Niente orari per bar e ristoranti Ma servono regole per la movida

28 settembre 2015 | 14:58
di Alberto Lupini
La legge ci sembrava obiettivamente fin troppo chiara, ma ora è arrivata la conferma dell’Antitrust: gli esercizi pubblici non hanno nessun limite di orario per le loro attività. Imporre orari di apertura o chiusura a bar o ristoranti è contro la normativa sulla concorrenza.

Era quindi solo una forzatura quella del Comune di Ferrara che voleva fissare alle 00,30 la chiusura di tutti i locali. Un’interpretazione che sul piano teorico avrebbe potuto essere in linea con l’obiettivo di garantire stili di vita più vantaggiosi e più “naturali” per tutti (andare a letto tutti prima e riposare meglio...), ma che nei fatti si scontra con una tendenza che è tutta all’opposto e non può certo essere modificata da un Sindaco.

La pronuncia dell’Antitrust, richiesta dalla Fipe, fissa il principio che, agendo in regime di libera concorrenza, per gli esercizi pubblici non può esserci un limite temporale. Gli orari se li fissano i ristoratori o i baristi, in base alla esigenze della clientela e alla loro possibilità di soddisfarle in termini di costi di gestione (soprattutto di turnazioni del personale).

Detto ciò, ogni esercente può dunque svolgere quando vuole la sua attività. E in questo ci potremmo avvicinare alla realtà di molti Paesi nel mondo, dove ad esempio si può mangiare ad ogni ora del giorno. Cosa impossibile in Italia: pensiamo solo alle difficoltà di chi esce da teatro o dal cinema la sera... A nostro parere l’esercente non può però svolgere la sua attività “come” vuole. Il riferimento obbligato è al fatto che se da un lato la decisione dell’Antitrust rallegra i titolari degli esercizi pubblici che possono prolungare il loro orario di apertura, dall’altro canto è pur vero che la nostra società diventerà sempre più “fracassona”. Il rumore è infatti uno dei problemi che affliggono non pochi centri urbani, soprattutto quelli dove la movida è più intensa. Parliamo di un agente inquinante che provoca un diffuso disagio psicofisico al punto che il “rumore” in molte città è uno dei principali punti di conflitto tra proprietari di bar e residenti. E la lotta al rumore vede in campo interessi contrapposti che sono alla fine di tipo economico.

Se ora c’è un punto fermo sull’orario (che deriva dal decreto Salva Italia del 2012 che ha ampliato la progressiva apertura del mercato in atto da anni), bisogna trovare chiarezza anche sulla gestione più generale. In tal senso ci sono precise norme sui limiti del disagio acustico, e i Comuni possono fissare aree di rispetto precise. Il problema è che le norme vanno fatte rispettare. Servono controlli e sanzioni. Non è che se un bar tiene musica a tutto volume fino a orari impossibili devono per forza chiudere tutti i bar o i ristoranti, come stabilivano tanti Comuni. I gestori di locali concorrenti, più educati e civili, devono poter svolgere la loro attività se questo non arreca danno al riposo dei vicini. È una questione di buon senso, ma anche di controlli e sanzioni, come detto. Purtroppo siamo in Italia e troppi politici pensano che sia meglio evitare un problema che risolverlo. E così, per non avere fastidi dai rumori, invece che sanzionare chi li produce si preferisce ostacolare l’attività degli esercizi pubblici. Una questione su cui serve tenere alta l’attenzione anche in vista delle nuove norme sulle aperture domenicali del commercio di cui si discute in Parlamento, dove qualcuno vorrebbe introdurre dei ritorni al passato (chiusure) per favorire la Grande distribuzione che sta perdendo quote di mercato.

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