Ritrovare la libertà in cucina anche dietro le sbarre di un carcere

09 novembre 2016 | 09:17
di Rocco Pozzulo
Arredi curati e vini in esposizione, tutto fa pensare ad un locale della “Milano bene”, nulla tradisce il contesto tranne le sbarre alle finestre dietro le tende immacolate. All’interno del carcere di Bollate (Mi) si è avviato un ristorante aperto al pubblico, in cui i detenuti, che hanno già scontato un terzo della loro pena, possono imparare un mestiere e rientrare in contatto con il mondo esterno sino a quel momento a loro precluso.



Le competenze acquisite nel percorso e la serietà di tutti i soggetti coinvolti nel progetto, unico per ora in Italia, ha potuto riscontrare un notevole successo con altri numerosi interventi e servizi quali ricevimenti e cene di gala, tanto da indurre a creare una sezione carceraria dell’Istituto alberghiero “Frisi” di Milano.

In passato presso il noto carcere “Due Palazzi” di Padova si era avviato un progetto pilota, anche grazie alla Associazione Cuochi delle Terme Euganee e Padova e all’ Ente Regione Veneto, quale corso per il conseguimento di diploma di qualifica di aiuto cucina rivolto a giovani detenuti, con l’intento di dare a loro la possibilità, una volta espiata la loro pena, di un inserimento sociale.

Da questo primo progetto, poi, sempre presso la casa detentiva padovana, è sorta per iniziativa degli stessi detenuti la “Cooperativa Giotto”, grossa realtà imprenditoriale sorta dietro le sbarre di un carcere, dedita alla produzione di pasticceria di altissimo livello.

Mi rende particolarmente orgoglioso e felice, al di là del coinvolgimento delle nostre Associazioni territoriali Fic in attività dedite al recupero di detenuti, il fatto che la cucina e la nostra professione possa essere motivo di interesse e moda del momento; ma che sia motivo di riscatto sociale per persone che hanno sbagliato mi compiace maggiormente. È importante il loro reinserimento nella collettività, come atto dovuto da parte di una società civile, specie nei confronti di coloro che hanno mostrato l’interesse e l’intento di non perdere il contatto con il mondo reale. In definitiva la cucina e la nostra professione come strumento sociale in un contesto di recupero, di speranza e “sana” prospettiva lavorativa. Quale presidente della Federazione italiana cuochi posso affermare che il nostro Ente appoggerà sempre ogni iniziativa di cooperazione con le Istituzioni rivolta a scopi sociali e nell’interesse comune delle nostre collettività.

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Alberto Lupini


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