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Tim Butler, lo “chef giramondo” «Ogni viaggio mi lascia qualcosa»

di Nadia Afragola
 
08 giugno 2019 | 12:22

Tim Butler, lo “chef giramondo” «Ogni viaggio mi lascia qualcosa»

di Nadia Afragola
08 giugno 2019 | 12:22
 

Tim Butler guida uno dei migliori ristoranti asiatici, l’Eat Me di Bangkok, per anni nella 50 Best Restaurants, e da alcuni anni ha aperto l’Esenzi nell’Iniala Beach House di Phuket. La sua è una cucina che esalta profumi e aromi e che lascia l’ingrediente principale protagonista del piatto.

Con Tim Butler non si scherza. Lui che nasce a Portland prima di decidere di lasciare l’America per andare dall’altra parte del mondo. Lui che nasce pasticcere prima di diventare cuoco di una ristorazione che vuole stare fuori da ogni schema e provocare come solo lui sa fare. Lo avrei dovuto intuire leggendo anche solo i nomi dei piatti realizzati nella cena a quattro mani che si è svolta a Torino nelle cucine di Edit, dove ha preso dimora nei mesi scorsi un irriverente Matteo Monti.

(Tim Butler, lo chef giramondo «Ogni viaggio mi lascia qualcosa»)
Tim Butler

Nell’ordine ha servito ostrica (palma, chili e lemongrass), budino di ricci di mare (amarando, vongole, caviale), guance di rana pescatrice e cervella di vitello (risoni, curry giallo, kaffir lime), quaglia affumicata (chili fermentato, animelle, basilico), melanzana (caramello salato, cioccolato, nocciola). È stato come avere di fronte Muhammad Ali, “The Greatest”, quello dei titoli mondiali del 1963, 1966, 1972, 1974, 1975 e 1978. È stato come finire al tappeto sapendo di aver avuto comunque un immenso onore ad essere lì di fronte a lui. Avere a che fare con Tim Butler è la stessa identica cosa: non ti lascia via d’uscita.

(Tim Butler, lo chef giramondo «Ogni viaggio mi lascia qualcosa»)
Tim Butler

Chi è Tim Butler?
Un cuoco, un buongustaio, uno che adora viaggiare, cucinare, vedere cose diverse, conoscere culture diverse. Uno che sente il bisogno di assorbire quanto di buono e bello c’è intorno, e per farlo gira il mondo. E poi sono un padre.

Quando ha capito che quella della cucina sarebbe stata la sua strada?
Ho iniziato vestendo i panni dello chef pasticcere. Mi sono occupato di questo per 10 anni. Parliamo di alta ristorazione. Con il tempo ho capito che non mi bastava più curare solo la parte dei dolci e così ho iniziato a cucinare anche altro. Il resto è storia.

È cambiato il suo modo di intendere la creatività?
Sì. Quando uno inizia a cucinare è tutto semplice, si lascia prendere la mano, ma deve provare a non strafare. Ti accorgi di essere sulla strada giusta solo quando inizi a porti delle domande. È così che la cucina si fa alta ristorazione. Rispondendo a domande che ti arrivano da dentro.

(Tim Butler, lo chef giramondo «Ogni viaggio mi lascia qualcosa»)
La cucina di Tim Butler, lo “chef giramondo”

Per tutti lei è lo chef giramondo. Qual è il più grosso insegnamento che porta con sé dai suoi viaggi?
Ogni viaggio mi lascia qualcosa addosso. Alcune volte sono sapori, altre delle tecniche o ancora dei concetti o semplicemente nuovi stili di ristorazione. Vale per il modo di condividere il cibo in Cina ma anche per i menu alla carta tipicamente europei. Tutto questo lo porto con me e insieme cresciamo, ci evolviamo, cambia il mio modo di cucinare nei vari contesti, luoghi e situazioni. Si chiama spirito di adattamento, che non ha nulla a che vedere con la perdita di quella identità che ho e che da sempre mi contraddistingue.

Come fa a mixare la sua cultura gastronomica con quella del luogo in cui si trova?
Tendo a cucinare come mi piacerebbe mangiare e questo cambia costantemente anche perché dipende tanto dai luoghi in cui sono stato. Ho vissuto a Bangkok per 13 anni, appartengo a quella città, nonostante io abbia vissuto in diversi posti durante la mia vita. Ho vissuto tanto in America, ma non mi considero più un americano.

A 14 anni faceva il lavapiatti in un piccolo ristorante italiano. Cosa le è rimasto di quell’esperienza?
Quel posto mi ha fatto innamorare del mondo della cucina. Non aveva nulla di elegante, era casual. Anche se non lo sai, quelli sono gli anni in cui assorbi tutto ciò che ti accade intorno, ogni suono; anni in cui l’adrenalina ti fa andare avanti e non senti la stanchezza. Era difficile lavorare in cucina, e non è che poi sia cambiata tanto la vita, è un lavoro duro il nostro, solo che oggi forse va di moda dire di essere uno “chef”. Lo sapevo quanta fatica avrei fatto per arrivare dove sono oggi, lo sapeva anche la mia famiglia, i miei genitori che neppure un giorno hanno smesso di preoccuparsi per me, eppure non c’è stato un solo giorno che io non abbia desiderato essere ciò che sono: un cuoco.

(Tim Butler, lo chef giramondo «Ogni viaggio mi lascia qualcosa»)
La cucina di Tim Butler, lo “chef giramondo”

Essere un cuoco non era una delle professioni più invidiate all’epoca.
Tutt’altro! Quando ero ragazzo, chef lo diventavi quando nella vita non avevi altre opzioni. Mia sorella era medico, mio padre Ceo di una banca. Continuavano a ripetermi che potevano permettersi di farmi studiare, che sarei potuto andare all’università. Con il tempo hanno capito che era giusto lasciarmi andare... per la mia strada!

Cosa è sostenibile per lei?
Tutto può diventare sostenibile con l’impegno. La pesca è sostenibile, utilizzare materie prime che non arrivano da allevamenti è sostenibile, o scegliere allevamenti ben gestiti, che rispettano ciò che hanno per le mani. È una battaglia non facile quella a favore della sostenibilità, è una strada tutta in salita e serve tanta aria nei polmoni per riuscire ad affrontare quella salita. Non riesco in tal senso ad essere ottimista. Ho provato a proporre una cucina sostenibile in alcune delle strutture nelle quali ho lavorato: alla maggior parte dei miei interlocutori non interessava. Odio dirlo ad alta voce, ma la cucina sostenibile è anche una questione di prezzo. Troppa gente non è disposta a convertirsi alle materie sostenibili e così opta per l’industria della ristorazione, quella focalizzata sul business.

(Tim Butler, lo chef giramondo «Ogni viaggio mi lascia qualcosa»)
La cucina di Tim Butler, lo “chef giramondo”

Faceva il pasticcere negli Usa, poi cosa è successo?
Mi sono trasferito in Thailandia. Erano gli anni in cui iniziava a prendere piede quel movimento della ristorazione indipendente del quale poi si sentì parlare. Mi sono proposto come chef pasticcere ma non ero europeo, avevo 26 anni e per ricoprire quella posizione in cucina avrei dovuto avere, oltre a tanta esperienza, anche un cv decisamente più impressionante del mio. Non potevano affidare un hotel con 500 camere ad un ragazzo. Poi le cose lentamente cambiarono. I lavori che volevo fare non mi era concesso farli ma potevo fare cose che non volevo fare, tipo preparare una cheesecake per 500 persone. Così decisi di usare ciò che per osmosi avevo imparato nelle cucine che avevo frequentato. È così che mi sono avvicinato alla cucina, senza un obiettivo specifico se non quello di trovare il mio posto nel mondo. Non avevo nessun “ego” con il quali fare i conti, ero una lavagna bianca sulla quale tutto doveva ancora essere scritto.

(Tim Butler, lo chef giramondo «Ogni viaggio mi lascia qualcosa»)
La cucina di Tim Butler, lo “chef giramondo”

Nel 2009 sbarca a Bangkok. Un approccio genuino al cibo la porta all’ingresso tra i migliori 50 ristoranti asiatici (Asia’s 50 Best Restaurants) per 6 anni di seguito. Che tipo di cucina faceva?
Una cucina informale, che non aveva nulla di particolare ma era pur sempre riconosciuta da tutti come alta ristorazione e questo grazie alla scelta di utilizzare i migliori ingredienti che potessimo avere a disposizione. Tanti ristoranti che si vantano di fare cucina gourmet non usano il giusto tartufo, caviale o peperoncino. Il nostro era un cibo semplice, essenziale e per questo interessante.

Come si entra in quella classifica alla quale ogni chef ambisce ad arrivare?
Onestamente il primo anno che entrai a far parte della Asia’s 50 Best non sapevo neppure cosa fosse. Mandarono qualcuno al ristorante chiedendoci di rispondere alla mail in cui ci convocavano: per sei settimane ignorammo quella comunicazione. E da quel giorno le cose non sono poi cambiate tanto, non abbiamo mai detto al mattino, arrivando in cucina, “dai proviamo ad entrare in quella benedetta classifica”. Preferisco fare attenzione a ciò che faccio in cucina, provando ad assecondare i gusti dei miei clienti, il mio modo di intendere la cucina. Era importante ciò che facevamo, non quali premi avremmo vinto, perché quelli vanno e vengono.

Parliamo di cucina thailandese. Quali sono le nuove tendenze del momento?
Ci sono varie scuole di pensiero, almeno a Bangkok. Ci sono i giovani chef, quelli usciti ad esempio dalla mia cucina, penso a Bolan, a Nan. Sono ragazzi che hanno fatto grandi passi verso l’utilizzo di ingredienti locali, scegliendo di sventolare pubblicamente la loro bandiera, quel nazionalismo che a volte è anche un po’ estremo.

(Tim Butler, lo chef giramondo «Ogni viaggio mi lascia qualcosa»)
La cucina di Tim Butler, lo “chef giramondo”

In Thailandia c’è la cucina birmana, vietnamita, cambogiana, malese. Cosa caratterizza ognuna di queste 4 cucine?
Quella birmana è poco conosciuta, al suo interno ha diverse etnie. Utilizza meno le spezie se parliamo delle zone di montagna ma tanto le foglie del tè, ci fanno anche delle insalate. È simile alla cucina cinese per quanto riguarda i noodles fermentati. In tutto il Sudest dell’Asia, la cucina è simile e diversa allo stesso tempo.

In che senso?
La Thailandia era una parte della Birmania. Una parte della Thailandia era Laos, e Laos un tempo era parte del Vietnam. La Cambogia era una parte della Thailandia. Sono popoli che si sono molto influenzati tra di loro. Il Sudest dell’Asia si compone di centinaia, se non migliaia, di diverse cucine: thailandese mista con cinese, vietnamita mista con cinese, allo stesso tempo ci sono piatti thailandesi o vietnamiti che sembrano indiani, e poi c’è da considerare la popolazione musulmana. I thailandesi musulmani mangiano dei piatti estremamente diversi dai thailandesi che mangiano il maiale. Ci sono posti come Bali che ha cucine hindi, in cui si mangia il maiale, ma a Giacarta no. L’Asia è un magnifico affresco, tanto bello quanto complicato.

Quattro sapori: aspro, dolce, salato e amaro. Ne scelga uno o due e mi dica perché.
Salato e aspro, amo giocare con ciò che rinfresca e riscalda. Il piccante provo sempre ad aggiungerlo. Il sale in Thailandia è un ingrediente importante anche se nella cucina di uno chef thailandese non lo troverete. Ci sarà la salsa di pesce, o il paté di gambero fermentato, la salsa di soia, tutte cose che si utilizzano al posto del sale.

(Tim Butler, lo chef giramondo «Ogni viaggio mi lascia qualcosa»)
La cucina di Tim Butler, lo “chef giramondo”

Esenzi” è la sua prima avventura fuori da Bangkok. Che succede là dentro?
Siamo all’Iniala Beach House resort a Phuket. Ci è servito cambiare aria. Bangkok è una città con tante peculiarità differenti, molto vivaci per quanto riguarda il cibo, ma non bisogna mai fermarsi.

Quanta tecnica c’è nei suoi piatti?
Per noi il prodotto è più importante. Usare tecniche fini a sé stesse per arrivare ad un prodotto che poi non ci interessa non fa per noi. Ecco perché cerchiamo di usare al meglio le materie prime, quelle alle quali non devi applicare troppe tecniche perché siano buone.

(Tim Butler, lo chef giramondo «Ogni viaggio mi lascia qualcosa»)
La cucina di Tim Butler, lo “chef giramondo”

Si dice che una buona tecnica possa trasformare un ingrediente non eccellente in una cosa molto buona. È possibile nascondere i difetti con la tecnica?
Se il modo in cui cucino punta sulla tecnica, usata per nascondere la bassa qualità del prodotto, diciamo che faccio prima a non usare quel prodotto. Non puoi usare trucchi in cucina.

Materie prime: come si scelgono?
Vedo cosa è di stagione, poi cosa è più interessante per la mia cucina. Adesso guardo gli scarti del pesce, quindi niente salmone, tonno, merluzzo, lutianidi. Meglio puntare su un prodotto di nicchia come il pesce Abalone, un prodotto incredibile, facile da allevare, molto sostenibile. Sfortunatamente non si trova in Europa ma in Asia, Australia, California, Stato di Washington.

(Tim Butler, lo chef giramondo «Ogni viaggio mi lascia qualcosa»)
La cucina di Tim Butler, lo “chef giramondo”

Il suo ingrediente qual è?
Dipende da dove si trova il ristorante nel quale vado a cucinare. In Esenzi il plancton, il fitoplancton marino, un ingrediente dal gusto pungente. Ha il sapore dell’oceano. All’interno di Eat Me invece direi l’abalone: i suoi scarti nella cucina thailandese di oggi funzionano molto bene.

C’è invece un prodotto che non farebbe mai entrare nella sua cucina?
Alcuni: il tonno, il pesce d’allevamento, il salmone.

Cucina italiana: pregi e difetti.
Interessante osservare, da straniero, l’incrocio tra cucina thailandese e italiana. Ci sono diverse similitudini. Gli italiani amano la pasta e i thailandesi amano i noodles. Entrambi i popoli amano il risotto da un lato e il riso dall’altro, gli scarti del maiale e i frutti di mare. Condividono anche diversi concetti. Anche il nostro basilico è simile al vostro. Per gli italiani mangiare è molto importante, come anche ospitare la gente, condividere piatti. Questi valori sono in comune con la mia gente, ecco perché quando sono in Italia mi sembra di essere a casa.

Com’è andata la cena a 4 mani con Matteo Monti?
Lui è fantastico. Molto divertente, oltre che estremamente professionale.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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