Delivery, tutelare i diritti dei rider Costi elevati per i ristoratori

Chi effettua le consegne sta lottando per essere messo al pari degli altri lavoratori. Si è mossa anche la Cgil. Ma per gli esercenti le commissioni delle piattaforme oscillano dal 20 al 30% e l’Iva è del 22%

01 maggio 2020 | 11:06
Durante questi due mesi di blocco i rider sono stati i padroni delle città, complice il delivery che è montato come un’onda. Nei giorni di festa lavorano più del solito, 1 maggio compreso. Si sono guadagnati la notorietà come presenza costante sulle strade, ma anche per quanto riguarda i diritti, molto sotto la media dei lavoratori “normali”. Non a caso e finalmente è stata lanciata la campagna per i diritti di una categoria sfruttata. Si è mossa la Cgil per una tutela dovuta, che va dalla salute alla sicurezza, dall’assicurazione ai rimborsi in caso di guasto dei mezzi.


La Cgil in campo in soccorso dei rider

C’è anche l’altro lato della medaglia, quello della parte del ristoratore. Italia a Tavola ne ha scritto nei giorni scorsi. Una riflessione di Matteo Scibilia, ristoratore e responsabile scientifico del nostro network. «Una delle cose più facili è appoggiarsi a una delle piattaforme presenti sul mercato, il cliente ordina, il ristoratore cucina e prepara le confezioni, il rider consegna e il pagamento avviene attraverso la piattaforma. Nel leggere le offerte anche delle recenti proposte pasquali, ci chiediamo però quale marginalità ci possa essere; le commissioni delle società di delivery ormai oscillano dal 20 al 30%, l’Iva è del 22%. Poi c’è la commissione del pagamento elettronico. Speriamo che i ristoratori sappiano far di calcolo... È anche evidente che l’asporto, cioè la presa diretta del cibo da parte del cliente, farebbe diminuire, e di molto, il sovraccarico dei costi sulle spalle del ristoratore. Siamo certi in proposito che non ci siano pressioni perché questo non avvenga? Le piattaforme di delivery, oggi in fortissima ascesa, avrebbero infatti un calo di lavoro notevole».

Italia a Tavola con Sergio Cotti ha messo in luce un altro aspetto relativo al servizio a domicilio. Che ci sia qualcuno che tenti di approfittare della situazione per alzare i costi del servizio sulla scia del boom di richieste. «Il problema non si pone nel caso in cui il ristoratore si affida alle piattaforme online di consegna a domicilio, le cui commissioni sono dichiarate e non hanno subito variazioni nelle ultime settimane. Il condizionale è però d’obbligo, perché è evidente che i prezzi potrebbero essere “gonfiati” a monte. Il problema, semmai, potrebbe riguardare chi, come la maggioranza delle pizzerie d’asporto, si affida ai propri mezzi per recapitare il cibo a domicilio. E allora, quanto è giusto pagare per farsi portare una pizza o un menu a casa? Senz’altro, per chi già effettuava questo servizio, lo stesso prezzo applicato in passato (in genere 0,50 centesimi per pizza, oppure fino a 1,50 euro a consegna, ndr). Per chi invece ha iniziato solo ora, vale  la regola del buonsenso. Fermo restando che i ristoratori e i pizzaioli corretti sono la stragrande maggioranza».

In aggiunta alla poliedricità della questione rider anche il braccio di ferro che nei giorni scorsi ha visto confrontarsi Regione Lombardia e Tar. I giudici amministrativi hanno rimesso la Regione alle direttive del Governo su e-commerce e consegne a domicilio. L’ordinanza di Fontana deliberava: "È consentita la consegna a domicilio da parte degli operatori commerciali al dettaglio per tutte le categorie merceologiche, anche se non comprese nell’allegato 1 del Dpcm del 10 aprile 2020". Di fatto, come ha sottolineato il Tar, “l’ordinanza ha ampliato, anziché restringere, le attività consentite, autorizzando il commercio al dettaglio di tutte le merci, a fronte di un dpcm che limitava il commercio solo a precisate categorie merceologiche ritenute essenziali o strategiche”.

ll provvedimento di Palazzo Lombardia era stato impugnato dalle sigle sindacali Filt Cgil, Fit Cisl e Uilt Uil, che avevano chiesto al Tar "l’immediata interruzione delle attività di e-commerce che le ordinanze di Regione Lombardia hanno nei fatti deregolamentato e reso libere, in contrasto con i decreti del governo, con i quali si sono limitate una serie di attività produttive per contenere la diffusione del virus".

In sostanza, fino al 13 maggio farà fede l’elenco delle categorie merceologiche inserite dal Governo nell’allegato 1 del decreto del 10 aprile. I giudici hanno deciso di sospendere quella parte di ordinanza, "ritenuta la sussistenza dei presupposti dell’estrema gravità e urgenza, incidendo la misura regionale sul diritto alla salute dei lavoratori rappresentati dalle organizzazioni sindacali ricorrenti".




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Alberto Lupini


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