Una Pasqua senza celebrazioni è un evento forse unico nella storia della comunità cristiana. Come vivranno i fedeli questa Settimana Santa senza potersi riunire e partecipare alle canoniche messe? La provincia italiana più colpita dal coronavirus, la Bergamasca, è anche una delle più legate alla fede cristiana. La sofferenza di molteplici perdite nel giro di poche settimane si aggiunge al peso di molte rinunce e ad un ribaltamento dei quotidiani stili di vita che ha imposto anche la rinuncia a partecipare alla Messa.

Mons. Francesco Beschi
Proprio sulla Messa si è acceso anche un focolaio di
dibattito politico dopo la proposta di Matteo Salvini di riaprire al pubblico le celebrazioni per Pasqua. La Chiesa si è da subito opposta. Anche il Vescovo di Bergamo,
Monsignor Francesco Beschi, ha detto la sua con pacata fermezza parlando a Italia a Tavola della “quarantena” dei bergamaschi e del ruolo della fede in un periodo di crisi a 360 gradi.
Mons. Beschi, la Quarantena ha coinciso di fatto con la Quaresima e l’avvicinamento alla Pasqua è stato del tutto anomalo, probabilmente un caso unico nella storia. Come stanno vivendo i fedeli questo periodo caratterizzato da una forte impronta spirituale e, ancor di più, come si può vivere la Settimana Santa con la consueta devozione, ma senza celebrazioni?Ho voluto scriverlo a tutti i fedeli della diocesi. Ora che le circostanze e l’esercizio della responsabilità, ci costringono a scelte che limitano la vita comunitaria, avvertiamo non solo una mancanza, uno smarrimento, per alcuni una comodità che vien meno, ma anche la moltiplicazione di interrogativi che rivelano le attese e le immagini che ciascuno di noi coltiva in relazione alla Chiesa e particolarmente a quella particolare comunità che è la Parrocchia. Queste domande diventano a loro volta come una porta su altre, più profonde, che investono la fede, il modo di vivere da cristiani, di ascoltare il Vangelo, di celebrare i sacramenti e di testimoniare la carità tra noi e verso il prossimo. Queste riflessioni, che dovrebbero provocarci più frequentemente, sono alimentate, in questi giorni, da una decisione molto impegnativa: quella di celebrare l’Eucaristia senza la partecipazione dell’assemblea. Si tratta di una decisione sofferta, alla luce delle recenti disposizioni delle autorità governative, che suscita una molteplicità di sentimenti e, in alcuni casi, anche di risentimenti.
Nessuno conserva memoria di tempi e situazioni in cui si sia verificata una cosa del genere. Non basta ricordare che in molte parti del mondo la celebrazione dell’Eucaristia è occasione rara e spesso richiede sacrifici non indifferenti per poterla celebrare e potervi partecipare; non basta riconoscere che anche nella nostra Diocesi crescono le parrocchie nelle quali non si celebra l’Eucaristia ogni giorno; non basta ammettere che per molti battezzati l’Eucaristia è diventata un optional e che per anziani e malati spesso è solo un desiderio. L’immagine biblica che mi dà forza in questa circostanza è quella dell’esilio. Questo contagio ci sta, volenti o nolenti, esiliando dalla terra della nostra vita quotidiana, dalle nostre reali, presunte e presuntuose sicurezze, dalle nostre buone e forse meno buone abitudini. Il Signore ci indica nel silenzio e nell’ascolto della sua Parola, nella pazienza e perseveranza e nella preghiera e della carità vicendevole, le armi del nostro combattimento spirituale. Ogni giorno i sacerdoti stanno celebrando l’Eucaristia per i fedeli, anche se senza i fedeli. Le nostre chiese in questo momento rimangono aperte. La sofferenza di non poter partecipare alla celebrazione dell’Eucaristia, che rimane insostituibile, viene consolata dalla più convinta adozione di uno stile eucaristico nella nostra vita che si premura per gli altri e amore condiviso.
Le cronache hanno riportato le notizie di preti che hanno comunque celebrato regolarmente la Messa nonostante i divieti. Molti fedeli si sentono quasi “violentati” per l’imposizione del divieto alla celebrazioni, altri (la maggior parte va detto) hanno invece rispettato le indicazioni. Cosa si sente di comunicare a chi fatica ad accettare la situazione?Ho riconsegnato alla comunità cristiana due doni che appartengono alla tradizione e alla dottrina della chiesa. Il primo è il “votum sacramenti” cioè la confessione di desiderio: nel momento dell’impossibilità di accedere al sacramento, un fedele, profondamente pentito dei suoi peccati può rivolgere al Signore la sua richiesta di perdono con una preghiera di pentimento, promettendo di vivere poi il sacramento appena possibile e così il Signore lo perdona. Ho poi ricordato e indicato a tutta la diocesi il grande dono che ha ogni cristiano per grazia del Battesimo di essere portatore di benedizione: un padre può benedire i suoi figli, una madre può benedire i suoi cari, i nonni possono benedire i loro nipoti, ma è importante soprattutto nel caso della sofferenza che anche i figli e i nipoti possano benedire i loro cari. E l’ho chiesto con delicatezza e rispetto anche a medici e infermieri: spessissimo in questi giorni nelle corsie vedono morire gente da sola, se percepissero un desiderio sarebbe un dono prezioso che le loro mani potessero offrire anche la benedizione del Signore.
La questione celebrazioni, vien da dire purtroppo, è diventata anche oggetto di schermaglie politiche con il rischio che si perdesse di vista il reale valore delle celebrazioni. Lei ha già avuto modo di dire che sta dalla parte del rispetto delle regole. Ci può spiegare perché è giusto rispettare la rinuncia alla Messa ed, eventualmente, come renderne conto a Dio?La responsabilità dell’obbedienza alle leggi di ordine pubblico è un servizio al bene comune. Le Messe non si sono mai fermate, solamente il prete celebra da solo senza la gente. Viene chiesto alle comunità in questa Quaresima un digiuno che non avremmo mai pensato, quello dall’Eucaristia, ma come si dice di una persona che ami e che per un po’ di tempo non puoi vedere, assenza è doppia presenza. Forse stiamo cogliendo di più il valore di un dono che troppo spesso abbiamo dato per scontato e ritenuto un diritto. E in più capiamo che Dio non segue la logica social dei followers: la Messa non è che vale di più se ha tanta gente e non ha effetto se non c’è nessuno. Quando un prete celebra da solo, non vuole dire che non ci sono i fedeli. Celebra comunque con loro e per loro. Di solito siamo noi che andiamo da Dio, che bello pensare che proprio in questo momento è Dio che viene da noi. Tu sei a casa e pensi che il tuo prete, da solo, davanti a Dio, sta pensando a te.
Spesso in momenti di emergenza, difficoltà, dolore, anche i meno legati alla fede si appellano alla stessa per trovare aiuto o conforto. In questo frangente sta succedendo? Lei pensa possa avere strascichi positivi anche una volta usciti dalla crisi più nera?C’è una forza interiore più vasta e più profonda anche del male: questa è la fede che è la linfa nelle radici del popolo bergamasco. Sarà la solidità su cui ricostruire le famiglie, su cui far ripartire il lavoro, su cui puntare la leva per sollevare un’economia schiacciata al suolo, su cui far forza per cicatrizzare le ferite emotive, su cui appoggiarsi per rielaborare un lutto che è stato solo deglutito, su cui mettersi in piedi per guardare l’orizzonte e ripartire. Una solidità che mi ha fatto vedere persone a pezzi aiutare chi aveva solo una crepa. Questi giorni allungano ombre di morte sulla nostra vita comune e sulle nostre famiglie e, nello stesso tempo, non possiamo fare a meno di riconoscere i segni della primavera. La risurrezione è il fiore che sboccia e che anticipa la gioia di poterne gustare un giorno il frutto. È la gemma che sta fiorendo.
La sofferenza dei bergamaschi è stata una delle più violente se non altro per la quantità di perdite, di contagi e per quelle terribili immagini delle salme trasportate dai camion militari. Lei come ha vissuto queste settimane profondamente complicate e caratterizzate dall’angoscia e dai lutti?Questo momento ci sia un grandissimo bisogno di vicinanza. Ma questa vicinanza non basta. L’urgenza ha fatto scattare una solidarietà generosamente impressionante. La solidarietà ha poi fatto nascere il senso di prossimità. La diocesi conta 400 parrocchie circa e veramente sto vedendo manifestazioni le più disparate, fantasiose, nuove, per promuovere questa vicinanza. Le parrocchie si sono mosse sui social, con celebrazioni in streaming, con proposte di video e di testi in chat o videochat, studiando app, rivitalizzando le radio parrocchiali, per offrire iniziative ai ragazzi a casa, riflessioni per gli adulti via chat, pillole audio con storie o canti per fare compagnia agli anziani. Io, come Vescovo, attraverso la televisione diocesana, offro quattro momenti alla settimana: il rosario al martedì, la via crucis al venerdì, una breve catechesi per i giovani al sabato sera all’ora di cena e la Messa dalla Cattedrale alla domenica mattina. La stessa curia ha del materiale in supporto sul sito www.diocesibg.it e www.oratoribg.it in modo particolare per i ragazzi a casa con proposte specifiche per loro. C’è poi un impegno della diocesi per ospitare in alcune strutture persone che vengono dimesse dagli ospedali e necessitano di quarantena che però non possono vivere nelle loro case perché non hanno spazi adatti, essendo che tutti sono costretti a stare nelle abitazioni anche i bambini essendo chiuse scuole e attività. Abbiamo costruito poi anche un servizio telefonico che abbiamo aperto di consolazione spirituale e di supporto psicologico, con una settantina tra sacerdoti, religiosi e religiose, laici tra cui psicologi, per sostenere tutte le persone che in famiglia stanno vivendo particolari situazioni di dolore per la malattia e la morte, ma anche infermieri, medici, coloro che in diverso modo si stanno adoperando donando eroicamente le loro forze. E poi c’è una mail a cui le famiglie possono inviare le loro intenzioni e sono affidate alle monache di clausura per una intercessione continua di tutti i monasteri a cui vengono distribuite. Tutto questo mi sembra vada nella direzione dell’avvertenza e della consapevolezza che Dio, che pure sta nella prova con noi, non ci sta abbandonando.
Lei come pensa che potremo uscire da questa emergenza? Avremo un cuore e uno spirito maggiormente ricco di esperienze delle quali far tesoro?Abbiamo attraversato molte crisi. La crisi economica e finanziaria non è stata uno scherzo. La crisi ambientale non è uno scherzo. C’è anche una crisi ecclesiale. Molte volte abbiamo detto: non sarà più come prima, dobbiamo imparare dagli errori, non dobbiamo ripeterli. La domanda è: siamo pronti a imparare? Le famiglie faranno i conti con le perdite, i posti vuoti. La risposta non l’ho ancora. Due sono gli elementi decisivi: la condivisione solidale, necessaria per venirne fuori; e l’esercizio di una responsabilità personale. Se riusciremo a crescere, almeno sarà venuto un frutto da questa vicenda terribile.