Cinquemila alberghi ancora chiusi Lo smart working uccide i convegni

Il 20% degli hotel italiani non hanno più riaperto dopo il lockdown e ora che la stagione estiva sta finendo le città d'arte non possono contare neppure sul turismo d'affari, dimezzato dalle iniziative online . In alcune località il calo di fatturato degli alberghi si è attestato tra il 70 e il 90% e molti gestori ora pensano di chiudere di nuovo

09 settembre 2020 | 10:14
di Sergio Cotti
Cinquemila alberghi in Italia non hanno più riaperto dopo il lockdown e altrettanti rischiano di chiudere di nuovo dopo un’estate vissuta in altalena, con fatturati ovunque in calo e in alcune zone precipitati di oltre il 50% rispetto all’anno scorso.

Nebbia sul futuro del turismo d'affari negli alberghi

È lo scenario di un comparto, quello dell’accoglienza, che dopo i timidi segnali di ripresa delle settimane centrali di agosto, è tornato a fare i conti con una crisi di cui purtroppo ancora non si vede la fine e con l’unica prospettiva di navigare a vista almeno fino alla prossima primavera. «La situazione è drammatica», spiega senza giri di parole il presidente di Federalberghi Bernabò Bocca. «Quest’anno - dice in un’intervista all’Adnkronos - ci aspettiamo, in generale, cali di fatturato intorno al 70% e così è difficile andare avanti».



Il problema è generalizzato: con la riapertura delle scuole la stagione estiva volge ormai al termine (prova ne sia anche la scarsità di prenotazioni per le prossime settimane) e dall’estero le notizie sugli arrivi dei turisti nel nostro Paese non sono confortanti: «A settembre le città d’arte continuano a soffrire perché vivono di turismo americano, che oggi è completamente assente - spiega Bocca - nelle zone di vacanza le ferie sono finite, ci sono difficoltà per i congressi e non c’è neanche un’attività di business perché le aziende sono in smart working. Dopo la parentesi estiva che ha aiutato le zone di villeggiatura, oggi siamo tornati di nuovo a dati tremendi».

Lo stop prolungato di fiere e meeting, che rappresentano gran parte del business per tanti alberghi di città proprio in autunno e in inverno, costringerà tanti gestori a richiudere le loro strutture a data da destinarsi. Scelte obbligate, che andranno a ripercuotersi inevitabilmente non soltanto sui fatturati, ma anche sull’occupazione, sostenuta fino a dicembre dal blocco dei licenziamenti e dal prosieguo della cassa integrazione. Ma poi? Gli interrogativi sono ancora parecchi.

Bernabò Bocca

Nel frattempo si guarda già al passato e a una stagione che non è mai davvero decollata, a parte qualche rara (e circoscritta) eccezione: «Nei luoghi di villeggiatura, al mare, in montagna e ai laghi, dopo aver perso la Pasqua, maggio e giugno si sono visti un luglio e soprattutto un agosto decenti, con fatturati al di sotto dell’anno scorso ma sufficienti almenoa coprire i costi», ha aggiunto il presidente di Federalberghi.

Gli alberghi nelle città d’arte hanno continuato in molta parte a rimanere chiusi e tra quelli che avevano tentato di riaprire, diversi sono stati costretti a compiere una brusca marcia indietro. Il calo di fatturato dagli alberghi delle città d’arte è stato tra il 70 e il 90% rispetto al trimestre giugno-agosto 2019, a causa della flessione del numero degli arrivi, più che dimezzati rispetto all’analogo periodo dello scorso anno (-60%) e dei pernottamenti in calo di oltre il 70% rispetto all’analogo trimestre 2019.

«Non vorrei che il vedere qualche spiaggia affollata a ferragosto - è il timore di Bernabò Bocca - abbia fatto pensare che la crisi è alle spalle. La crisi continuerà a lungo: gli americani parlano della primavera del 2021». Prima, l’unica finestra possibile per una ripresa del lavoro (ancora supportata, almeno in parte, dalla possibilità di spendere il famigerato bonus vacanze), è quella delle vacane natalizie: «Gli italiani rimarranno in Italia - conclude Bocca - magari andranno in montagna, ma senza turismo straniero l’Italia non vive».

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Alberto Lupini


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