«L’agricoltura ci salverà»: l’ottimismo arriva da Dario Cartabellotta (nella foto), l’assessore alle Risorse agricole e alla Pesca della regione Sicilia che affida il rilancio economico alle colture specializzate e di qualità.
L’assessore può contare sui tre miliardi prodotti dall’agricoltura siciliana in 200mila aziende, con la possibilità di dare lavoro ha chi è rimasto disoccupato in altri comparti in crisi; i produttori isolani hanno anche imparato a stare insieme, nei processi di filiera che facilitano la vitalità produttiva e li avvicinano al consumatore.
“L’agricoltura ci salverà” sembrerebbe un’ovvia premonizione visto che l’essere umano trova nutrimento e vite nell’agricoltura. Ma non tutti ci credono. Chi decide, chi comanda, chi diffonde le voci del cosiddetto buonsenso afferma che è l’edilizia a far girare l’economia. Ma il cemento sottrae terreno alle coltivazioni. Tanto che il recente decreto governativo del "fare" dedica meno di venti righe e quattro ministeri per il contenimento del consumo del suolo ed il riuso del suolo edificato, nonché alla promozione dell’attività agricola che sullo stesso si svolge o potrebbe svolgersi.
Non è molto, soprattutto sembra una battaglia epocale combattuta senza armi. Nel decreto si afferma che il Paese ha bisogno d’infrastrutture, poli multifunzionali e si indicano autostrade, raccordi, pedemontane, assi viari, di collegamento. In Umbria Marche, Toscana, Campania, Puglia, Sicilia attraverseranno valli, colline, distruggeranno campi, boschi foreste.
Ma per quale riuso? Nelle reti ferroviarie, che sono meno invasive e portano lavoro continuativo nel tempo, si prevede un investimento inferiore al 15% del totale. Come mai l’agricoltura è assente dai programmi governativi? Si preferisce non ricordare la vita dei campi, tempi lontani di fatica, risvegli antelucani, raccolti condizionati dai capricci meteorologici.
Per fortuna si odono anche voci autorevoli che difendono l’economia agricola e creano apprezzamenti per i frutti della terra. Ogni domenica mattina la serie televisiva Linea verde presenta territori e comunità virtuose, produzioni eccezionali nella loro semplicità e gradevolezza.
Recentemente una giovane coltivatrice diretta ha esortato i coetanei a intraprendere questa professione faticosa ma soddisfacente. Alla periferia della sua città, dove un tempo proliferavano giardini e campagne rigogliose, con la famiglia coltiva ortaggi e frutta che poi rivendono direttamente sui mercati. Ma girando l’Italia sembrerebbe che le varietà e ricchezze agricole siano sconosciuti.

Purtroppo nei menu dei bar, ristoranti e vinerie sono troppo assenti frutta e verdura, soprattutto di stagione. Gli operatori della ristorazione e gli esperti di comunicazione potrebbero porsi un obiettivo ambizioso vantaggioso per tutti: riscoprire le produzioni agricole tipiche, aggiungere un po’ di cultura del buon cibo e della sana alimentazione.
Dalle spremute d’arancia al succo di pomodoro fresco, dalle colorate insalate di stagione al pescato quotidiano, solo per fare qualche esempio riportiamo le specialità di stagione sulla tavola. La natura può essere il nostro socio più gustoso e remunerativo.
Per abituare i consumatori alla stagionalità propongo di festeggiare sulle tavole dei ristoranti le feste stagionali con menu e bevande in tema. Sarebbero anche un buon antidoto alle sagre paesane, poco professionali. Potremmo iniziare il 1° agosto con la festa nazionale del pomodoro, continuare a settembre con l’uva e via via.