Condivisione, comfort e tempo: la ricetta di Arnolfo contro la carenza di personale

Il ristorante due stelle Michelin fondato a Colle Val d'Elsa dai fratelli Giovanni e Gaetano Trovato è un'isola felice nel contesto complesso della ristorazione. Non ha infatti problemi dovuti alla carenza di personale . I motivi? Ce li racconta Alice Trovato, figlia di Gaetano e manager del locale

28 dicembre 2022 | 05:00
di Luca Bassi

È un’isola felice, quella di Arnolfo. Non solo perché questo ristorante festeggia proprio nel 2022 i quarant’anni di attività, e non solo perché da poche settimane lo chef Gaetano Trovato, membro di Euro-Toques, e tutta la sua quadra si sono spostati nella nuova sede, una struttura a forma di cornice totalmente di nuova architettura e progettata da Andrea Milani. Arnolfo è un’isola felice perché qui - roba più unica che rara nell’anno 2022 - il problema della carenza del personale non esiste.

Fondato dai fratelli Giovanni e Gaetano Trovato nel 1982 a Colle Val d’Elsa, nel senese, il ristorante Arnolfo è oggi una delle tavole più importanti d’Italia e con le sue due stelle Michelin è considerata un’autentica fucina di talenti che sono stati negli anni plasmati nella cucina senese.

Alice Trovato, figlia di Gaetano e manager del ristorante Arnolfo, questi giovani li ha visti passare tutti e tanti altri ne vede ancora oggi: «Perché è vero - ci conferma -, noi fortunatamente non abbiamo nessun problema col personale».

La ricetta di Arnolfo contro la carenza di personale 

Ma come è possibile, in questo 2022 in cui trovare cuochi e camerieri sembra un miraggio?
Ci stiamo lavorando tanto, da tanti anni. Lo chef in questi quarant’anni ha sempre voluto condividere tecniche, sapere ed esperienze: questo penso che faccia la differenza perché i collaboratori non sono dei semplici esecutori ma delle persone vere e proprie che fanno parte di un progetto che, a loro volta, sposano. I nostri dipendenti sono partecipi di tutto, dalle preparazioni alla stesura dei menù. Noi crediamo che quando si cresce lo si fa in due: un ragazzo che entra come commis e diventa capo partita è una vittoria per tutti, per lui e per l’azienda.

Quali sono, nel concreto, le attenzioni che date ai vostri collaboratori?
Da noi c’è una grande sensibilità nei confronti del tempo: noi non facciamo contratti da otto ore per poi chiedere al dipendente di lavorarne sedici. Con i turni, col ricambio, col giusto numero di dipendenti possiamo rispettare i diritti di ogni lavoratore, a partire dagli orari di lavoro. Aggiungo poi che tre quarti del nostro nuovo ristorante è dedicato e pensato per i dipendenti che devono lavorare nel massimo del comfort. Un ristorante è fatto dalle persone, noi l’abbiamo capito e pensiamo che sia questo il nostro segreto».

 

Una delle difficoltà dei ristoratori, oggi, è rendere la sala e la cucina attrattive per i giovani che entrano nel mondo del lavoro: voi come ci siete riusciti?
Non solo la condivisione. Noi vogliamo che tutti i nostri dipendenti conoscano ogni aspetto della ristorazione: chi lavora in cucina deve sapere come si serve un vino così come un cameriere deve sapere cosa sta dietro a una preparazione di cucina. Quando creiamo un nuovo menù ci sediamo a tavola con tutta la squadra di cucina e di sala al completo, proviamo le proposte, cerchiamo gli abbinamenti piatto-vino e commentiamo tutto. Crediamo che questo sia fondamentale per far sentire partecipe ogni persona che lavora con noi. Organizziamo anche delle uscite formative per scoprire come nascono le materie prime che poi lavoriamo al ristorante, ma anche lezioni di arte. Prima del Covid ne facevamo una al mese, ora è un po’ più difficile ma torneremo a fare le uscite formative con regolarità.

In molti negli ultimi tempi hanno puntato il dito contro gli istituti alberghieri: cosa pensa lei della formazione di oggi dei giovani nelle scuole? Servirebbero più esperienze sul campo durante gli studi?
Non posso nascondere che le scuole spesso rappresentano un problema. Ci sono realtà che sono più forti, altre più datate e quindi meno performanti. Effettivamente mancano le esperienze: a uno studente di cucina non va solo insegnato come si fa una brunoise, dobbiamo trasmettere anche il concetto di stare in squadra, di lavorare a fianco di altre persone. I problemi maggiori li vediamo nelle scuole pubbliche: ci mandano ragazzi per due settimane di stage, una cosa davvero priva di senso. Come può uno studente capire qualcosa di come si lavora in così poco tempo? Oggi si ha l’impressione che scuola e lavoro siano due mondi completamente separati: bisogna lavorare su questo.

Voi di giovani che escono dalle scuole ne vedete ogni mese: quali sono le problematiche più comuni che incontrate con loro?
Abbiamo visto ragazzi arrivati per uno stage formativo restare solo una settimana: ci comunicano che non proseguiranno l’esperienza, mollano spaventati dal carico di lavoro. L’impressione è che non siano preparati a quello li spetta. Spesso arrivano anche con pesanti lacune teoriche: in pochi sanno quali tagli di carne stanno lavorando, molti non conoscono il pesce che hanno davanti o non hanno mai sentito nominare un formaggio. Questo non può succedere.

Secondo lei come dovrebbe intervenire il ministero dell’Istruzione? Ricordiamoci che il settore dell’ospitalità e della ristorazione vale una grossa fetta del Pil italiano.
Servono contributi pratici e materiali, non può essere che in una scuola alberghiera ci siano cucine con due coltelli per dieci ragazzi. Poi servono le esperienze formative, bisogna portare i ragazzi a conoscere i produttori locali, gli artigiani che producono eccellenze. E pure gli stage vanno ripensati: devono essere più lunghi per formare per davvero, non dimentichiamo che il nostro è un lavoro pratico che s’impara solo sul campo. Poi spetta ai ristoranti saper accogliere nel modo giusto un ragazzino che esce dalla scuola, ben sapendo che dovrà imparare tutto o quasi. La gavetta è fondamentale, ci sta pelare le patate e le cipolle, ma a questi ragazzi dobbiamo anche mostrare i segreti, dobbiamo dare degli obiettivi, farli sentire parte di una squadra.

Giovani a parte, quali sono le richieste che vorreste venissero portate avanti dal nuovo Governo per il mondo della ristorazione?
I contratti di lavoro vanno assolutamente rivisti. Non c’è una tutela, non c’è un sindacato. Colpa anche dei ristoratori che non hanno mai alzato la testa dal loro lavoro per partecipare a una discussione così importante. Ovviamente bisogna mettere mano al sistema fiscale: un dipendente che pago 1.500 euro mi costa 3mila euro con le tasse. Siamo all’assurdo. Questo porta il ristoratore a prendere tre persone al posto di cinque, facendo lavorare il doppio i malcapitati. Un cane che si morde la coda, insomma. Il cambiamento deve partire dai ristoratori, è vero, ma non bisogna limitarsi a una lettura superficiale della questione: se lo Stato non tutela l’imprenditore, che spesso non ha fondi infiniti, diventa difficile per tutti.

 

Arnolfo Ristorante
Viale della Rimembranza 24 - 53034 Colle di Val d’Elsa (Si)
Tel 0577 920549

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Alberto Lupini


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