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Vino di Cavour simbolo dell’Unità Il progetto del ministro Galan

Per il vino della vigna di Cavour il ministero delle Politiche agricole, in accordo con i comuni di Grinzane Cavour (Cn) e di Alba (Cn), darà vita ad un progetto che valorizzerà nei modi dovuti un vino le cui nobili origini gli consentono di diventare il vino dei 150 anni dell’Unità d’Italia

 
24 dicembre 2010 | 09:45

Vino di Cavour simbolo dell’Unità Il progetto del ministro Galan

Per il vino della vigna di Cavour il ministero delle Politiche agricole, in accordo con i comuni di Grinzane Cavour (Cn) e di Alba (Cn), darà vita ad un progetto che valorizzerà nei modi dovuti un vino le cui nobili origini gli consentono di diventare il vino dei 150 anni dell’Unità d’Italia

24 dicembre 2010 | 09:45
 

Il ministro dell'Agricoltura Giancarlo Galan (nella foto a sinistra) ha intenzione di riportare in auge il vino Barolo prodotto dalla vigna di Camillo Benso Conte di Cavour (nella foto a destra) e di farne il simbolo dei 150 anni dell'Unità d'Italia.

«Con l'auspicio che al più presto siano ristabilite sicurezza e serenità a Roma, oggi profondamente turbata e ferita da attentati criminali, non posso non occuparmi di una questione che non solo mi ha incuriosito, ma mi ha fin da subito, dopo aver letto un articolo di Aldo Cazzullo, spinto a chiedere ulteriori informazioni e delucidazioni al Sindaco di Grinzane Cavour, l'amico Franco Sampò. Il problema è presto detto: il capostipite di tutti i ministri dell'Agricoltura italiana, cioè a dire, uno dei fondatori dell'Unità Nazionale, isomma, Camillo Benso Conte di Cavour, amava la sua terra. E nell'amare quella sua terra pare che lui stesso dette vita ad una vigna 'da cui ebbe inizio la storia di uno dei vini più prestigiosi al mondo”, per dirla con Cazzullo.

«In sintesi: la vigna del Barolo che fu di Cavour, nonché il castello che domina l'affascinante località piemontese, appartengono alla Fondazione Adele Alfieri di Sostegno. Si tratta di un ente pubblico la cui conduzione è attualmente  affidata alla scuola enologica di Alba. Qual è il problema allora? Il problema consiste nel fatto che tutte le bottiglie del Barolo di Cavour fino all'annata 2003 sono state vendute e, in alcuni casi, i proventi sono stati devoluti ad attività benefiche. Tutto però si blocca a partire dall'annata 2004, nel senso che la Regione Piemonte acquistò 2.500 bottiglie del celebre vino annata 2004. A quel punto tutto si insabbia e la vicenda si ingarbuglia e così enti locali, enti privati, fondazione e produttori di vino non sanno più che pesci prendere».

«Ciò che intendo fare è, in buona sostanza, dar vita ad un progetto, ovviamente assieme ai sindaci di Grinzane Cavour e di Alba e di tutti coloro che da anni seguono con interesse e passione le questioni legate alla vigna di Cavour, finalizzato a valorizzare in ogni modo possibile un Barolo che può, magari con il diretto interessamento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, diventare il vino simbolo delle ricorrenze previste per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Mi auguro che nessuno abbia da ridire su di una simile candidatura, se non altro perché il Piemonte è il Piemonte e Cavour rappresenta per me il Risorgimento, la grande cultura politica Liberale, la civiltà dell'agricoltura intesa nel modo più alto».

«Se in Francia avessero lo Champagne della vigna di Napoleone, ci farebbero un tale chiasso attorno...», sorride amaro Bruno Ceretto. In Italia - scrive Aldo Cazzullo sul Corriere della sera - invece abbiamo davvero il Barolo della vigna di Cavour. Eppure, a 150 anni dalla nascita della Nazione, e dalla morte del conte, non lo vuole nessuno. Oltre che padre della patria, Cavour lo è anche del Barolo. A Grinzane Cavour, il paese di cui fu sindaco e che ne porta il nome, c'è ancora il terreno con la vigna da cui ebbe inizio la storia di uno tra i vini più prestigiosi al mondo. L'astuto Giuliano Soria l'aveva valorizzata, facendone un'etichetta finita nelle case dei grandi scrittori. Poi la spregiudicata vicenda del premio Grinzane è finita con gli scandali, il carcere, il processo.

Il Barolo di Cavour - prosegue Cazzullo - è rimasto orfano. Ed è stato adottato dalla Regione Piemonte e dai vignaioli. A turno, un anno a testa, gli allievi della scuola enologica e i produttori della zona (prima i Rosso, poi i Ceretto, quindi la cooperativa Terre del Barolo) si sono presi cura della vigna, gratis. L'annata 2002 è stata venduta all'asta e i proventi sono andati a un'iniziativa benefica per i bambini ricoverati al Sant'Anna di Torino. L'annata 2003 l'hanno voluta gli svedesi. La Regione ha rilevato 2.500 bottiglie dell'annata 2004. Mai uscite dalle cantine, però. Le altre annate attendono nelle botti di conoscere il loro destino. Perché al governo del Piemonte è arrivata la Lega. Che il vino di Cavour non lo vuole; almeno finora. «Ho scritto al presidente Cota - racconta Claudio Rosso - e al comitato per i 150 anni. Non ho avuto risposte. Le bottiglie restano lì nelle nostre cantine, nessuno indica come etichettarle e cosa farne. Allora ci siamo rivolti al Quirinale».

Rosso, Ceretto, la cooperativa del Barolo, la scuola enologica, il sindaco di Grinzane e quello di Alba - conclude il giornalista del Corriere - hanno scritto a Napolitano, chiedendo il suo intervento. L'impressione dei langaroli è che la lettera non sia mai arrivata nelle mani del presidente: la risposta è giunta dai suoi uffici, sommersi da migliaia di missive sui 150 anni. Il Quirinale informa che la questione è di competenza del presidente del Consiglio, e quindi la lettera è stata girata a Palazzo Chigi. Si attende fiduciosi la risposta di Berlusconi. La vicenda è a suo modo istruttiva. I vignaioli delle Langhe non sono dei sovversivi: Ceretto è stato assessore alla Cultura nelle giunte di centrodestra ad Alba, le cooperative della zona sono rigorosamente bianche. Semplicemente, hanno a cuore le radici, la tradizione, la storia della loro terra, che in questo caso fortunato coincidono con quelle della patria comune, e del suo artefice. E quindi dovrebbero stare a cuore anche alla Lega. Forse è colpa solo della burocrazia. O delle poste. Di sicuro, il conte non se lo merita. Lui che non usò mai l'appartamento di rappresentanza che gli spettava, preferendo invitare gli ospiti a sue spese, sarebbe felice di sapere il suo Barolo sulle tavole dei capi di Stato, e non nel chiuso del sottosuolo, senza etichetta, rifiutato dai suoi ignari posteri.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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