In Spagna hanno deciso di fare sul serio: su richiesta del governo di Madrid, infatti, oltre 65mila annunci irregolari sono stati rimossi da Airbnb. Una mossa forte, netta, che ha fatto notizia anche oltre i confini iberici. Federalberghi ha applaudito la decisione e rilanciato: «Chiediamo che anche in Italia si faccia altrettanto e che vengano sanzionate le piattaforme che non rispettano le leggi dello Stato». Il riferimento, nemmeno troppo velato, è a quell'enorme bacino di annunci di case vacanza e affitti brevi che ancora oggi sfuggono a qualsiasi controllo nel nostro Paese.
Affitti brevi, in Italia più di 82mila gli alloggi senza Cin
E non si parla di qualche decina di furbetti. Secondo i dati del ministero del Turismo, sono più di 82mila gli alloggi italiani ancora privi del Cin (il Codice identificativo nazionale), nonostante da quasi cinque mesi sia obbligatorio indicarlo in ogni annuncio. Una ricerca di marzo - firmata da Inside Airbnb e Incipit consulting - ne ha contati almeno 50mila solo su Airbnb. Eppure, nonostante le sanzioni previste (fino a 5mila euro per annuncio), nessuno sembra aver preso davvero in mano il problema.
«Servizi come un hotel, ma senza obblighi»: la denuncia di Federalberghi
Così, mentre in Spagna le piattaforme cominciano a fare pulizia, in Italia l'estate parte con gli stessi vecchi nodi irrisolti. Affitti brevi e alberghi continuano a muoversi su binari paralleli che però finiscono per scontrarsi, soprattutto dove il turismo pesa di più. Il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, non aveva usato mezzi termini nemmeno prima dell'intervento del governo spagnolo: «Queste realtà ormai offrono pasti, convenzioni, massaggi e percorsi benessere esattamente come gli hotel. Non sono più una soluzione alternativa, quindi per me questa è concorrenza scorretta».

Il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca
E non è difficile capire il perché. Da una parte ci sono gli hotel, con costi fissi, licenze, controlli, dipendenti e standard da rispettare. Dall'altra, ci sono appartamenti trasformati in mini strutture ricettive che offrono gli stessi servizi, spesso in modo più informale, e quasi sempre con meno vincoli. Il tutto con l'aggiunta, in certi casi, di spa improvvisate, cibo consegnato in camera e chiavi nascoste dentro cassette appese ai portoni.
Un comparto che vale il 13% del Pil rischia di pagare il conto
Il vero punto è che non si tratta solo di concorrenza. La trasformazione dell'ospitalità in molte città ha infatti cambiato proprio il volto dei centri storici. Interi quartieri di Roma, Firenze, Venezia o Napoli si sono svuotati di residenti, sostituiti da un flusso continuo di turisti mordi e fuggi. I prezzi degli affitti sono saliti, i servizi per chi vive davvero in quei luoghi sono diminuiti e l'equilibrio urbano si è rotto. Per questo, gli alberghi non solo si sentono penalizzati, ma anche dimenticati: «Oggi chi sceglie l'hotel non cerca solo un letto, ma un'esperienza. Se il mercato è lo stesso, servono regole uguali». Ed è qui che arriva la provocazione: se le case diventano hotel, che paghino anche Imu e Tari come gli hotel. O si cambia la destinazione d'uso, o si interviene sulla fiscalità. Insomma: che almeno il campo sia lo stesso per tutti.
Anche perché non parliamo di un comparto qualsiasi. Gli hotel in Italia sono oltre 32mila, con più di un milione di camere e un impatto sul Pil nazionale che tocca il 13%. Eppure, tra dazi, guerre, inflazione e calo del potere d'acquisto, il rischio è che l'industria turistica - quella vera, quella che tiene in piedi i territori - venga messa in ginocchio da un sistema parallelo e incontrollato. Detto questo, la questione non è bianca o nera. Nessuno vuole demonizzare i B&B, né cancellare l'ospitalità diffusa.

In tante aree d'Italia i B&B sono spesso (e per fortuna) l'unica forma di accoglienza possibile
Anzi, in tante aree dell'Italia interna o nei piccoli borghi - dove un hotel non avrebbe mai senso economico - i B&B sono spesso l'unica forma di accoglienza possibile. Una presenza preziosa, che aiuta a contrastare lo spopolamento e tiene in vita interi paesi, alimentando anche il commercio e l'artigianato locale. Forse è da qui che bisognerebbe ripartire: distinguere le situazioni, calibrare gli interventi, mettere finalmente mano a un sistema che oggi lascia troppe zone d'ombra. Introdurre regole e controlli non significa bloccare il turismo, ma renderlo più sano, sostenibile e, soprattutto, equo. La Spagna ha mostrato che si può fare. L'Italia, per ora, resta a guardare.