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Bollino per i ristoranti nel mondo Si punta sulle materie prime Doc

Dopo che il marchio di qualità della ristorazione italiana all'estero di Isnart e Unioncamere è diventato realtà per 38 ristoranti, da Londra a New York arrivano i pareri sull'iniziativa. Favorevoli Lidia Bastianich del Felidia e Fipe. Problematica la posizione del Gruppo virtuale cuochi italiani

07 luglio 2010 | 17:43
Bollino per i ristoranti nel mondo Si punta sulle materie prime Doc
Bollino per i ristoranti nel mondo Si punta sulle materie prime Doc

Bollino per i ristoranti nel mondo Si punta sulle materie prime Doc

Dopo che il marchio di qualità della ristorazione italiana all'estero di Isnart e Unioncamere è diventato realtà per 38 ristoranti, da Londra a New York arrivano i pareri sull'iniziativa. Favorevoli Lidia Bastianich del Felidia e Fipe. Problematica la posizione del Gruppo virtuale cuochi italiani

07 luglio 2010 | 17:43
 



Che la Cucina italiana all'estero piaccia e sia sempre più ricercata è ormai un dato di fatto. Ma tra quella autentica, d'ispirazione o quella taroccata per i clienti dei ristoranti nel mondo la questione si fa sempre più difficile. Per evitare che si incorra negli 'spaghetti” alla bolognese con il Parmesan al posto del Parmigiano Reggiano, Isnart (Istituto nazionale ricerche turistiche) e Unioncamere, con il sostegno del viceministro per lo Sviluppo economico Adolfo Urso, hanno già certificato 38 ristoranti italiani da Londra a Singapore, da Dubai a Città del Messico. Dopo la notizia, data in anteprima da Italia a Tavola, il marchio di garanzia, un bollino del quale possono fregiarsi solo i locali autentici, rispettosi cioè di certi parametri, ha suscitato grande interesse. E da una parte all'alta rimbalzano i commenti favorevoli all'iniziativa, ma anche dichiarazioni di sfiducia per i troppi 'bollini” da dover appiccicare sulle vetrine dei locali.

Paolo Monti, Lidia Bastianich e Alberto LupiniDa New York Lidia Bastianich (nella foto, al centro con lo chef Paolo Monti, a sinistra, e il direttore di Italia a Tavola Alberto Lupini), la signora del "Felidia", dal 1981, (vera regina della ristorazione italiana con oltre una decina di locali in città) che da sempre promuove i nostri prodotti, la qualità, le ricette italiane, fa sapere che l'attenzione è da spostare sulle materie prime: «A Manhattan - spiega - cucinare italiano è diventata una mania. Il problema è far circolare ovunque le materie prime autentiche, le conoscenze e le ricette. Ciò detto, non fissiamoci sui cuochi italiani. Anche uno straniero, ben guidato, può fare meraviglie. Il marchio di garanzia? Ben venga, ma senza rigidità».

Non è invece d'accordo col bollino un altro ambasciatore del made in Italy a New York, Tony May, patron del famosissimo San Domenico, (che ora ha cambiato indirizzo e nome), che con una punta di sarcasmo ha commentato al Corriere della Sera: «Sapesse quanti bollini di certificazione italiana ho collezionato! Sono vent'anni che varie istituzioni, a turno, ci provano. Si cominciò con Ciao Italia, e avanti con gli adesivi di tutti i tipi. La mia sensazione è che queste tutele siano quasi inutili. Intendiamoci, è sacrosanto tenere alto e difendere il made in Italy. Ma occorrono risorse economiche, un piano serio, elaborato nel Paese straniero, comunicazioni mirate sui giornali, in tv. Avrei anche da ridire - ha continuato May - sui parametri richiesti per ottenere il marchio dell'Unioncamere. Che significa chiedere almeno il 50% di ricette italiane nel ristorante tricolore? E l'altro 50? Un compromesso che non mi piace. Discorso analogo riguarda i vini in lista: per avere il bollino, occorre che almeno 20 bottiglie su 100 siano made in Italy. Comunque sia, un nutrito drappello di ristoranti - a Londra, Praga, Barcellona, Singapore, Città del Messico, Caracas, Dubai, Chicago - hanno già il marchio. Entro l'anno, arriveranno a 1.000 i locali inseriti nella Lista 'Doc”».

Da Londra, la città che con Singapore ha ricevuto, per il momento, il più alto numero di certificazioni (4 ristoranti), Giorgio Locatelli, patron della Locanda Locatelo, dice invece sì alla certificazione: «Noi ristoratori siamo sempre sotto giudizio. Ed è giusto così. Non a caso le guide internazionali ci assegnano o tolgono punti. Voglio dire che lo standard elevato deve essere sempre mantenuto. I bollini? Immagino la fila di quanti vorranno averlo. Ma i controlli, poi, chi li fa? L'utilità dello stemma tricolore in vetrina ha senso in quei Paesi dove la cultura sui prodotti e sui piatti italiani è agli albori. Penso a Dubai o all'Australia. A Londra è un'altra musica. Gli inglesi amano l'Italia, i prodotti e la sua cucina. Prenotano e giudicano ormai a colpo sicuro».

Stessa opinione da Singapore dove Lino Sauro, chef siciliano del nuovo Gattopardo, racconta soddisfatto la diffusione della conoscenza sulla cucina italiana: «Oggi i miei clienti parlano di cipolla di Tropea e di formaggio di Fossa, come niente fosse».

Materie prime Doc dunque. Anche se da Parigi c'è chi, come Giovanni Passerini, chef del Rino, sostiene che si possono usare anche prodotti non italiani ma sempre di qualità: «Per fare buona cucina italiana - spiega Passerini - non è indispensabile utilizzare prodotti esclusivamente made in Italy, spendendo un occhio della testa. Mai provati i pomodori della Bretagna? Ottimi».

Lino Enrico StoppaniFin qui i ristoratori. Ma le associazioni di categoria cosa pensano del nuovo bollino di qualità? Un sì entusiasta arriva dalla Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi): «Ha ragione - ha detto il presidente Lino Enrico Stoppani (nella foto a sinistra), - il vice ministro allo Sviluppo economico Urso, a ricordare che la promozione all'estero del Made in Italy passa anche per il progetto del marchio di qualità da assegnare a mille ristoranti italiani nel mondo entro l'anno e a 10mila entro i prossimi tre».

«Il progetto di dotare di una targa i ristoratori all'estero che offrono la cucina delle nostre tradizioni locali - ha continuato Stoppani - riconoscibile come tale nasce da una richiesta degli stessi operatori. I nostri colleghi ristoratori all'estero ci hanno sollecitato a gran voce l'esigenza di potersi distinguere da altri che di italiano hanno solo l'insegna. Basti ricordare che su 100mila imprese che offrono piatti italiani all'estero non più di 20mila rispettano gli elementi basilari della nostra cucina tradizionale. Gli altri 80mila cercano di adattare al gusto della clientela estera le nostre ricette locali, mistificandole anche nell'impiego dei prodotti non italiani, tradendo così il sapore originario di un piatto tipico e facendo quindi una promozione non veritiera dell'arte culinaria. Questi ristoratori sono equiparabili a chi commercia prodotti con marchi falsi. Per la riuscita di questo progetto è importante che tutti contribuiscano con le proprie risorse, compresi i soggetti dell'intera filiera agroalimentare».

Rosario ScarpatoPiù problematica la posizione del Gvci (Gruppo virtuale cuochi italiani nel mondo). Secondo il segretario Rosario Scarpato (nella foto a destra): «è un'ossessione, quella di voler metter i bollini di autenticità ai ristoranti italiani all'estero. Quelli di "Ospitalità italiana" hanno pubblicato in tempo record i primi 38 ristoranti italiani che secondo loro meritano il bollino di autenticità e qualità. Non giudico i ristoranti tra i quali ce ne sono alcuni di veramente pregevoli e alcuni sono anche di associati Gvci. Ma che serietà può avere un'iniziativa portata avanti da impiegati delle Camere di commercio all'estero senza alcuna preparazione enogastronomica? E sapete quanti esperti 'veri” di cucina italiana nel mondo siedono nel comitato centrale romano dell'iniziativa che rilascia il bollino, a parte Matteo Scibilia, che è cuoco, presidente del Consorzio cuochi e ristoratori di Lombardia e sostenitore del Gvci, e Gian Domenico Auricchio che produce formaggi che esporta in tutto il mondo? Provate a indovinare... E visto che ci siete immaginate anche quante risorse siano state spese inutilmente... Immaginate quanto costa il solo riunirli... Ah, e la valutazione di quali sono i ristoranti che meritano i bollini, nello specifico la fanno i signori del Comitato di valutazione: semplici impiegati degli enti che rappresentano, che non hanno la minima idea di quello che succede nei ristoranti di Bangkok, di Mumbai, di Toronto... Non so che film stiamo vedendo. Horror o commedia all'italiana?».

Intanto bollino o no, tutti sono d'accordo sulla necessità di tutelare il vero made in Italy contro le 'storpiature” e i taroccamenti come il ragù alla bolognese con il pollo o gli 'spaghetti bolognaise”.


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