per non parlare del latte, al centro in questo momento di grosse criticità. Abbiamo già dei dati che danno un aumento del 30%-40% sulle materie casearie. L’uso del latte e del burro è arrivato alle stelle. È un anno che stiamo subendo degli aumenti ingiustificati. Non c’entra la guerra, non proviene tutto dall’Ucraina. Io sono allibito perchè non ho mai sentito parlare nessuno di mettere un controllo sulla grande speculazione che sta coinvolgendo tutti i prodotti alimentari» - prosegue Trombini. 

Non è possibile andare avanti in questo modo 

« Poi abbiamo il grande problema che rischia di far chiudere le aziende, che è il caro di energia elettrica e gas. Cosa sta succedendo oggi? Persone che pagavano due o tre mila euro al mese di gas, oggi si trovano a dover saldare 12-13mila euro. Andando avanti tre mesi in questo modo, con un esborso in più di 30-40 mila euro e, in questo caso, parlo delle piccole imprese, come è possibile, anche se il debito viene rateizzato, affrontare spese simili? Non è possibile andare avanti in questo modo se non si interviene mettendo un tetto alle tariffe, tarandosi sui prezzi del 2021 - aggiunge Davide Trombini».

La soluzione non è aumentare il prezzo del pane 

Su questo tema prosegue Trombini: «Perché se viene incrementato, come sta succedendo per tutti gli altri prodotti, il rischio è che si registri un calo della spesa quotidiana. Questo comporterebbe una riduzione del lavoro, che creerebbe poi il problema sociale dei licenziamenti.  Noi oggi abbiamo 10 mila aziende produttrici nel nostro settore con quasi 47 mila dipendenti. Già qualcuno oggi è costretto a licenziare dei dipendenti. Non oso pensare a cosa potrà succede ad ottobre e novembre». E prosegue: «Il prezzo del pane era già stato ritoccato con l’aumento del grano, ma oggi c’è la paura di incrementare perché si teme di perdere il cliente. I prezzi dei generi alimentari sono alle stelle. Il cliente non capisce più come acquistare, a seguito di questi aumenti, e inizia a tagliare e chi subisce è la produzione con a seguire i posti di lavoro che saltano».

Il rischio di chiudere è reale

«Il rischio è di chiudere, non dico tutti - dice Davide Trombini - Ma se inizia a chiudere anche solo il 30-40%, la situazione diventa pesante. Queste famiglie come fanno quando l’azienda non c’è più. Diventa un problema sociale». E prosegue Trombini: «Si parla di riduzione di produzione perché mancano le vendite. E riducendola, come si fa a mantenere lo stesso numero di dipendenti? Poi diventa difficile, anche lasciare a casa le persone. Perché si spera sempre che arrivino degli interventi dal Governo per il comparto. Non si può licenziare una persona e poi richiamarla tra un mese o due. Si può perdere una manodopera importante e non trovarla più. Quindi si mette realmente a rischio una produzione artigianale. E anche per il territorio, se iniziano a mancare queste botteghe, che danno una sicurezza, una luce e una vicinanza al cittadino, cosa succederà? Questo è un grido d’allarme che lanciamo da anni, adesso siamo arrivati al limite della chiusura». 

Il riferimento alla manifestazione di Napoli

«La manifestazione di Napoli è solo l'inizio - aggiunge Davide Trombini - Per scendere in piazza ora è necessaria una manifestazione nazionale, fatta insieme ai sindacati e ai cittadini. Perché non è un problema solo dei panificatori, ma generale».

Le richiesta al nuovo Governo

«Noi abbiamo già chiesto un incontro e spero di incontrare presto Giorgia Meloni. Vogliamo chiedere un intervento importante. Le riduzioni che sono già state messe in atto con il credito d’imposta sono un aiuto, ma non sono sufficienti. Non è possibile per il comparto, e non solo il nostro, sostenere i costi di queste bollette. Non è possibile andare avanti in questo modo se non si interviene mettendo un tetto alle tariffe, tarandosi sui prezzi del 2021» - spiega il presidente di Assopanificatori Fiesa Confesercenti.

 

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