Italian sounding, come tutelarsi? La sicurezza prima di tutto

È ormai da tempo che il mercato agroalimentare targato “Made in Italy” non conosce crisi. Continua a rappresentare un importante traghetto per l’economia del Paese, soprattutto per l’export . Negli ultimi anni il fascino dei nostri prodotti ha registrato un incremento nel settore alimentare

16 marzo 2019 | 09:06
Una crescita non solo a livello turistico ma anche sul web, dove l’Italia risulta il secondo Paese, dietro agli Usa, più cliccato e recensito. Un successo reso possibile soprattutto grazie all’evoluzione dell’e-commerce, dove i prodotti italiani coprono il 10% dello shopping online mondiale di cibi e bevande. Insomma, il Made in Italy, sinonimo universale di eccellenza, qualità e cultura gastronomica, dilaga sempre di più e con esso, purtroppo, anche le sue imitazioni in tutto il mondo.



Si chiama “Italian sounding” ed è il fenomeno che, da qualche tempo, sta interessando negativamente l’agroalimentare italiano. Si tratta di aziende straniere che, sfruttando la reputazione dell’italianità, appongono sui prodotti riferimenti o immagini che possano suggerire un’appartenenza al Belpaese. Il caso più emblematico è sicuramente quello del “Parmesan”, venduto nei mercati esteri come sostituto del Parmigiano Reggiano Dop.

L’Italian sounding non è da confondersi con le contraffazioni. Queste ultime si riferiscono infatti all’impiego illecito di marchi registrati o denominazioni di origine come Dop, Igp e Stg. Le sole attinenze all’italianità non sono impugnabili per legge: ciò che viene considerato frode è, invece, l’utilizzo improprio del logo che certifica il legame del prodotto ad una ristretta area geografica e ad uno specifico metodo produttivo. Tuttavia, riferimenti espliciti all’origine, come la bandiera italiana o il Colosseo, possono trarre in inganno il consumatore, soprattutto se la materia prima impiegata non proviene dalla zona geografica evidenziata in etichetta.

Come fare, quindi, per tutelare produttori e consumatori da tale situazione? La tutela della qualità delle produzioni agroalimentari è un tema di primaria importanza anche in sede europea, specie se consideriamo che il nostro è il Paese che vanta in Europa il maggior numero di prodotti a marchio registrato. A tal proposito, l’Ue ha emanato un regolamento che riguarda l’etichettatura in termini di origine per le produzioni agroalimentari. Sebbene per diversi alimenti vi sia l’obbligo di indicare l’origine, come le carni bovine, la cui origine è legata alla tracciabilità della filiera, per altri prodotti rimane di carattere volontario. L’obbligo di indicare la provenienza della materia prima è collegata alla presenza in etichetta di dettagli che evochino un certo luogo geografico.

Riassumendo, se andando al supermercato troviamo un succo d’arancia il cui pacchetto raffigura il tipico carretto siciliano, nonostante le arance impiegate provengano dal Brasile, tale informazione andrebbe specificata in etichetta. Pertanto, anche la fantomatica “Mozzarella Bella Napoli” con latte non italiano deve riportare l’indicazione dell’origine non italiana del latte.

Parallelamente al regolamento europeo, che entrerà in vigore a partire da aprile 2020, in Italia dal 2016 sono stati approvati degli importanti decreti legge che obbligano l’indicazione d’origine per quattro tipologie di alimenti: latte e derivati, grano duro, pomodoro e riso. L’obiettivo è quello di tutelare maggiormente le produzioni nazionali, promuovendo la scelta del consumatore verso prodotti “nostrani”. Se da un lato appare un provvedimento volto ad incentivare l’economia interna, dall’altro, il principio di qualità legato alla localizzazione del territorio si scontra con l’idea europea del mercato unico, per il quale i prodotti alimentari provenienti da diversi Paesi dell’Unione sono da considerarsi equiparabili sia dal punto di vista merceologico che qualitativo. La vera differenza riguarda i prodotti a Denominazione di origine protetta, per cui vi è la dimostrazione che luogo e modalità di preparazione influiscono profondamente sulla qualità organolettica finale dell’alimento.

La protezione agroalimentare italiana dal fenomeno dell’Italian sounding rimane pertanto un capitolo aperto soprattutto su scala globale, ma non per forza negativo. Se da un lato il consumatore chiede sempre più spesso di conoscere l’origine dell’alimento che acquista, dall’altro è necessario essere consapevoli che l’origine non è per forza sinonimo di qualità. Forse, in fondo, ciò che è davvero importante è che sulle nostre tavole arrivi cibo sicuro, buono e controllato.

Per informazioni: www.jacleroi.com

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Alberto Lupini


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