Ristoranti uniti, al bando le agenzie Solo così può decollare la delivery

La consegna di cibo in Italia è soggetta a tariffe troppo elevate che danneggiano i ristoratori e i consumatori. Per spezzare l'oligopolio basterebbe la cooperazione fra i locali . La delivery può andare bel oltre la necessità dei tempi del lockdown: è una delle nuove modalità di fare ristorazione moderna

02 giugno 2020 | 12:11
di Vincenzo D’Antonio
Il fenomeno della delivery ricorda un po’ quello che accadde con l’avvento del cinema sonoro, alla fine degli anni ’20 del secolo scorso.
C’era la schiera dei conservatori, che pronosticava per questa innovazione un futuro gramo ed una durata effimera (“Non può durare. Dura minga, dura no”) e c’era la schiera degli amanti della novità che comprese la portata dell’innovazione sia in termini di maggiore gradevolezza dello spettacolo, sia di riassetto del comparto e di nuovi flussi di business.

Ecco, mutatis mutandis, la delivery sta anch’essa generando due schiere contrapposte:



Siamo ragionevolmente certi che la delivery non si esaurirà con la fine delle emergenze innescate dalla pandemia, tutt’altro.

Siamo altresì ragionevolmente certi che la delivery così com’è adesso non potrà però avere un radioso futuro e divenire abitudine consolidata alternativa (mai sostitutiva) all’esperienza della sala. C’è infatti un vizio congenito nella delivery attuata in Italia che è assolutamente da debellare: il servizio è assurdamente costoso, si arriva anche al 30% del costo finale.

La delivery è parola inglese che sta per “consegna” e non ha più o meno costi a seconda del valore di quanto viene trasportato.
Ma da noi sembra avere assunto una connotazione tutta sua, che ne stravolge valore e costi, quasi che si consegnassero oggetti preziosi che richiedono chissà quali sicurezze modalità di consegna.

Facciamo mente locale.
Oramai a noi tutti capita, più o meno di frequente, di essere mittenti o destinatari di pacchi.  
Quando spediamo un pacco, in quale modalità, secondo quale algoritmo paghiamo il dovuto allo spedizioniere?
Secondo la combinazione di tre componenti:

a)    il peso,
b)    il volume,
c)    la distanza.

Nel computo dell’importo a volte ha maggiore incidenza il peso, altre volte il volume, e talvolta la distanza.

Ma non succede mai che paghiamo in percentuale al valore del contenuto del pacco che spediamo.

Cosa che invece si fa col delivery da noi, alterando il valore della consegna che in proporzione “pesa” più del contenuto.

Questo è il vizio da debellare. Il pricing della food delivery (il costo del servizio di consegna) è stato impostato, con l’astuzia di chi è ben conscio di agire in situazione di oligopolio, secondo un’aberrazione a causa della quale la componente che maggiormente concorre al costo della delivery è data dal valore del contenuto del pacco.

In pratica il costo della delivery è calcolata in percentuale sul valore del cibo acquistato. Più costa il menu, più si paga di consegna

Se dovessimo applicare questo meccanismo di calcolo dei costi a spedizioni “normali” ci troveremmo in situazioni davvero imbarazzanti. Due esempi per tutti:

1.    Spedisco un foulard di seta di San Leucio negli USA, volume 20cm x 20cm x 20cm, peso 400 grammi.
2.    Spedisco sempre negli USA allo stesso destinatario del foulard, tre barattoli da 1kg ciascuno di Pomodori San Marzano DOP per un volume 50cm x 50cm x 50cm, peso 4kg.

La spedizione del foulard mi costa, oltre ad una fee fissa, 19 € che è il 10% del prezzo del foulard. La spedizione dei Pomodori San Marzano DOP mi costa, oltre alla fee fissa, 2 € che è il 10% del prezzo dei pomodori.

Mi costa molto di più la spedizione del foulard, un pacchettino piccolo da mezzo chilo scarso, che non il pacco ingombrante e ben pesante con i pomodori.



La prima reazione di tutti sarebbe: assurdo. Eppure è ciò che abbiamo finora tollerato (clienti e ristoratori) nel comportamento delle poche agenzie di delivery. E non entriamo nel merito di come a fronte di uno spropositato incasso per il servizio sia infimo il pagamento di chi consegna i pacchi…

Per a vere un futuro radioso e non debole, la food delivery deve basarsi su un rifacimento totale del computo delle tariffe. E per logica ed etica deve avvicinarsi a quello degli spedizionieri. Anche qui sono tre le componenti in gioco:

a)    il peso,
b)    il volume,
c)    la distanza.

Ci si dovrebbe orientare, per le caratteristiche del food, verso una tariffa sostanzialmente flat.

Basterebbe indicare i range:

a)    0 – 30kg per il peso,
b)    50cm x 50cm x 50cm per il volume,
c)    0km – 9km per la distanza.

In presenza di valori tutti e tre compresi nei loro rispettivi range, con tutta tranquillità, a salvaguardia dei margini di ristoratore ed operatore di delivery, ed a salvaguardia di tariffa equa per il consumatore, si potrebbe optare per tariffa flat, ovvero per un prezzo chiaro, a tutti ben noto, ed esente da sorprese.

È possibile costruire un modello di business che possa efficacemente ed efficientemente funzionare in questo modo? Sì, certamente.

Il meccanismo deve innescarsi dal basso, dalla coalizione tra ristoratori che hanno individuato nella delivery una “business unit” portatrice di soldini e non un calice amaro da sorbire nel tempo gramo della pandemia. Coadiuvati dalle più rappresentative associazioni di categoria, si pensi alla FIPE, costoro potrebbero ad esempio dare vita ad una società cooperativa.

Cuore di tutto un software perfettamente funzionante e disegnato pensando già a scenari prossimi venturi della ristorazione nel suo complesso e della delivery in particolare. I rider soci lavoratori, un forte spirito di squadra, una vision resa nota e ben condivisa.

Sarebbe il classico win win win.

1.    E’ vincente il cliente che a casa sua riceve le pietanze desiderate ad un prezzo all’incirca uguale a quello che avrebbe pagato recandosi al ristorante.
2.    E’ vincente il ristoratore che salvaguarda i suoi volumi di produzione in costanza di qualità.
3.    E’ vincente l’operatore di delivery che nell’arrecare valore con il suo servizio ne trae il conseguente volume d’affari con il quale retribuire i soci lavoratori e continuare ad investire.

In definitiva, accertata la volontà degli attori da coinvolgere e reso ben chiaro e condiviso l’obiettivo, il progetto, anche se non facile considerando la poca abitudine dei ristoratori a collaborare fra loro (dovendo sostenere così costi elevati), la fattibilità sembra ragionevolmente certa.

Ma sì, non vorremo mica tornare al cinema muto ?!?!

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