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Quando a Gallipoli "scorre" il Mekong... Il pesce tarocco in tempo di crisi

L'82% degli stock ittici mediterranei è sovrasfruttato, la pesca è in crisi e in più ci sono gli imbroglioni: pesce straniero spacciato per italiano, pangasio del Mekong che diventa cernia di Gallipoli e tanti danni per tasche e salute. E allora si chiede la tracciabilità completa

di Rossana Verdier
 
07 marzo 2012 | 15:25

Quando a Gallipoli "scorre" il Mekong... Il pesce tarocco in tempo di crisi

L'82% degli stock ittici mediterranei è sovrasfruttato, la pesca è in crisi e in più ci sono gli imbroglioni: pesce straniero spacciato per italiano, pangasio del Mekong che diventa cernia di Gallipoli e tanti danni per tasche e salute. E allora si chiede la tracciabilità completa

di Rossana Verdier
07 marzo 2012 | 15:25
 

Di pesce si parla molto in cucina, e, d'altra parte, in Italia è un assoluto must, principe della cosiddetta 'dieta mediterranea”. Eppure il 'nostro” pesce, oggi come oggi, scarseggia, e si cerca di correre ai ripari in qualunque modo, siano essi metodi che cercano di risolvere il problema a monte o mezzucci che, purtroppo, sono adottati solo per lucrare alle spalle degli ignari consumatori.

Ma procediamo con ordine. Circa l'82% degli stock ittici del Mediterraneo sono sovrasfruttati, con il risultato che le riserve disponibili mano a mano spariscono, trascinando con sé anche gli operatori del settore, che vedono il proprio futuro come un'incognita. Il Tfc System, proposto di recente come soluzione, prevede un sistema di concessioni di pesca trasferibili: ciò significa che ciascun peschereccio avrà diritto, per una durata di 15 anni, a una percentuale della quota di pesca che spetta ogni anno ai singoli Paesi, e che ciascun pescatore potrà vendere, comprare o affittare ad altri o da altri le quote, anche in parte. L'intenzione è quella di garantire a tutti una fetta di mercato, con il rischio, però, che i piccoli finiscano per vendere le proprie quote "per forza", creando un sistema di compravendita in mano alle grandi aziende.



Questo per quanto riguarda la pesca. Ma la filiera continua: il pesce nostrano, con prezzi alle stelle (quasi 50 euro al chilo la spigola), raggiunge la pescheria o l'imprenditore con la propria 'carta d'identità”, che ci indica, tra l'altro, l'origine del prodotto. Nel momento in cui passa nelle mani di terzi, ad esempio ristoratori, tuttavia, il pesce perde la propria identità, e non se ne sa più nulla.

E dunque ci troviamo a degustare gamberi di Mazara (del Mozambico), filetti di cernia (in realtà pangasio) di Gallipoli (cioè del Mekong), il polpo di Mola (del Vietnam), le vongole veraci turche e lo squalo smeriglio spacciato per pesce spada. Ovviamente venduti agli stessi prezzi dei prodotti ittici mediterranei, molto simili, per un occhio inesperto, a quelli esotici elencati.

L'allarme è stato lanciato da Coldiretti Impresa Pesca, che ha denunciato, come dice il direttore provinciale Francesco Ciarrocchi, che «due terzi dei pesci serviti a tavola sono tarocchi. Eppure, nonostante la pescosità dei nostri mari e la presenza di numerose imprese, solo un terzo del pesce proviene dalle nostre coste. La produzione ittica, al pari della produzione agroalimentare, deve essere tutelata e difesa dagli attacchi della pirateria».

Ma come? Con un'etichetta d'origine che accompagni il pescato sino alla destinazione finale, dato che «dovrebbe essere un diritto del consumatore sapere cosa mangia - continua Ciarrocchi - e non essere ingannato. Noi vogliamo garantirglielo. Per questo avanzeremo questa proposta al ministero. D'altronde, se l'olio ha il suo certificato di provenienza, perché non deve averlo il pesce?».

La filosofia della trasparenza imporrebbe di accettare la proposta, soprattutto a fronte di una truffa da migliaia di tonnellate di pesce e miliardi di euro, che infanga il buon nome di chi paga a caro prezzo la vera qualità. Senza contare la salute. In alcuni Paesi asiatici, per esempio, è consentito un trattamento a base di antibiotici che da noi è vietato perché ritenuto molto dannoso. Conclude Tonino Giardini, responsabile Coldiretti Impresa Pesca, insistendo sull'urgenza di introdurre la tracciabilità completa (come riportato dal Corriere della sera): «Dobbiamo aiutare le imprese non con denaro ma tutelando le loro attività. Oggi il pesce è tracciabile fino al ristoratore e non fino all'utente. Oltre la metà dei prodotti ittici vengono consumati fuori delle mura domestiche».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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