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Alla (ri)scoperta il Pignoletto d'oro Il granoturco storico di Rettorgole

Dopo un secolo di oblio, il Pignoletto d'oro di Rettorgole (Vi) rivive grazie all'interesse di Antonio Filippi, il quale vuole renderlo protagonista di un rilancio economico e agroalimentare per il vicentino

di Denise Battistin
 
15 febbraio 2016 | 15:41

Alla (ri)scoperta il Pignoletto d'oro Il granoturco storico di Rettorgole

Dopo un secolo di oblio, il Pignoletto d'oro di Rettorgole (Vi) rivive grazie all'interesse di Antonio Filippi, il quale vuole renderlo protagonista di un rilancio economico e agroalimentare per il vicentino

di Denise Battistin
15 febbraio 2016 | 15:41
 

Pignoletto, chi era costui? Dal nome potrebbe sembrare un personaggio delle favole dei fratelli Grimm, oppure un filosofo del tardo 600 d.c. o infine, il soprannome di qualche protagonista di storie cittadine, molto pignolo e un po’ polemico. Niente di tutto questo. Il Pignoletto è una specie di granoturco. Anzi, il nome per esteso sarebbe: Pignoletto d’oro di Rettorgole, dal quale si evince l’aspetto (dorato e lucente) e il luogo di coltivazione.



Tuttavia un po’ di favola non manca nella sua storia. Infatti, questa specie, data per estinta - quindi non più coltivata per decenni, pare addirittura dagli inizi del ‘900 - è ritornata alla luce e alla germinazione grazie all’interessamento di Antonio Filippi, cittadino di Caldogno (Vi) e socio del Molino Filippi di Castelnuovo di Isola Vicentina (Vi), che ha voluto riprendere il seme crio-conservato da più di cinquant’anni, per ricominciare la produzione di questa varietà autoctona, estremamente resistente e legata indissolubilmente al territorio. Il Pignoletto, infatti, è stato ibridato con il mais nostrano da Antonio Fioretti nel 1890 per dar luogo al mais Marano, la qualità che ancora oggi è fiore all’occhiello della provincia e della regione.

«Si tratta - spiega Antonio Filippi - di una varietà antica. Gli esperti lo chiamano un germoplasma locale e si tratta di una linea pura». Dalle notizie storiche ritrovate, la varietà del Pignoletto d’oro di Rettorgole è nominata in documenti del 1700. E questo mais è stato oggetto di economia e di scambi nel Vicentino fino alla fine del 1800 (quando probabilmente fu sostituito dal “Marano”). È adatto per essere coltivato nella zona di Rettorgole, particolarmente umida e ricca di acqua. «Abbiamo iniziato quest’estate a coltivare un’area con questo seme ritrovato - specifica Filippi - e abbiamo visto che la resa è stata altissima. Nonostante siano passati così tanti anni, la pianta si è ben adattata al clima contemporaneo e alle tecniche di coltivazione attuali».

La spiga si presenta allungata e piena, di colore arancio-dorato vivo traslucido con chicchi regolari e fitti di aspetto vetroso. E ora, dopo la prima fase di sperimentazione si passerà anche a coltivazioni più regolari. «Una parte del granturco prodotto in questa prima operazione di recupero - prosegue il molitore - servirà come base per la creazione di una banca di germinazione, ovvero la conservazione del seme a titolo riproduttivo. Ma naturalmente, non ci fermeremo qui».



In programma ora c’è il coinvolgimento del Comune di Caldogno, che ha già dimostrato interesse per la vicenda, e la possibilità di far ritornare in vita una specie antica, preziosa e rara che potrebbe ambire a fregiarsi della Deco. Inoltre, se Il Pignoletto tornerà ad essere vitale e produttivo, l’intento è di coinvolgere anche i coltivatori del territorio, panificatori, pasticceri e ristoratori per dare all’iniziativa una valenza economica vantaggiosa sia a livello agricolo e agroindustriale, e sia nel settore dell’accoglienza e della ristorazione.

E non è un caso se negli affreschi di Villa Caldogno sia ritratto sulle tavole imbandite anche il bussolà, un dolce tipico della zona, che molto probabilmente sembra sia stato realizzato proprio con il Pignoletto d’oro di Rettorgole. A detta degli esperti lo si capirebbe dal colore, di un giallo particolarmente acceso.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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