Nella storia del tartufo italiano, Pino Crestini occupa un posto di assoluto prestigio. Attraverso lui e i suoi diari abbiamo fatto un tuffo nel passato di oltre mezzo secolo, sfogliando pagine che iniziano nell’ottobre del 1972.
«Nei miei diari scrivo giorno per giorno tutto ciò che mi sembra importante. I miei punti di riferimento erano i percorsi quotidiani, i cicli lunari, i giorni lunari “fasulli” e quelli di luna piena, in un periodo in cui l’ambiente era più vicino a quello primitivo. Allora la gente curava i tartufi quasi inconsciamente».

Adesso tutti gli indicatori sono contrari e tutto è imponderabile
«Oggi è tutto contro, non c’è nulla che favorisca il mantenimento, e il clima avverso peggiora ulteriormente la situazione.
A volte i cicli si ripetono, ma non è vero che ogni anno i tartufi si cavano negli stessi giorni. Tutto è imponderabile e non si può razionalizzare più di tanto. Anche dopo oltre 50 anni di esperienza, il tartufo conserva i suoi misteri inesplorati».
Il ciclo dei tartufi non è quello dei funghi epigei
«Il ciclo dei tartufi è molto lungo: parte tra maggio e giugno e arriva fino a novembre-dicembre. Non ha nulla a che vedere con quello dei funghi epigei.
Nei miei diari annoto anche i nomi dei cani che utilizzavo, quelli del mattino e quelli del pomeriggio. Anno dopo anno ritrovo ciò che non esiste più».
Abbiamo avuto anni meravigliosi che non torneranno più
«Fino agli anni ’80 le valli intorno a Sestino, esposte alle correnti dei Balcani, erano sempre ben servite dalle piogge. Si trovavano tanti tartufi e l’ambiente era salvaguardato. Ora non è più così».
«Nel tartufo non ci sono certezze. Una sola, sì: il ricambio naturale non esiste. E se vogliamo salvaguardarlo dobbiamo farlo noi tartufai. Chi possiede un podere ma non va a tartufi non può proteggerli come facciamo noi».

Le annate d’oro del tartufo negli ultimi 50 anni
«Le annate storiche, quelle in cui davvero si trovavano tartufi, sono il 1978, il 1986, il 1995 e il 1996. Poi il 2002.
Il 2014 è stata l’ultima grande annata prima del 2019».
«A tutti i tartufai dico: piantiamo una roverella se vogliamo salvare il tartufo. Il ricambio naturale non esiste più e i mezzi meccanici, uniti al clima avverso, ci stanno portando via il tartufo».
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