Chef veronese classe 1985, Giacomo Sacchetto ha fatto della cucina una narrazione personale, costruita su memoria, equilibrio e radici solide. Dopo gli anni formativi tra maestri come Norbert Niederkofler e Giancarlo Perbellini e l’esperienza al La Cru - dove ha conquistato sia la stella rossa che la verde -, oggi guida l’Iris, ristorante una stella Michelin ospitato all’interno di Palazzo Soave.

La sala del ristorante Iris
Il quattrocentesco edificio è stato restituito alla città grazie alla visione dell’imprenditore Bruno Soave, che lo ha trasformato in uno scrigno di bellezza e ospitalità. Qui Sacchetto esprime la sua maturità con una cucina elegante, concreta e leggibile, capace di alternare piatti che raccontano il territorio a creazioni iconiche ormai entrate nella memoria dei clienti, i Piatti d’Autore.

Giacomo Sacchetto (foto Nicolo` Brunelli)
Il gusto chiaro e leggibile: filosofia dello chef
È una cucina pensata e ragionata, in cui «il gusto deve essere chiaro, il piatto comprensibile». Nei menu, l’eleganza convive con la concretezza, la memoria dialoga con l’innovazione per una cucina leggibile, libera dalle mode.

Un dettaglio degli interni del ristorante Iris
Perché è stato scelto il nome Iris?
È un chiaro riferimento al nostro territorio: l’iris è un fiore spontaneo che cresce soprattutto in Val d’Illasi e Val Tramigna. In giapponese significa anche coraggio e forza. Sono valori che sento molto miei: radici solide e uno slancio vitale
Cucina e sala: come si costruisce il legame?
Quando preparo un piatto mi confronto sempre con il mio staff. È importante che chi lo porta in sala sappia raccontarlo con consapevolezza e passione, diventando ambasciatore del nostro lavoro. Lo staff è costituito da 12 persone in tutto, 6 in cucina e 6 in sala: ci conosciamo da tempo e siamo un gruppo molto affiatato.

Giacomo Sacchetto: memoria e innovazione in cucina (foto Nicolo` Brunelli)
Qualche numero del ristorante?
Facciamo una media di 120 coperti a settimana. Il percorso Adriatico è il più richiesto, scelto da circa l’80% degli ospiti. Il resto si divide tra Raccontami e menu à la carte. L’80% dei nostri clienti sono turisti, soprattutto stranieri nei mesi estivi: spesso vengono a Verona e chiedono il pesce. Un paradosso solo apparente, che avevo già notato lavorando con Norbert Niederkofler.
Come descriveresti l’evoluzione della tua cucina?
Oggi è più matura. Durante il mio percorso ho compreso che, sebbene sia inevitabile cavalcare qualche moda del momento, è fondamentale conservare la propria identità e non farsi condizionare eccessivamente. Questa consapevolezza mi ha portato a una maggiore ricerca di equilibrio: in passato, mi è capitato di spingere su acidi e amari, a volte a scapito di altri elementi. Ora, prima di mettere un piatto in carta, lo assaggio più volte con calma, da seduto insieme al mio staff. Voglio che la mia sia una cucina pensata e cucinata, non un mero assemblaggio di elementi
I piatti del menu
Dalle parole ai piatti: l’assaggio del menu conferma in pieno la filosofia di Sacchetto.
Lo Spaghettino in brodo di gò è un’autentica esplosione corale; anche amalgamando, come suggerito, l'evoluzione gustativa degli ingredienti è precisa: dalla pienezza degli spaghettini tiepidi si distingue nettamente la sapidità della vongola, esaltata dalla freschezza della ceviche e dalla menta, mentre l’erba ostrica regala un guizzo marino sorprendente.

Spaghettino in brodo di gò
La Rapa rossa - è previsto un upgrade stagionale nel prossimo menu - è di grande complessità per i diversi ingredienti cucinati con tecniche diverse (non solo assemblati). I petali compatti di anguria marinata (quasi la consistenza di un carpaccio) si contrappongono a quelli più scioglievoli della rapa arrostita alla brace, sostenuti dalla caponatina e i pinoli in purezza e in crema: un equilibrio dolce-salato che conferisce struttura e profondità.
A chiudere la sezione salata del percorso Adriatico e dintorni arriva l’Astice blu, proposto in due atti e in doppia cottura (sbollentato e alla brace su griglia nipponica) è anche un richiamo al viaggio in Perù dello chef. Le chele, spesso considerate un elemento minore, vengono nobilitate in insalata e ceviche di mais; la coda invece è servita con il suo ristretto, olio al cipollotto, lattuga, mais croccante e in crema, gel al sambuco.

Astice blu alla brace, olio al cipollotto, lattuga al sambuco e mais (foto Nicolò Brunelli)
Un tratto che troviamo dosato con maestria è l’utilizzo della piccantezza, gestita come elemento inclusivo tra gli ingredienti: le sue sfumature cambiano dal calore avvolgente a un richiamo più discreto, persistente mai invadente. È come un piccolo colpo di vento in una giornata estiva: si sente, ti sorprende, ma lascia spazio agli altri sapori di farsi apprezzare.
Infine la bellezza dei piatti si completa al tavolo, dove la preparazione sotto gli occhi del commensale trasforma l’esperienza in un piccolo teatro quotidiano: una scena che invita a essere protagonisti, anche se per pochi minuti.
Piatti d’Autore: la memoria dei clienti
Com’è nato il menu Piatti d’Autore?
Da tempo i clienti mi chiedevano sempre tre piatti: Spaghetto turanico, Sogni d’oro e Viola. Erano diventati presenze fisse nei menu e non riuscivo a rimuoverli. Dedicare loro una sezione a parte è stato il compromesso ideale.
Cresce la sensibilità verso i piatti vegetali: come rispondi a questa tendenza?
I miei menu cambiano quattro volte l’anno e includono sempre più piatti a base di verdure, frutto della collaborazione con Matteo Trètener. Ci riforniamo anche da piccoli contadini del territorio, alla ricerca di quello che chiamo “cibo spontaneo di collina e montagna”: il cosiddetto foraging, che ci permette di attingere a ingredienti autoctoni.
Le novità del prossimo menu
Uno sguardo al futuro rivela due novità che entreranno presto in carta. La prima è un piatto totalmente vegetale: una Millefoglie di patata fritta in tempura, preparata al momento per garantire una consistenza impeccabile, adagiata su una spuma di patate, con gelatina di cetrioli sottaceto e cipolline, olio all’erba cipollina e completata al tavolo con tartufo bianco. Un piatto che riempie la bocca ma lascia una piacevole freschezza al palato.

Rapa rossa alla brace e anguria, caponata di tretener, chipotle e crema di pinoli affumicati (foto Nicolò Brunelli)
La seconda novità sono i Bottoni, pasta tirata sottile ripiena di crema di lenticchie di montagna, servita con un brodo di gallina grigia della Lessinia e completata da olio di peperone crusco e un piccolo saor di cavolo nero. All’apparenza vegetariano, sorprende per intensità e complessità di gusto.
Definisci la tua cucina con tre aggettivi.
Equilibrata, concreta, succulenta (ma leggera). È una cucina che invita naturalmente a un prossimo assaggio senza mai appesantire il palato.
Cosa bolle in pentola per il prossimo futuro??
Il 2025 è l’anno del consolidamento della stella Michelin. Per il 2026 non escludo un nuovo progetto diverso da Iris, più democratico e tradizionale. Ma non voglio spoilerare troppo.

Il tavolo nella cantina di Iris
Da uno a dieci, quanto sei felice?
Sto vivendo un bel periodo, sono contento. Ma c’è sempre spazio per crescere e migliorare.
La cucina di Giacomo Sacchetto oggi è un equilibrio tra memoria e innovazione, tra rispetto delle materie prime e libertà creativa. Nei suoi piatti c’è soprattutto l’emozione: quella che resta quando il gusto si fa racconto e la tavola diventa esperienza. Come un libro che si chiude senza fretta, ogni piatto lascia una piccola impronta: un sapore che fa sorridere, un ricordo che non serve spiegare, e la certezza che a volte il senso della vita sta nelle cose che sappiamo assaporare lentamente.
Il vino che sussurra ai piatti, secondo Andrea Puliga
All’Iris il vino non è un contorno, ma parte integrante dell’esperienza. A guidare la selezione è Andrea Puliga, sommelier dal passo leggero, capace di ascoltare prima ancora che parlare. Dopo una formazione fuori dai binari e una lunga esperienza al Lido 84, dove ha imparato che il vero protagonista è sempre l’ospite, Andrea è arrivato all’Iris con una visione chiara: costruire una selezione che racconti storie, non solo etichette.

La cantina del ristorante Iris
La sua carta dei vini non si legge come un catalogo, ma come un diario. C’è il Veneto, con Soave sorprendenti e Valpolicella in primo piano. C’è la Francia, soprattutto Champagne e Borgogna irrinunciabili. Ci sono presenze discrete dalla Germania e dalla Slovenia, e dall’Austria arrivano Riesling di grande finezza, capaci di sorprendere e dialogare con i piatti. E c’è sempre spazio per le sorprese, quelle bottiglie che sembrano nate per incontrarsi con un piatto e diventare qualcosa di più.
Via Leoni 10 37121 Verona