Cig e licenziamenti fino a marzo? Così i ristoranti possono resistere

Il Governo propone lo stop ai licenziamenti solo fino a gennaio, ma le chiusure anticipate stanno mandando di nuovo in tilt la ristorazione e il turismo. Tanti alberghi riapriranno in primavera

22 ottobre 2020 | 10:54
di Sergio Cotti
Cassa integrazione fino a marzo e stop ai licenziamenti fino al 31 gennaio 2021. La proposta del Governo di posticipare di un mese il provvedimento in scadenza a dicembre, non piace però ai sindacati, che nel tavolo di questa notte sono tornati a chiedere invece che le due misure vadano avanti di pari passo, unite agli altri provvedimenti emergenziali anti-Covid, puntando ad estenderle entrambe almeno fino alla fine del primo trimestre del 2021.


La trattativa governo-sindacati prosegue

L’Esecutivo è fermo invece sulle sue posizioni: cassa integrazione fino alla primavera - così come già previsto nella nuova legge di bilancio - e stop ai licenziamenti fino a fine anno.

Anche se, stando a quanto riferito dal quotidiano La Stampa, il punto di caduta potrebbe essere un prolungamento del blocco almeno fino a gennaio. Poi si vedrà, in base soprattutto all’andamento della pandemia e all’impatto sul tessuto socio-economico del Paese.

A soffrire, in questo periodo, sono ancora una volta i comparti della ristorazione e del turismo.Le posizioni di Governo e rappresentanti dei lavoratori sono ancora distanti: nel confronto di ieri sera (conclusosi a notte fonda) non sono stati trovati margini per un accordo. Da un lato, la cancellazione di gite scolastiche, convegni, fiere e mercatini di Natale ha fatto tornare in lockdown gli operatori turistici e tutti i lavoratori del settore, in primis gli albergatori. Molti di loro hanno già chiuso e non riapriranno prima della primavera. Fondamentale, per loro e per i loro dipendenti, la tutela dei posti di lavoro e di un salario minimo, che sarebbero assicurati proprio con la proroga della cassa integrazione e del blocco dei licenziamenti.

Lo stesso vale per i ristoratori, i cui fatturati – già pesantemente fiaccati dalla crisi – saranno messi a dura prova nelle prossime settimane dalle limitazioni degli orari imposte da Governo e Regioni per evitare il rischio del diffondersi del contagio da coronavirus. E mentre i ristoratori sono pronti a scendere in piazza il 28 ottobre per protestare contro i provvedimenti che impediscono loro di lavorare, alcuni di loro – soprattutto nelle città turistiche già prive di visitatori – stanno già pensando di rinunciare al servizio della sera, per concentrarsi su quello di mezzogiorno.

Tornando alla trattativa tra Governo e sindacati su cassa integrazione e licenziamenti, la proposta dell’Esecutivo è stata giudicata “insufficiente” da Cgil Cisl e Uil, in una nota unitaria emessa stamani dopo l’incontro con il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri e con quello del Lavoro Nunzia Catalfo. La parola passa ora al Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte: sono stati gli stessi ministri, alla luce della proposta avanzata dai sindacati, a rinviare al Premier una decisione al proposito.

E mentre solo nella ristorazione rischiano di chiudere 50mila imprese (su 350mila presenti in tutta Italia), dall’inizio dell’emergenza sono stati persi 700mila posti di lavoro. «Sarebbe insopportabile e ingiustificato allargare le maglie», insiste la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, mentre per Pierpaolo Bombardieri (Uil), «la crisi sociale è dietro l’angolo e noi siamo molto preoccupati: chiediamo alla politica e al governo di non chiudere gli occhi».

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Alberto Lupini


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