Vicenza dichiara guerra al kebab Le minoranze: come le leggi razziali

L’assessore comunale al Commercio sta studiando un regolamento che vuole promuovere solo attività italiane e ancor di più vicentine. “No” anche a bar e ristoranti delle grandi catene

07 settembre 2020 | 11:40
No al kebab, ma anche a bar e ristoranti legati a grandi catene e “no” anche a grande distribuzione, distributori automatici di cibo e bevande, macellerie non italiane e negozi di oggettistica di scarsa qualità. Questo è quanto contenuto nel nuovo regolamento proposto da Silvio Giovine (Fratelli d’Italia), assessore al Commercio di Vicenza, che ha destato non poche polemiche.


Il centro storico di Vicenza punta sulle attività locali

«È come se fossero state propugnate delle leggi razziali nel commercio», dice a Repubblica Sandro Pupillo, consigliere comunale di centrosinistra. La delibera non è ancora stata approvata in commissione e in consiglio. Ma Vicenza, amministrata dall'avvocato Francesco Rucco, ormai ha deciso.



«Vado fiero e orgoglioso di questo provvedimento - dice l’assessore Giovine - per tutelare l’inestimabile valore del nostro patrimonio Unesco alzeremo la qualità dell’offerta commerciale incidendo sulle nuove aperture, prevediamo sanzioni progressive per chi sgarra».

Al bando dunque anche chincaglieria e bigiotteria di bassa qualità, oggettistica etnica, macellerie e pollerie non italiane. Ma sarà no anche per i supermercati, bar e ristoranti affiliati a grandi catene, fast food e distributori automatici di cibo. Secondo l'assessore le restrizioni serviranno a tutelare il Made in Vicenza. Un no secco al commercio multiculturale, un’idea non certo nuova che ha già riguardato altri comuni come Genova e Verona. Nel 2016 l’allora sindaco di Padova Massimo Bitonci - lo fece anche nel 2009 a Cittadella - portò avanti una crociata contro i kebabbari e il Tar gli diede ragione respingendo il ricorso degli esercenti. Ma nel 2018 il divieto fu cancellato dal consiglio comunale.

Venezia nel 2017 imitò il modello Bitonci. In principio fu Covo, 4mila abitanti in provincia di Bergamo: nel 2014 la giunta disse no ai negozi che vendevano il tradizionale cibo arabo. Poi venne Capriate San Gervasio, sempre nella bergamasca. Dalla provincia del profondo nord alla Capitale: nel 2013 l’Assemblea capitolina è intervenuta per disciplinare le attività commerciali nella città storica. Ma nulla a che vedere con i veti di Vicenza.

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Alberto Lupini


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