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Il Premio IaT esalta il fascino di Artimino per una 3 giorni tra gastronomia e turismo

di Giovanni Berera
 
03 aprile 2019 | 15:04

Il Premio IaT esalta il fascino di Artimino per una 3 giorni tra gastronomia e turismo

di Giovanni Berera
03 aprile 2019 | 15:04
 

La sfida era ardua: rivivere i fasti medicei per celebrare il connubio tra enogastronomia e turismo, e per immaginare nuove sinergie tra agroalimentare e accoglienza.

Ci volevano estro e competenza per creare la giusta alchimia tra passato, presente e futuro. E così è stato. Cuochi, imprenditori, produttori, giornalisti, ristoratori, opinion leader sono stati invitati alla Ferdinanda, la villa medicea di Artimino (Po) da Italia a Tavola per una tre giorni di confronto, formazione e festa, ormai tradizionale suggello del Premio Italia a Tavola, che da 11 anni dà merito a coloro che hanno rappresentato al meglio il mondo dell'Horeca e dell'enogastronomia italiana.

(Il Premio IaT esalta il fascino di Artimino per una 3 giorni tra gastronomia e turismo)

Dei dibattiti e dei talk se n’è dato già ampiamente conto, così come delle best practice presentate e della presenza autorevole del ministro Centinaio, che ha accolto di buon grado la nomina ad Ambasciatore del turismo enogastronomico.  Ma, oltre a tutto ciò, le giornate di Artimino, sono state anche la dimostrazione di un utilizzo più consapevole (e meno banale) del patrimonio culturale italiano. Si potrebbe anche avere l’ardire di definirla valorizzazione. Chi non si farebbe incantare da una cena di gala con ventidue stelle Michelin, in una villa secentesca immersa nei vigneti e aperta sui colli intorno a Firenze? Chi resisterebbe a scattare decine di selfie in ogni angolo del panoramico giardino o della sontuosa residenza in un consumo bulimico di pose e location? Certo ci si poteva limitare a questo. E sarebbe già stato qualcosa.

Ma avrebbe tradito una logica conseguenza del tema scelto quest’anno, ossia il dare prova che è possibile costruire e promuove eventi enogastronomici, non solo rispettosi dei contesti che li accolgono, ma in grado di valorizzare la storia e le bellezze che tali contesti testimoniano e custodiscono. Così si è scelta la formula di articolare la tre giorni di Artimino in un costante equilibrio tra passato e futuro, tra una divertente rievocazione di ciò che è stato e la competente progettazione di ciò che avverrà.

(Il Premio IaT esalta il fascino di Artimino per una 3 giorni tra gastronomia e turismo)

Durante i talk giornalieri politici, associazioni di categoria, tecnici e professionisti si sono confrontati sugli scenari attuali e futuri della ristorazione, dell’agroalimentare e del turismo, mentre le serate sono state un tuffo nel passato. L’orologio della villa di Artimino è stato riportato indietro di quattro secoli. Al 1619 per l’esattezza, quando Firenze era governata dal cagionevole Cosimo II de’ Medici, figlio di quel Ferdinando che in soli 4 anni fece edificare la villa di Artimino dal suo architetto di fiducia, Bernardo Buontalenti. Per i corsi e ricorsi della storia il 1619 segnava anche due importanti anniversari, i primi cento anni dalla morte di Leonardo da Vinci, quintessenza del genio italiano, e gli altrettanti anni dalla nascita di Caterina de’ Medici, che non vide mai il bellissimo panorama su Firenze che si gode dalle finestre di Artimino ma che fu una delle più illustri ambasciatrici della cucina italiana all’estero (altro che le odierne influencer, sic!), la cui vicenda ha molto da dire a chi è chiamato a ragionare su Made in Italy e Italian sounding.

(Il Premio IaT esalta il fascino di Artimino per una 3 giorni tra gastronomia e turismo)

Caterina andò in sposa al Delfino di Francia, fu incoronata regina consorte nel 1549 e durante il suo regno fece conoscere al suo popolo due cose: il gelato e la forchetta. Il “ghiaccio all’acqua inzuccherata e profumata” venne portato a Parigi dal gelatiere di fiducia di Caterina, tal Ruggeri (che in realtà a Firenze faceva il pollivendolo, ma questa è un’altra storia) e divenne un dolce richiestissimo a corte. La regina, poi, condusse in Francia cuochi di prim’ordine, che fecero scoprire alla capitale alcune delizie italiche come le crespelle, i carciofi e l’olio d’oliva e soprattutto introdusse la separazione tra portate salate e portate dolci e l’uso della forchetta. Non proprio quisquiglie. Nomi, aneddoti, costumi che si intrecciano tra loro e di cui è stato possibile (e sorprendente) raccontare le storie grazie semplicemente ad un luogo, ad una data e ad un’occasione di festa. Sì perché è possibile anche far festa con un pizzico di intelligenza, originalità e, non paia eccessivo, cultura. Proprio quella cultura che, se unita al patrimonio enogastronomico, è ciò che fa fare la differenza al turismo in Italia.

Certo, sempre con una buona dose di ironia e creatività. L’ironia che ha fatto vestire ad Annie Feolde i panni di una novella Caterina de’ Medici (lei che ha fatto il viaggio della nobile fiorentina a ritroso, dalla Francia all’Italia), che ha stoicamente accolto tutti gli ospiti della cena di gala assisa su un tronetto ligneo nel grande salone d’ingresso della villa. E la creatività dei cuochi che hanno risposto all’invito del direttore Alberto Lupini, che si è inventato un arguto espediente narrativo/gourmand che ha caratterizzato la serata: ogni cuoco era ad Artimino in veste di ambasciatore della sua terra, inviato dai suoi regnanti a rappresentare alla corte medicea il meglio della cultura gastronomica del suo paese a quella precisa altezza cronologica.

Così Claudio Sadler è diventato portavoce del duca di Milano, Lionello Cera ha fatto del veci del serenissimo doge e Maurizio Serva quelle del romano pontefice. Non in pochi hanno confessato che l’intrigante giochetto li ha costretti a riaprire qualche libro di storia, oltre che quelli di storia della cucina. Perché la richiesta era quella di utilizzare ricette antiche e ingredienti del tempo. Piatti squisiti, con una netta prevalenza di sapori agrodolci, gustati tra squilli di chiarine, rulli di tamburi e in compagnia di cortesi dame e uomini d’arme, che animavano i grandi saloni della villa.

(Il Premio IaT esalta il fascino di Artimino per una 3 giorni tra gastronomia e turismo)

Già, la villa. È stata un fattore determinante, che ha dato autenticità alla serata. Sarà perché è praticamente intatta nella sobria eleganza dei suoi saloni, dove prevalgono gli intonaci bianchi, che fanno spiccare come gemme preziose agli affreschi del Passignano e i monumentali camini in pietra serena, adornati ovunque con lo stemma mediceo. Se ne trovano ovunque alla Ferdinanda, tanto che molti la chiamano la villa dei cento camini, riferendosi tuttavia ai numerosissimi comignoli del tetto di fogge e dimensioni volutamente molto differenti tra di loro.

La leggenda narra che all’origine dell’edificazione della villa ci fu una folgorazione paesaggistica che colpì Ferdinando de Medici. Scrive il suo biografo di fiducia, Filippo Baldinucci, che “trovandosi un giorno per causa di cacce nel Monte d'Artimino chiamò Bernardo (Buontalenti, ndr) e dissegli così: Bernardo, intorno a questo luogo, ove tu mi vedi, io voglio un palazzo che sia sufficiente per me, e per tutta la mia corte, or pensaci tu e fa presto”. E il Buontalenti prese alla lettera le parole del suo granduca, costruendo in meno di quattro anni la villa di Artimino, che nel 1600 apriva i suoi cancelli per accoglie Ferdinando e la sua corte.

La villa divenne la favorita del Medici (soprattutto nel periodo estivo), che ne affidò la decorazione a Domenico Cresti, detto il Passignano e Bernardino Poccetti, che affrescarono i saloni con soggetti mitologici, che celebravano le virtù del granduca. Dipinti ancora oggi ben visibili e in perfetto stato di conservazione. Mancano, purtroppo, i capolavori che Ferdinando fece collocare ad Artimino. Le cronache dell’epoca riferiscono che esisteva un "guardaroba", che conservava il Ritratto di Pietro Aretino di Tiziano (oggi alla Galleria Palatina) e il Bacco di Caravaggio (ora agli Uffizi). Possiamo solo immaginare lo splendore di questo guardaroba. Furono, poi, poi fatti arrivare mobili napoletani e bolognesi, letti, cortinaggi, argenterie e una grande quantità di attrezzature per la caccia. Artimino era il gioiello di Ferdinando, come Poggio a Caiano era stato per Lorenzo il Magnifico e Pratolino per Francesco I.

(Il Premio IaT esalta il fascino di Artimino per una 3 giorni tra gastronomia e turismo)

A ogni Medici la sua villa. Il granduca ne godette fino alla morte, sopraggiunta nel 1609. Fino al 1737, anno dell’estinzione della dinastia medicea, la villa dei cento camini rimase una delle mete predilette dei granduchi di Firenze, innamorati dei boschi del Montalbano, luoghi ameni dove cacciare, cavalcare e ristorarsi dalla calura della città. A metà settecento la villa passò ai duchi di Lorena, che nel 1782 la vendettero a Lorenzo Bartolomei, marchese di Montegiovi. E da lì una serie di passaggi di proprietà la videro progressivamente spogliata degli arredi antichi, ma per fortuna mai manomessa nella sua purezza architettonica (anche lo scalone a coda di rondine del fronte di ponente fatto costruire a inizio Novecento segue fedelmente un progetto mai realizzato dal Buontalenti).

Oggi è di proprietà del Gruppo Olmo, che l’ha acquisita nel 1989 e ne ha fatto un’eccellenza alberghiera, restituendo lustro ad una perla, nella ricca collana delle ville medicee intorno a Firenze, che hanno meritato di essere annoverate dall’Unesco tra i monumenti che costituiscono il patrimonio dell’umanità.

Non poteva, quindi, esserci sede migliore per un premio che ha celebrato l’identità del territorio, la ricchezza delle sue tradizioni gastronomiche e delle sue testimonianze artistiche, immenso patrimonio materiale e immateriale che deve diventare sempre di più volano per il turismo, stimolo all’eccellenza per il settore alberghiero e incentivo per la valorizzazione di ogni espressione della cultura italiana.

Foto: Modestino Tozzi, Giulio Ziletti e Bruno Bruchi

(Premio IaT, un salto indietro di 400 anni per dar vita ad un nuovo Rinascimento)

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© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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