Sia la salute umana che animale e ambientale sarebbero al sicuro dal mais transgenico, ossia geneticamente modificato. A dirlo è un primo studio che ha raccolto i dati relativi a 21 anni di coltivazioni.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista
Scientific Reports ed è stato coordinato dall'Italia, con l'Istituto di Scienze della vita della scuola superiore Sant'Anna dell'Università di Pisa. La ricerca è la prima ad analizzare gli studi compiuti in pieno campo dal 1996 al 2016. I dati provengono da Stati Uniti, Europa, Sud America, Asia, Africa e Australia.
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«Questa analisi fornisce una sintesi efficace su un problema specifico molto discusso pubblicamente», ha rilevato la coordinatrice della ricerca,
Laura Ercoli, docente di Agronomia e coltivazioni erbacee all'Istituto di Scienze della Vita della Scuola superiore Sant'Anna. Con lei hanno lavorato Elisa Pellegrino, Stefano Bedini e Marco Nuti.
Tutti gli autori rilevano che «lo studio ha riguardato esclusivamente l'elaborazione rigorosa dei dati scientifici e non l'interpretazione "politica" dei medesimi» e ritengono che i dati appena pubblicati permettano di «trarre conclusioni univoche, aiutando ad aumentare la fiducia del pubblico nei confronti del cibo prodotto con piante geneticamente modificate».
Dall'analisi di 11.699 dati contenuti in articoli di riviste scientifiche accreditate, è emerso che le colture di mais transgenico hanno una resa superiore dal 5,6% al 24,5%, aiutano a ridurre gli insetti dannosi ai raccolti e hanno percentuali inferiori di contaminanti pericolosi negli alimenti, come micotossine (-28,8%) e fumonisine (-30,6%).