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La sfida e la sopravvivenza di una food designer in ospedale

La sfida della nostra food designer che, costretta al ricovero per un incidente, ha deciso di trasformare l’immangiabile e poco appetitoso cibo dell’ospedale in una vera e propria esperienza da gourmet. Così mela cotta, puré, formaggi anonimi e orzo si trasformano in pranzi salutari degni di chef

di Erica Petroni
 
08 settembre 2012 | 10:02

La sfida e la sopravvivenza di una food designer in ospedale

La sfida della nostra food designer che, costretta al ricovero per un incidente, ha deciso di trasformare l’immangiabile e poco appetitoso cibo dell’ospedale in una vera e propria esperienza da gourmet. Così mela cotta, puré, formaggi anonimi e orzo si trasformano in pranzi salutari degni di chef

di Erica Petroni
08 settembre 2012 | 10:02
 

Dai ristoranti gourmet, al carrellino dell'ospedale, dai piatti di porcellana e vetri satinati, ai contenitori plastici e usurati a scomparti, dalle tecniche di cottura più innovative e spettacolarmente attraenti ed esplosive, abbinamenti inimmaginabili e vere opere d' arte al palato, al solito miserrimo purè in polvere, mela cotta, minestrone 'slavato” e pollo lesso, il passo è breve e veloce, e proprio di passo si parla, un passo sbagliato, uno 'scivolone gastronomico” e tutti giù per terra. Conseguenze: un femore rotto e una coscia che compete con le più gustose anatre ripiene accuratamente ricucite.

Dalle stelle all'ospedale, dalle lustre e scintillanti cucine alle barelle, dalle comode sedute di tavoli imbanditi a letti di marmo e sedie a rotelle, dalle inebrianti verticali a ritrovarsi completamente orizzontali.

è solo un attimo per passare dal piccione glassato e fegato d' oca con cipolla candita, alla fetta di Emmental (magari fosse stato vero Emmental) e spinaci lessi, impossibilitata a mangiarli perché per di più mi ero logicamente 'scordata” di portarmi le posate da casa; se sapevo di finire in ospedale, come ho fatto ben notare, mi sarei munita di adeguata argenteria, oltre naturalmente a ?flûte? di cristallo. Si prospettava dinanzi a me un mese di degenza in ospedale, da Borgomanero, (un paesino in provincia di Novara vicino al lago Maggiore dove mi hanno urgentemente ricoverata), all'ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Vr), per essere operata, fino alla Casa di cura Eremo di Arco (Tn), su cui ci soffermeremo più avanti per complimentarci invece con il cuoco, per la cura dei pasti dalla materia prima agli abbinamenti, cotture e presentazione (più che un ospedale pareva un albergo di lusso per una povera azzoppata come me).

Urge una soluzione, mi son detta: le mani e il cervello fortunatamente ancora ben funzionanti, nonostante il dolore atroce che soffocava ogni pensiero, hanno escogitato una sfida con me stessa e il mio più grande amore, la cucina…

C'era solo una cosa da fare: sfidare l'immaginario della cucina ospedaliera; una sfida ardua, una sfida di stile e gusto, una sfida di vita in un ambiente luttuoso come l'ospedale, dove la morte gastronomica è all'ordine del giorno, morte per il palato, morte degli stimoli più caleidoscopici che solo il cibo può donare nelle sue forme, colori, sapori, profumi ed emozioni.

E che sfida: portare il design del food in ospedale, modificare, comporre, aggiungere e togliere, azzardare e tornare a vivere… Basterebbe davvero solo poca fantasia e amore per far resuscitare le papille, e mai come in ospedale si ha davvero bisogno di sentirsi vivi, di mangiare bene e godere di quel poco che le giornate interminabili ti regalano. Stesi a letto le ore sono scandite dalla sveglia della puntura la mattina, le pasticche, la colazione con fette biscottate e marmellatina monoporzione stile finger food (per le quantità minima), una vasca da bagno di caffè e latte (ma perché lo chiamano caffè se del caffè non ha neanche il profumo?), la donna che fa finta di pulire in terra, la 'tisana” delle dieci (come la chiamano loro anche se è semplicemente acqua sporca neanche zuccherata per pensare ai poveri diabetici), il pranzo delle 11.15, il termometro, la stessa tisana fredda avanzata dalla mattina e la cena alle 18.15. Non c'è niente da fare se non mangiare, e allora perché sempre brodi, pastine e liquidi di ogni genere? (ecco da dove si ispira la famosa dieta tisanoreica). Ci riempiono come caraffe per farci passare la fame quando il cibo è anche l' unico motivo di conservazione con le vicine di letto chiacchierone che non fanno dormire né di giorno, né tantomeno la notte tuonando in stanza con il loro dolce russare e lamentandosi per di più il giorno successivo, di non aver dormito a causa della terrificante cena rimasta inoltre indigesta. Nessuna pietà, i deliziosi manicheretti sono un lontano ricordo e sogno che diviene reale per i crampi allo stomaco.

Rimbocchiamoci quindi le maniche (quelle della giacca da cuoco visto che mi hanno lasciata due giorni ancora in tenuta da lavoro con fortunatamente però, la mia borsetta munita di mille vasetti di odori e spezie che proprio quella mattina avevo comprato al mercato: ringrazio Dio della provvidenza!) e vediamo come con la mela cotta, le polpette lesse e i pochi ingredienti che la cucina 'generosa” dell'ospedale ci offre sui nostri carrellini rotanti (che arrivano a livello della fronte apposta per non svelare cosa c'è nel piatto), si può in realtà creare anche visivamente dei piatti appaganti oltre che sfiziosi e buoni. I miei compagni di stanza e successivamente di tavolo si sono davvero divertiti, incuriositi da ciò che escogitavo ogni giorno, fotografavo e pubblicavo in diretta dall'ospedale, motivo di gioia ed estro per tutti!.

Eccole arrivare, già il giorno stesso, la famosa mela cotta e le polpette lesse di vitello; come un incubo che si prospettava, è giunto puntuale. Una ciotola di insalata, fortunatamente fresca e nient'altro (oltre a un centinaio di grissini per rimpinzarci di carboidrati durante la giornata). Che fare allora: apriamo la borsa di Mary Poppins ed estraiamo semi di senape con cui condire l'insalata insieme ai pochi milligrammi di olio extravergine contenuto nelle monoporzioni, sale nero e pepe rosa. Svuotate inoltre la mela cotta, assicuratevi sia commestibile mi raccomando, e arricchitela con un pizzico di zenzero e il succo della fetta di limone conservata dal tè della mattina. Componete quindi con un letto di insalata, la mela cotta e la polpetta a coronare il tutto. Assaporando un boccone con tutti gli ingredienti insieme, direi che il risultato è davvero sorprendente (nella foto in alto).

E ora facciamo un salto di creatività: addirittura un finger food con altrettanti ingredienti che mai possono mancano in queste circostanze: prosciutto cotto, porri, mela cotta e mela fresca (rubata alla vicina) e altri piccoli sfizi che nel frattempo mi sono fatta spedire direttamente in ospedale per non trovarmi mai più impreparata (avere amici generosi o conoscere molti produttori è sicuramente un vantaggio in queste occasioni).

Rollè di porro, crema di mela cotta e prosciutto
Estraete la polpa della mela e conditela in questo caso con un po' di sale all'aglio orsino e olio extravergine di oliva, lavoratela bene con la vostra forchetta di plastica (attenzione a non rompere le punte per non strozzarvi o non poter più mangiare dopo), fino a formare un composto molto omogeneo e cremoso. Lasciate invece insaporire i porri con un goccio di aceto balsamico e formate il piatto stendendo una fetta di prosciutto come base e alternando le sfoglie di porro alla crema di mela cotta (spalmata tra sfoglia e sfoglia di porro per ricomporlo) formando un rollè. La fetta di mela fresca dona leggerezza al piatto (nella foto a sinistra).

Ma da qui è stata solo una discesa verso la risoluzione, arrivata alla Casa di cura Eremo di Arco (www.eremoarco.it), mi sono sentita rinata... il fisioterapista, come un angelo mi ha detto ”alzati e cammina” e così è stato! Ho recuperato pian piano le gambe e l' appetito. Il cuoco, Marco, è creativo e cosciente oserei dire, per quanto riguarda le materie prime del territorio, le cotture delicate, gli abbinamenti un po' arditi, deliziandoci giorno giorno con ottimi pasti da ristorazione. All'Eremo, oltre a noi con problemi di mobilitazione di arti vari, ci sono tantissimi cardiopatici e vi assicuro che soddisfare il palato di 170 degenti circa, è assai difficile, calcolando i problemi dietetici, di diabete, di allergie, di difficoltà di ingerire i solidi e l'età avanzata dei miei compagni di comunità (io sarei già scappata dalla cucina come chef), quindi sinceri complimenti al cuoco. Va migliorata la presentazione ma per questo sono entrata in scena io.

Parmigiana di melanzana bianca
Sono state servite fettine spesse, tiepide, di melanzana grigliata e ripassata in forno con un velo di mozzarella. Accanto un trancetto di salmone al profumo di timo, (sempre cotto al forno), e come di consueto una fresca insalata di misticanza e rape. Molto appetitoso già di suo, noi lo tramutiamo in una millefoglie di melanzana e mozzarella, una spolverata di Parmigiano Reggiano a freddo (visto che l'Eremo vantava la presenza di uno degli storici produttori di questo speciale formaggio), il trancetto di salmone (condito con una emulsione espressa di olio extravergine di oliva, limone e sale rosso), e terminiamo con un'altra fettina di melanzana e insalata fresca di stagione (nella foto a destra).

Il segreto è la salsa di liquirizia nascosta sotto alla mia parmigiana per creare contrasti equilibrati in tutta la sua armonia. Gli ingredienti erano già quasi tutti presenti nel piatto, mancava solo un po' di spinta nel gusto e una presentazione migliore, davvero poco per dar vita e forma a un pranzo all'insegna della genuinità della cucina Mediterranea.

Pappa d'orzo, kiwi e coriandolo
Anche i primi erano molto appetibili e appetitosi ma quando il menu citava 'orzo in brodo” ho dovuto dare il meglio di me stessa con ciò che disponevo. Mi guardo intorno e sul tavolo vedo il porta pane, i condimenti e il kiwi come dessert e il mio inseparabile zainetto giallo canarino (per cui tutti mi prendevano in giro sentendomi tornare ai quindici anni), ricco delle mie magiche pozioni.

Mi faccio servire una scodellina con tanto orzo e poco brodo che amalgamo a un bel pugnetto di coriandolo, metto a bagno il pane nell'aceto, un filo d'olio, sale e pepe, e nel frattempo taglio dei minuscoli pezzettini di kiwi.

Aspetto che l'orzotto si intiepidisca un attimo, lo unisco al pane e compongo il piatto stendendo alla base i pezzettini di kiwi, quindi la pappa di orzo e sopra delle fettine del frutto stesso; un'altra spolverata di coriandolo, un altro filo d'olio e siamo pronti per assaporare un piatto fresco, completo, saporito e soddisfacente, sicuramente meglio dell'orzo in brodo (nella foto a sinistra).

E terminiamo questa 'avvincente” esperienza con un' ultimo piatto sempre presente (come il prezzemolo e i sempreverde), in ospedale: il bollito, ovvero la carne avanzata, ribollita e servita. Il cuoco, per cambiare versione, ha immaginato un''Insalata di carne”, ovvero una 'tartare” di bollito sminuzzato con cetrioli e cipolla cruda, accompagnata da cipolline al forno; ottima come idea, ma la realizzazione era un po' debole di sapore.

Insalata di bollito e cipolline al forno

Con l'aggiunta di un filo d'olio, prezzemolo, due capperi, uno spruzzo di limone, sale nero, salsa di soia, pepe e timo fresco (occorre avere anche amiche fantastiche che coltivano l'orto dedicandosi maggiormente alle erbette aromatiche), la carne così gelatinosa e un po' pesante, si sgrassa e acquisisce una consistenza e una intensità totalmente diversa, percepibile vivacemente al palato (nella foto a destra).

Questo è il potere dei tagli poveri: essere trattati e consumati con fantasia e creatività, una sfida per renderli sempre più appetibili e gioiosi in bocca e a tavola.

Tutto ciò è solo e soltanto una piccola parentesi, per testimoniare con allegria, come brutte vicende possano essere prese con ottimismo, come basta davvero poco per regalare emozioni attraverso il cibo, con piatti poveri. E il pizzico di fantasia è l'ingrediente segreto che anima l'umanità, per nutrirci di emozioni, perché cibo è vita e mai come in ospedale se ne ha bisogno... Ironia e food!

Un ringraziamento speciale a tutto il team dell'Eremo e un suggerimento agli ospedali di tutta Italia: nutrite con amore i pazienti, il cibo è nutrimento per ogni senso, dalla vista, al cervello, per arrivare diritti al cuore...

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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