I rischi della ristorazione tradizionale nell’era della sharing economy

26 novembre 2016 | 10:08
di Matteo Scibilia
Il mondo del food e della ristorazione è in continua trasformazione. Sembra che il mondo “reale” si stia modificando e sia a servizio di un ipotetico mondo virtuale; è recente la notizia delle auto che si potranno acquistare su Amazon, e viene spontaneo chiedersi: chissà i dipendenti delle concessionarie cosa faranno?

Nel mondo del food una rivoluzione simile è in atto da tempo, sono molte le nuove forme della ristorazione che invadono le nostre strade. Le trattorie, le osterie, i ristoranti “tradizionali” sembrano destinati ad un declino certo. L’incapacità o meglio la disattenzione della politica verso un settore che rappresenta uno dei fiori all’occhiello del nostro paese sta provocando danni enormi, e sarà difficile recuperare in tempi brevi.



Fa sorridere la celebrità che ha pervaso le guide gastronomiche, tra cui la famosa Michelin, ormai brava nei colpi di scena, ma che in realtà minimizza la cucina italiana che meriterebbe molto di più. In ogni caso passato il “polverone” non ne parlerà più nessuno delle guide.

L’aneddoto che ho già proposto in una precedente occasione è che la cucina è come una bella donna, in quest’ultimo caso, tanti uomini la osservano, desiderano, sognano, pur sapendo che è impossibile anche sfiorarla. Ecco oggi sono in tanti a osservare i grandi cuochi in tv, e a reputarli inavvicinabili per costi e proposte. Il risultato è che la gente fa la spesa nei discount.

Poi ci sono le nuove proposte commerciali, il social eating, come viene ormai definito nel nostro settore, si individua soprattutto nel fenomeno degli home restaurant, che consiste nell’invitare a casa propria gente estranea, e proporre una cena con l’alibi di diffondere una nuova socialità, ma in realtà serve a sbarcare il lunario, ed è un’attività al confine tra il lecito e il non lecito.



Tutto ciò è figlio della crisi, che trasforma auto private in taxi e case private in hotel (Airbnb) ed oggi anche case private in ristoranti. La politica sta cercando soluzioni, anche su spinta delle associazioni di categoria, ma è ovvio che sarebbe complicato mandare la Guardia di finanza a suonare campanelli di case private alle 21.00 di sera per controllare se gli ospiti sono amici o clienti.

In Italia un portale famoso come “Gnammo” ha un nuovo e potente competitor, EatWith, “mangiare con” la traduzione letterale; la piattaforma si propone di far mangiare a casa della gente del posto, durante i tuoi viaggi in tutto il mondo, e la mission dichiarata sul loro sito, ampliata anche a ricette e scuola di cucina.

Oggi tutto questo sistema ha un nuovo e grande alleato, TripAdvisor, la potente multinazionale americana, che insieme EatWith provocherà una bufera nella ristorazione tradizionale. Chissà le migliaia di alunni, nuovi iscritti delle scuole professionali di cucina cosa faranno. Ovviamente come prevede la filosofia di TripAdvisor le esperienze gastronomiche dei viaggiatori verranno recensite e postate sul portale dello stesso. Di fatto ed è questo il vero problema, ufficializzando e rendendo pubblico l’home restaurant, un effetto domino certo.



È vero che il mondo sta cambiando, che la rete assumerà sempre più potere sostituendosi al commercio tradizionale - l’abbigliamento per esempio sta pagando un caro prezzo, le boutique sono sempre più rare - la vendita del vino via web cresce a due cifre e come dicevo anche le auto, l’attacco alla ristorazione, così come la conosciamo è ormai frontale. La Fipe, che ha appena concretizzato una alleanza con TripAdvisor ma che contemporaneamente si sta battendo con il governo per soluzioni fiscali e di sicurezza alimentare che riguardano gli home restaurant, cosa farà per contrastare questa nuova minaccia per i pubblici esercizi italiani?

La democrazia virtuale come tanti affermano è una nuova e reale minaccia oppure dovremo come dice Massimo Bottura, in un paese dove è difficile fare impresa, portare i nostri ristoranti all’estero? Mi chiedo in questo percorso inarrestabile della new economy, le guide cartacee, la vecchia e gloriosa recensione gastronomica, che ruolo hanno? Quante guide si vendono se non solo agli stessi recensiti? Nessuno scorge pericoli per le proprie attività? Per la gente è più facile usare il cellulare o sfogliare una guida? Me lo chiedo, ma la risposta è ormai scontata.

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Alberto Lupini


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