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Roero
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Il Made in Italy dell’integrazione I nuovi mercati halah e kosher

Sono la purezza e la sacralità del cibo ad unire a tavola il mondo islamico e quello ebraico,ma la qualità certificata è anche igiene, sicurezza e salute e conquista sempre più consumatori non osservanti. L'obiettivo è promuovere i prodotti italiani in una società multietnica e multiculturale

di Mariella Morosi
 
27 ottobre 2011 | 18:34

Il Made in Italy dell’integrazione I nuovi mercati halah e kosher

Sono la purezza e la sacralità del cibo ad unire a tavola il mondo islamico e quello ebraico,ma la qualità certificata è anche igiene, sicurezza e salute e conquista sempre più consumatori non osservanti. L'obiettivo è promuovere i prodotti italiani in una società multietnica e multiculturale

di Mariella Morosi
27 ottobre 2011 | 18:34
 

«La concordia tra il mondo musulmano ed ebraico si può trovare anche a tavola, venendo incontro alle esigenze di ampie fasce di consumatori in una società multietnica». Lo ha detto il presidente di Confagricoltura Mario Guidi al seminario promosso a Roma dall'organizzazione degli imprenditori agricoli, dedicato alle certificazione kosher per gli ebrei e halal per i musulmani. Tali certificazioni possono diventare un forte strumento di marketing per collocare i nostri prodotti nella grande distribuzione in Italia e all'estero, destinandoli non soltanto a chi osserva i precetti religiosi di entrambe le religioni, ma a quel segmento di consumatori sempre più consistente che - come ha scritto il New York Times - «vedendo su un prodotto la certificazione che garantisce il massimo della purezza, possono fare a meno di leggerne l'etichetta».

La parola kosher significa "adatto", cioè conforme ai dettami religiosi. La Bibbia (Levitico 11,1 e seguenti) distingue rigidamente tra alimenti puri e impuri. Consente le carni dissanguate di tutti i ruminanti con gli zoccoli fessurati, bovini e ovini, dei pesci con pinne e scaglie e dei volatili ma vieta severamente il maiale, i crostacei e i frutti di mare.

Nel Corano invece non ci sono elenchi di ciò che è permesso o non permesso, perché tutto ciò che è offerto dalla Provvidenza di Dio è "lecito" (halal) per l'uomo. Sono le cose proibite, l'haram (illecito), a essere un'eccezione, e quindi no al maiale, agli animali malati e quelli uccisi non col rituale religioso, che non accetta il preventivo stordimento. Un punto, quest'ultimo, che continua a provocare indignazione e che ha spinto la Francia a vietare la macellazione islamica.

Sono regole non sempre facili da osservare in entrambe le religioni, difficili da seguire anche nella fase della trasformazione, del packaging, nel trasporto e nella distribuzione di un prodotto. Sarebbero soltanto le certificazioni - rilasciate da rabbini, imam e professionisti dei controlli - a garantire sia il consumatore religioso sia quello 'laico” ma attento alla massima qualità. Attraverso questo passaggio - questo è quanto ha voluto dimostrare il seminario di Confagricoltura - le aziende possono guadagnare quote di mercato con un investimento minimo.

A sostenerlo sono stati Pietro Busconi, dell'Orthodox Union, l'organizzazione mondiale maggiormente rappresentativa in termini di certificazione Kosher, e Nicola Isa Benassi, Responsabile Qualità di Halal Italia, la società di servizi nata nel 2009 con un progetto pilota affidato alla Coreis, la più importante comunità religiosa islamica in Italia, in collaborazione con la Camera di commercio di Milano.

Successivamente il progetto è stato sviluppato con un disciplinare tecnico,definito un percorso per la certificazione e firmata una convenzione interministeriale con quattro dicasteri: Sviluppo economico, esteri, politiche agricole e sanità. Ma perché un'azienda dovrebbe essere interessata a certificarsi? Pietro Busconi, per il canale kosher, ha fatto riferimento soprattutto al mercato statunitense che al momento sembra essere il più attrattivo per il Made in Italy.

«Per milioni di americani, e non solo di ebrei osservanti - ha detto - kosher significa qualità. è un segmento che vale 150 miliardi di dollari e ogni anno 2.500 prodotti nuovi conquistano il marchio. Il fatturato è in continua crescita (12% l'anno) e solo una parte dei consumatori kosher - questo è un dato che fa riflettere - è di religione ebraica. Del resto gli ebrei negli States sono soltanto 6 milioni e mezzo. A comprare kosher, nel senso di garanzia di cibo puro,sano e garantito, sono anche musulmani, vegetariani, vegani, allergici o altri soggetti per un mercato potenziale di circa 75 milioni di persone. Parliano di un consumatore è anche ad alto valore di acquisto: la spesa media è di 44 dollari, mentre il compratore kosher ne spende 72, cioè il 64% in più». Sarebbero a oggi appena 200 le aziende italiane dotate di certificazione OU (Orthodox Union), con un fatturato di 340 milioni di dollari.

Le regioni maggiormente rappresentate sono il Friuli, il Piemonte e l'Abruzzo ed esportano negli Usa bevande, caffè, conserve, cereali da colazione, dolciumi, snacks, pasta e prodotti da forno. La certificazione OU garantisce già un milione di prodotti di 7mila aziende di 83 Paesi, il 40% di tutti gli alimenti kosher presenti negli scaffali dei 18mila supermercati americani che li commercializzano.

I numeri fanno comprendere come la certificazione scavalchi ogni tipo di motivazione religiosa e permetta una maggiore forza competitiva in fatto di export. Una tesi, questa condivisa pur con qualche differenza da Benassi di Halal Italia, anche considerando che il rispetto della legislazione nazionale ed europea in materia di igiene, sicurezza alimentare e benessere animale è imprescindibile ai fini del rilascio della certificazione. «Molte - ha confermato - sono le opportunità per le aziende che si affacciano ad una platea che rappresenta il 20% della popolazione mondiale con nutrite comunità musulmane (1,5 milioni in Italia e 20 in Europa). Essa richiede alimentari ma anche cosmetici e farmaceutici nelle cui fasi di produzione e lavorazione vengano rispettate le regole del Corano. Si stima che il mercato Halal-food valga in Italia 70 miliardi (5 solo in Italia) e che sia destinato a crescere ulteriormente con grandi opportunità per le aziende che esportano».

Emerge dal seminario di Confagricoltura una grande opportunità commerciale per le imprese agricole in chiave di export. Non a caso Busconi ha voluto citare ancora il New York Times sulla certificazione kosher, ma che vale anche per l'halal: «è una delle migliori decisioni di business - ha scritto il giornale - che un'azienda possa prendere». Ha detto il presidente Guidi, concludendo il seminario seguito da un vivace dibattito: «Le certificazioni kosher e halal derivano dalla sacralità dell'alimento, che deve essere puro,incontaminato, lecito. Ci accostiamo a tutto ciò con rispetto. Anche attraverso il cibo si può costriore un ponte che avvicina culture e religioni. Un ponte che un'organizzazione come la nostra,laica e attenta al business ma anche sociale e sostenitrice dell'integrazione tra i popoli,non può non cogliere».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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