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Il quinto quarto in cucina e il caso Trippa: «Trend? Da noi è stata una necessità»

Milano, anno domini 2015. Apre in città un locale dal nome emblematico e significativo: Trippa. Un locale in cui il quinto quarto viene esaltato, utilizzato però non per intercettare trend modaioli contemporanei quanto per una reale necessità “economica”. Il resto, poi è stata storia. Ne abbiamo parlato con lo chef Diego Rossi

di Alessandro Creta
20 ottobre 2023 | 05:00
Il quinto quarto in cucina e il caso Trippa: «Trend? Da noi è stata una necessità»
Il quinto quarto in cucina e il caso Trippa: «Trend? Da noi è stata una necessità»

Il quinto quarto in cucina e il caso Trippa: «Trend? Da noi è stata una necessità»

Milano, anno domini 2015. Apre in città un locale dal nome emblematico e significativo: Trippa. Un locale in cui il quinto quarto viene esaltato, utilizzato però non per intercettare trend modaioli contemporanei quanto per una reale necessità “economica”. Il resto, poi è stata storia. Ne abbiamo parlato con lo chef Diego Rossi

di Alessandro Creta
20 ottobre 2023 | 05:00
 

E anche l'alta cucina, come abbiamo spiegato in un precedente articolo, sembra essersi accorta del quinto quarto. Non che ci volesse René Redzepi per capirlo, per carità, ma lo chef danese è stato solo l'ultimo grande nome in ordine di tempo a (ri)gettarsi verso materie prime fino a qualche anno fa ritenute di scarto, ora utilizzate da un numero sempre crescente di chef. 

Il quinto quarto in cucina e il caso Trippa: «Trend? Da noi è stata una necessità»

Pietro Caroli e Diego Rossi, i proprietari di Trippa

Un ritorno al passato le cui motivazioni si dividono a metà tra un'effettiva esigenza di recuperare quanto più possibile dall'animale (maiale, pollo, pecora, manzo che sia) e l'opportunità (più o meno consapevole) di intercettare un trend esclusivamente per fini commerciali. In un periodo in cui si parla di sostenibilità, esigenza di ridurre al massimo gli sprechi e gli scarti (sia per una ragione economia sia etica) ecco che in tanti hanno deciso di inserire nei propri menu piatti a base di quinto quarto. Per qualcuno, immaginiamo, potrebbe anche essere inteso come un esercizio di stile, del tipo: «Guarda come ti cucino bene, come ti infiocco, questo 'taglio minore'. Vedi quanto sono bravo?». Ma non sta certamente a noi dirlo, tantomeno giudicare. 

Il quinto quarto in cucina e il caso Trippa: «Trend? Da noi è stata una necessità»

Midollo, da Trippa - Chef Diego Rossi

Quinto quarto nell'alta cucina, tra mode e necessità

Le motivazioni, nel profondo quantomeno, potrebbero insomma essere diverse e diversificate. Fatto sta: oggi in buona parte dei ristoranti di alta cucina (non necessariamente stellata, è ovvio) si trovano piatti a base di quinto quarto. Piatti preparati e sbandierati a livello comunicativo, anche perché tutto (o molto comunque) sembra esser partito da una richiesta da parte della clientela sempre crescente. E mostrare al pubblico ciò che il pubblico vuole è sempre una grande arma a disposizione da utilizzare. Reale convinzione o meno.

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Chi in tempi non sospetti, ormai quasi 9 anni fa, accolse una sfida che sembrava solo in salita è stato Diego Rossi. Lo chef, con un passato anche nella ristorazione stellata, nel 2015 assieme al socio Pietro Caroli aprì un locale che si potrebbe definire trattoria moderna (contemporanea?) nella più stretta e genuina accezione del termine. Un locale in cui è stato sdoganato, forse più da un punto di vista comunicativo che culinario, l'utilizzo del quinto quarto, dei tagli considerati di scarto o comunque minori. E su questo utilizzo, inedito per certi versi, è stato costruito poi il successo del ristorante. Perché se San Pietro fu la pietra sulla quale venne costruita la Chiesa cattolica, allora il quinto quarto è la pietra sulla quale Trippa ha costruito la propria fede. Coerenza.

Diego Rossi: «Quinto quarto? Prima lo regalavano...»

Abbiamo parlato di Trippa, del quinto quarto, del 'trend' sempre più diffuso negli ultimi anni di nobilitare tagli fino a poco tempo fa ritenuti minori, di scarto, con lo chef Diego Rossi

Diego, secondo te qual è la motivazione legata alla recente scoperta del quinto quarto in un determinato tipo di cucina?
Perché, per quanto più o meno piccolo possa esser stato il nostro ruolo in merito, ci sentiamo di aver contribuito a sdoganare il tabù legato al quinto quarto in un determinato tipo di ristorazione. Da Trippa abbiamo avuto il coraggio di aprire il ristorante e proporre questa offerta. Non vedo altre risposte: di fatto c'è sempre stata c'è la possibilità di utilizzare questo tipo di prodotti quindi mi chiedo, per quale motivo sono utilizzati solo negli ultimi anni? Perché credo come in un certo tipo di ristorazione ci fossero pregiudizi o comunque remore a utilizzare le frattaglie, timori legati a paure e consuetudini. Quindi se posso prendermi un merito, o una piccola parte di merito, sento di prendermelo. 

Il quinto quarto in cucina e il caso Trippa: «Trend? Da noi è stata una necessità»

Trippa fritta, da Trippa - Chef Diego Rossi

Oggi il quinto quarto è ancora ritenuto “di scarto” come un tempo oppure si è “imborghesito”?
Ti dico che da quando abbiamo aperto Trippa i tagli cosiddetti di scarto sono pure aumentati di prezzo. C'erano parti che mi venivano regalate anni fa, ora costano e nemmeno poco. Cosa significa? Che la domanda è aumentata e anche i fornitori si sono adeguati a questo trend. La gente ha riscoperto questo prodotto perché qualcuno si è fatto avanti avendo il coraggio di proporre un certo tipo di cucina mettendoci la faccia. Ricordo ancora quando aprimmo, tra la tanta perplessità della gente, in molti mi dicevano che un ristorante così non avrebbe funzionato. Oggi abbiamo le file. 

Però sicuramente anche prima di voi qualcuno il quinto quarto l'avrà pure usato…
Sicuramente, ma non credo ci fosse un movimento, come lo si può individuare ora, nato prima di della nostra apertura. Ovviamente c'erano ristoranti e locali, a ogni livello, che anche precedentemente usavano questi tagli “minori”, ma secondo me non c'era questa attenzione, questa riscoperta, questa attitudine sfidante di proporre un determinato tipo di prodotti. Sicuramente qualcuno li avrà anche utilizzati, ma non lo comunicava. Noi penso abbiamo il merito ad aver sdoganato un determinato tipo di cucina non solo nei fatti, ma soprattutto nella comunicazione. Un po' la sfida è stata anche sotto questo aspetto, far parlare di quello favorendo in senso generale una nuova considerazione verso queste materie prime.

Il quinto quarto in cucina e il caso Trippa: «Trend? Da noi è stata una necessità»

la sala di Trippa

Secondo te i temi legati alla sostenibilità, al no waste, hanno favorito l'uso di questi prodotti?
Io sono un po' scettico verso il discorso della sostenibilità, di cui in tanti solo negli ultimi anni si stanno riempiendo la bocca. La sostenibilità va considerata a 360 gradi, non solamente riferita a ciò che si utilizza in cucina. Non può essere sostenibile, per esempio, un ristorante che fa lavorare 14-15 ore cuochi e camerieri, che non paga o paga a nero. Io stesso non parlo di sostenibilità, perché conosco i miei limiti e so che per essere veramente sostenibili ci vuole molto lavoro. Tornando alla mera cucina secondo me, in linea generale, quello della sostenibilità non è un concetto sentito veramente, ma è più un trend da intercettare per un discorso commerciale. Ciò comunque ha fatto sì che molti si interessassero e avvicinassero alle frattaglie. E anche il fatto per cui fossero più economiche e ci si poteva costruire più margine di guadagno sicuramente ha favorito questo movimento. 

Il quinto quarto in cucina e il caso Trippa: «Trend? Da noi è stata una necessità»

Gnocchi con ragù di coratella e carciofi, da Trippa - Chef Diego Rossi

Diego Rossi: «Da Trippa le frattaglie sono state naturali»

Questo tema del no waste quindi non lo senti così tuo?
Lo sento mio ma per onestà intellettuale bisogna distinguere da quelli da cui nasce spontaneamente da quelli per cui è solo un spunto commerciale. Io sono un amante della tradizione, di ciò che era, quindi andavo e vado in cerca di cose che non si trovano più, di preparazioni di un tempo, anche a base di frattaglie, che per mangiarle dovevo e devo prepararmele. Quindi per me la sfida è partita da qui, da un fattore di gusto personale. C'è da dire poi che quando abbiamo aperto di fatto non avevamo così tanti soldi da spendere, quindi non potevamo permetterci di buttar via nulla. Da qui è nato il discorso del recupero, non da un trend ma da un'esigenza, e credo che siano queste cose, autentiche, a durare più a lungo perché reali. Se uno lo fa per emulazione o trend, da un condizionamento più o meno volontariamente, secondo me c'è poca sostanza.

All'apertura ricordi difficoltà particolari che hai incontrato?
Ricordo che quando ho aperto Trippa volevo preparare piatti a base di frattaglie in una giusta misura, senza esagerare. Invece la gente veniva e ci chiedeva quasi solo quello, quindi c'era quasi un bisogno da parte dei clienti di queste cose qui, di piatti che avevano mangiato magari dalla nonna, quando erano più giovani, per fare questo salto indietro nel tempo. Era una curiosità mista a nostalgia. La risposta è stata più alta di quello che avrei mai creduto. Secondo me però il nostro successo non è solo legato al quinto quarto ma anche a un tipo di cucina diverso dal solito, fatta bene ma che si distacca dall'alta ristorazione in cui comunque ho lavorato ma che a un certo punto della mia vita non sentivo più mia, perché volevo far qualcosa di più domestico, riconoscibile.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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