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La Cucina perde un grande maestro Addio a Renato Dominici

Si è spenta a 85 anni una delle personalità più importanti della gastronomia piemontese. «Amo i sapori e la gente autentica» era il suo motto. Una vita ricca: dall’industria metallurgica alla musica, poi l’approdo al ristorante La Carmagnole, la perdita del figlio e la nuova partenza ad Eataly

 
02 marzo 2011 | 18:17

La Cucina perde un grande maestro Addio a Renato Dominici

Si è spenta a 85 anni una delle personalità più importanti della gastronomia piemontese. «Amo i sapori e la gente autentica» era il suo motto. Una vita ricca: dall’industria metallurgica alla musica, poi l’approdo al ristorante La Carmagnole, la perdita del figlio e la nuova partenza ad Eataly

02 marzo 2011 | 18:17
 

Renato DominiciIl vulcano si è spento a 85 anni. Renato Dominici se ne è andato come forse aveva desiderato: così in un soffio, parlando fino all'ultimo di cucina e vini, durante una lezione a Eataly di Pinerolo (To). Dopo la grande epopea del ristorante La Carmagnole, la casa di famiglia trasformata in tempio della cucina d'autore, reso grande con la moglie Anna e la figlia Federica, Dominici l'instancabile era entrato nello staff di Oscar Farinetti: teneva seguitissimi corsi di cucina ed economia domestica. Aveva una sua pubblica cattedra nella sede di Torino, accanto alla biblioteca gastronomica: qui riceveva gli amici e i sempre numerosi discepoli. «Amo la gente e la cucina vera» era il suo motto.

Una vita straordinaria, connotata da un rapporto speciale con Matteo Correggia, il vignaiolo del Roero che aveva enologicamente scoperto e amato come un figlio. Nella vita Renato ha dovuto superare prove durissime: il figlio Guido, campione di equitazione, capitano della nazionale italiana, fu stroncato da una rara forma di tumore a 41 anni nel 1999. Anche Matteo Correggia se ne andò nel 2001, vittima di una tragico incidente di lavoro sul trattore.

Il giornalista de La Stampa Sergio Miravalle in occasione della stesura del libro 'La cometa del Roero” (Veronelli, 2009) ha incontrato Dominici. Da quell'incontro nacque il racconto che segue.

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Renato Dominici è nato a mezzogiorno del 25 novembre 1925. 'Evviva, aggiungiamo un posto a tavola”, esclamò la nonna. Era il segno del destino. Fin da piccolo quel ragazzino, vivace e curioso, preferì giocare con le pentole piuttosto che con i soldatini. In famiglia amavano la buona cucina. Imparò i segreti da una vecchia cugina cuoca, a servizio nelle case della buona borghesia di Carmagnola. Oggi si direbbe 'catering”: andava e preparava grandi pranzi per occasioni speciali. Domenico la ascoltò attento e ci mise del suo.

Da bambino, dopo i compiti, lo lasciavano in cucina: la sua specialità le omelette flambé perché 'mi piaceva fare un po' di scena con la fiamma nel piatto”. Crebbe e frequentò il liceo classico 'Baldessano” di Carmagnola. Si appassionò a storia, filosofia, latino e greco, letteratura. 'Ricordo il primo tema del nostro professore di Italiano: la parola”. Da allora le ha usate con dovizia le parole, mai troppe e mai poche, sempre quelle giuste, accurate, ricercate. Una cernita di materie prime contro il dilagante bla-bla, soprattutto quello enogastronomico che detesta.

Renato Dominici è giovanotto negli anni della guerra. Dopo il disastro dell'8 Settembre ‘43 è in età da soldato. Fugge dal bando Graziani degli arruolamenti nella Repubblica Sociale. Si rifugia a Pralormo. La sfanga non facendosi troppo vedere in giro. Con la pace si iscrive all'Università, ad Agraria e intanto mette a frutto gli studi di pianoforte. C'è voglia di musica dopo i suoni tristi e cupi della guerra. Suona nei locali e viene ingaggiato anche da grandi orchestre. 'La musica e la gastronomia sono le grandi passioni della mia lunga vita”. Ha pronta la tesi, ma in famiglia devono fare i conti con la salute malferma del padre che conduce una piccola azienda metalmeccanica di carpenteria e carrelli dal nome curioso 'Carriolificio italiano”.
 
E' una scelta obbligata. Renato si affianca al padre e diventa imprenditore del ferro. 'Una condanna ai lavori forzati” sentenzia ancor oggi senza mezzi termini. Lui estroso e creativo costretto alla rigidità produttiva dei fatturati. Va avanti per anni con molti rimpianti. Ma non smette di studiare pianoforte e continua il suoi viaggi da gastronomo raffinato. La moglie Anna lo segue. Si erano conosciuti ad una festa musicale. Lui era tra i suonatori. 'Dopo le presentazioni di rito della prima sera le mandai un mazzo di rose”, racconta ancora stupendosi divertito. Cupido scoccò le sue frecce: 'La sera seguente le ho chiesto di poterla riaccompagnare a casa a piedi e nel tragitto mi sono dichiarato. Intuivo che era la donna giusta per me”. 'Vuoi sposarmi? Le chiesi. Lei incredibilmente mi rispose sì. Davanti al portone fissammo la data: 6 settembre”. Era il luglio del 1964. 'Le grandi scelte le prendo sempre in pochi minuti. Anche la fabbrica quando decisi di cederla, aveva 25 dipendenti, e lo feci dalla mattina alla sera. La misura era colma. Avevo 57 anni e mi aspettava la mia nuova seconda vita”.

Era il 1982. Da luglio a dicembre mette in piedi il suo locale, utilizzando una parte del bel palazzotto barocco di famiglia nel centro di Carmagnola, in via Chiffi. Sul palcoscenico della cittadina di 25 mila abitanti, ad una trentina di chilometri da Torino, famosa per i suoi peperoni, si reciterà ogni sera a soggetto. Nasce 'La Carmagnole” e Renato Dominici ne diventa l'anfitrione. Un ristorante-casa-laboratorio con la moglie Anna e la figlia Federica dietro le quinte in cucina e Renato mattatore in sala da pranzo. Cucina di territorio, rispetto della tradizione ed estro creativo. Grande cura dei particolari. 'Avevamo un quaderno degli ospiti dove ogni volta ci segnavamo i piatti da loro gustati in modo da proporre sempre cose diverse”.

Un successo. Dominici rinasce. Cuoco raffinato, gourmet sapiente, magari anche 'oste della malora” quando serve. La sua 'Carmagnole” fa tendenza. Entra a contatto con Slow Food, frequenta Carlin Petrini e i ragazzi di Bra, ne condivide le scelte e la filosofia. Un'adesione entusiasta e passionale. E' in quest'ambiente che conosce Matteo Correggia e prima ancora un suo vino.

Dominici lo ricorda così: 'Stavano organizzando la prima convention dei vini di Langa e del Roero ad Alba. Il nostro era tra i locali che aderivano agli eventi di Slow Food, che allora era ancora Arcigola. Alfredo Bernocco della cooperativa 'I tarocchi”mi diede sei bottiglie di un vino da abbinare a qualche mio piatto. Era un Brachetto vinificato secco. Non sapevano bene neanche loro come consigliarlo. Preso dal lavoro lasciai quelle bottiglie qualche tempo in cantina. Una sera ne stappai una. Fu una folgorazione. A ripensarci, fu un po' come quando conobbi mia moglie. Me ne innamorai subito. Era il vino che mancava dai miei menù: profumato di fiori, intenso, evocante. E soprattutto piacevole e di grande bevibilità. Decisi di adottarlo”.

Con l'entusiasmo di uno spasimante il giorno dopo va a Canale, nel vicino Roero, a conoscere il produttore. 'Arrivo in cortile e lui è là che mi aspetta. Lo ricordo a gambe larghe, tipo John Wayne. Non sapeva chi fossi e aveva una certa diffidenza contadina. Ma bastarono poche parole per intenderci.Gli spiego che voglio quel suo vino così particolare da abbinare ogni sera ad uno dei miei piatti. Alla 'Carmagnole” ogni portata era accompagnata da un vino diverso. Ne fu contento e mi fece conoscere sua madre. Stavano imbottigliando a mano con la macchinetta e mettevano le etichette ad una ad una. Fui ancora più convinto. Avevo conosciuto un produttore giusto, senza spocchia e con una gran voglia di emergere. Io potevo aiutarlo”.

Quel Brachetto secco piace non solo a Dominici. Molti clienti del suo ristorante, dopo averlo provato lo cercano e si rivolgono al produttore. Matteo Correggia con 'lo stupore del successo” , che accompagnerà tutta la sua intensa vita, ha un altro segnale importante di essere sulla strada giusta. Dominici diventa uno di casa a Canale. Il gusto e l'esperienza compendiano le intuizioni di Matteo che quando deve fare 'bella figura”sa di poter contare sulla 'Carmagnole” e la sua elegante ospitalità. Accadrà anche alla prima cena importante con Ornella.

Porta la fidanzata dal suo amico gastronomo. Non lo confesserà mai, ma anche in questo caso, oltre che far colpo su di lei, vuole avere da Renato un giudizio. 'Gli dissi che aveva buon gusto e bastò” ricorda ancora Dominici, nell'inedito ruolo di 'bacialé”, novello sensale di matrimoni. Pochi mesi prima Matteo era rimasto sconvolto dalla morte cruenta del padre Giovanni, travolto, sotto i suoi occhi, da un tronco che stavano tagliando in un bosco. L'intesa tra il giovane vignaiolo e il patron della 'Carmagnole”si fa ancora più intensa. 'Ci sentivamo quasi ogni giorno. Era un confronto reciproco”.

E da padre putativo sul campo Dominici interviene anche sul nome del suo vino preferito. 'Era successo che nel Roero non potevano più chiamarlo Brachetto e qualcuno decise di ribattezzarlo Birbet. Un vezzeggiativo che considero, ancora oggi, orribile. Insieme cercammo un'alternativa. Attinsi dagli studi classici. Spuntò Anthos, che in latino richiama i fiori. Gli piacque, si convinse. Da quel momento proposi quel vino con ancora più entusiasmo. Ne stappavo più di un migliaio di bottiglie l'anno. Mi convinceva sempre più anche il lavoro che Matteo faceva sugli altri rossi: credeva nel Roero, stava diventando un leader e un punto di riferimento anche per altri giovani produttori, ma non era un ruolo facile. Lui era un perfezionista e discutevamo a lungo ogni volta che c'era da imbottigliare una partita. Si fidava del mio palato, anche se la decisione finale spettava a lui”.
 
Dominici si diverte a stupire. In una cena con decine di giornalisti, molti stranieri, propone l'Anthos con un piatto di carciofi cotti nella loro crema. C'era anche Matteo che non ne sapeva nulla. I carciofi mal sopportano qualsiasi vino, ma l'Anthos supera la prova e la serata finisce tra gli applausi convinti alla cucina e al produttore. Poco dopo il famoso emporio gastronomico 'Paissa” di Torino, nella centralissima piazza San Carlo, dedica una sua vetrina a quel vino capace di 'sposarsi”anche con i carciofi. Renato e Matteo ne sono orgogliosi.

Ma non mancano i momenti neri e i due amici si ritrovano uniti anche dal dolore. Per Renato la prova è tremenda. Guido Dominici, suo figlio, campione di equitazione, capitano della Nazionale italiana, muore di tumore nel luglio 1999 a poco meno di 41 anni. I giornali raccontano del 'cavaliere timido” discepolo del brasiliano Nelson Pessoa, che era destinato a difendere i colori azzurri alle Olimpiadi. Matteo lo conosceva. Aveva avuto modo di discutere con lui di cavalli. Tra meno di due anni anch'egli finirà la sua cavalcata terrena. In quel giugno 2001 segnato dalla lacrime toccherà a Renato, con la morte nel cuore,organizzare il 'comitato d'emergenza”. Con Giorgio Rivetti e altri vignaioli eccellenti darà una mano a Ornella per continuare a far vivere l'azienda del suo amico Matteo 'quel ragazzo di cui sono stato orgogliosamente fiero, proprio come un figlio”.

Lui, da gastronomo sapiente, va ancora avanti fino al 2004 con moglie e figlia nella sua 'Carmagnole”. Poi sente che è ora di calare il sipario anche di questa straordinaria avventura. Ma non smette di stupire e di credere in quello che fa. Con l'apertura di 'Eataly” diventa consulente gastronomo. Ha più di ottant'anni, ma non se li sente. Il patron Oscar Farinetti lo vuole a Torino ogni giorno alla scrivania dell'area libri del grande emporio del gusto per dispensare consigli e organizzare corsi di cucina. Ha raccolto memorie e riflessioni in un volume 'Casa Dominici”, edito da Slow Food.

'Spesso quando la gente mi avvicina e mi fa i complimenti penso a mio figlio Guido e a Matteo. Mi piacerebbe ancora averli vicini. Parlare di cavalli e di vino e ridere con loro. Sono certo però che quando li raggiungerò avranno i bicchieri pronti al brindisi e sarà Anthos... altrimenti che Paradiso sarebbe”.


Fonte: La Stampa

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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