C’è un momento, entrando al Grand Hotel Minerva di Firenze, in cui il passo rallenta da solo. È l’istante in cui l’occhio riconosce un ordine diverso, una trama invisibile che tiene insieme luce, materia e silenzio. È l’eredità di Carlo Scarpa, rimasta sospesa nell’aria come una vibrazione sottile: non la si nota subito ma, se sei un appassionato di design, quando la senti è impossibile ignorarla. Perché questo quattro stelle, affacciato sulla perfezione severa di Santa Maria Novella, non è soltanto un luogo di ospitalità: è un organismo architettonico, risultato di accorpamenti di edifici medievali, che ha attraversato gli anni portando con sé la memoria di un restauro visionario, quello che Scarpa - tra i più importanti Maestri del XX secolo - immaginò con la sua consueta grazia disordinata, dove ogni dettaglio diventa un frammento di poesia. Il suo stile è segnato da minimalismo, asimmetria, cura del vuoto e una profonda attenzione all’equilibrio.

L'esterno del Grand Hotel Minerva di Firenze
La luce come architettura
Sono entrata al Grand Hotel Minerva con l’aspettativa tipica di chi conosce Firenze: bellezza ovunque, storia che ti precede di qualche secolo, eleganza ormai data quasi per scontata. Ma non mi aspettavo quella sensazione precisa, quasi fisica, di essere come “osservata” dalla luce. Succede appena oltrepassata la soglia, quando ci si accorge che qui c’è un’altra narrazione in corso. C’è qualcosa di profondamente emotivo nel modo in cui gli spazi si aprono, si incastrano, scorrono. Per il Maestro, la luce era materia: la tagliava, la filtrava, la guidava attraverso fessure, spessori, scale. Come un regista che controlla la scena.
Alchimia tra passato e presente
Sorto come parte del monastero di Santa Maria Novella nel 1300, nel corso dei secoli il palazzo è diventato dimora di diverse famiglie della nobiltà fiorentina. Il debutto nell’ospitalità avviene nel 1848 con la nascita della “Locanda di Minerva”. Nel secolo successivo prende il nome di Grand Hotel Minerva e, tra il 1957 e il 1964, subisce una radicale ristrutturazione ad opera di due amici-colleghi: Edoardo Detti, urbanista e architetto fiorentino, e Carlo Scarpa, artista e progettista veneziano.

La vista su Firenze dal rooftop del Grand Hotel Minerva
Nel trasformare l’albergo, ampliandolo e realizzando persino un giardino interno, il Maestro Scarpa crea spazi e dettagli di design divenuti simboli intramontabili dell’architettura modernista italiana.
Scale fluttuanti e quinte tridimensionali, i dettagli più audaci di Scarpa
Nella sala colazioni emerge con chiarezza la mano di Scarpa: pilastri con angoli smussati e paraspigoli in pietra serena scandiscono lo spazio, mentre la pavimentazione alterna lastre di marmo verde serpentino e bianco apuano (lui amava utilizzare i materiali locali). La sala si apre su un giardino di ispirazione giapponese: originariamente era stato concepito come spazio meditativo, ma oggi la sua funzione è puramente ornamentale. Sul fondo, una parete in mattoni, articolata secondo un ritmo di elementi tridimensionali, ne chiude la prospettiva. Ciò che attira è però la finestra a doppia losanga, affaccio della sala riunioni intitolata a Scarpa: incastonata nel muro, incornicia la luce e proietta lo spazio verso l’esterno.

La parete tridimensionale di Carlo Scarpa
Sparse tra la sala colazione e il ristorante, si trovano - scovarle è quasi una caccia al tesoro - le sedie in legno disegnate dal Maestro e realizzate a Firenze nel 1958 per l’hotel, e le cornici progettate per il Minerva e per le Gallerie degli Uffizi. E c’è pure, nella hall di fronte ai divani, un delizioso tavolino modernista, oltre all’imponente camino che pare una quinta teatrale. Caratteristica anche la scala principale, con i pannelli sfalsati che scandiscono i pianerottoli e a cui si agganciano le rampe.

La sala colazioni del Grand Hotel Minerva
Ma la firma più riconoscibile del progettista veneziano è nella scala di acciaio e massello di teak che conduce al rooftop: con le sue pedate fluttuanti nello spazio, e una geometria che ricorda l’essenzialità giapponese - molto cara al Maestro - fu concepita come parte integrante del nuovo percorso verticale che culmina nella terrazza panoramica.
Camere con vista, scorci da cartolina e quadri d’autore
Con il suo incantevole affaccio su piazza di Santa Maria Novella, a due passi dalla stazione e dal Duomo, il rooftop con piscina (riscaldata), che ti permette di “nuotare tra i tetti fiorentini guardando la cupola del Brunelleschi”, è uno dei punti di forza di questo hotel storico, tra i più antichi della città. Non solo. Il Minerva trasuda arte e letteratura: qui il poeta americano Henry Wadsworth Longfellow tradusse la Divina Commedia, e qui si trova anche la Grande Bagnante n. 6 dello scultore siciliano Emilio Greco. Nei salotti spuntano quadri di Carlo Carrà, esponente del futurismo italiano e dell’arte metafisica; nella sala colazioni, le decorazioni del pittore e compositore fiorentino Giuseppe Chiari. Sono 97 le camere, suite comprese.

Una delle suite del Grand Hotel Minerva
Due, in particolare, sono rimaste inalterate nel tempo, proprio com’erano prima della ristrutturazione demolitiva firmata da Carlo Scarpa: con letti a baldacchino, sfoggiano ancora soffitti affrescati o a cassettoni dipinti a mano.
Una storia di famiglia
Oggi questo quattro stelle appartiene alla famiglia Maestrelli. La conduzione è familiare, con la giovane Sara e i suoi fratelli in prima fila. Dal 1995 l’albergo ha subito una profonda ristrutturazione: gli spazi ideati da Scarpa e Detti non esistono più; per motivi di ricettività sono state apportate sostanziali modifiche sia alla distribuzione sia agli arredi.

La hall del Grand Hotel Minerva
La storia dei Maestrelli nell’ospitalità inizia oltre trent’anni fa, quando Egiziano Maestrelli acquista il Minerva, albergo dai tempi del Grand Tour. È però sua figlia Elena a trasformare questa eredità in una passione e a dare vita alla Collezione Em (che comprende cinque hotel, il più recente a Forte dei Marmi), affiancata dalla nipote Sara e dal figlio Nicolò.
La tradizione toscana va in tavola, anche a colazione
Diciamolo subito: la prima colazione vale il viaggio. La sala del buffet, con le vetrate a tutta altezza che si affacciano sul giardino interno, è un inno alla luce. Le postazioni - dolce, salato, bevande, frutta fresca - sono ben fornite, con ampia scelta anche di prodotti locali. Come i golosi budini di riso, pezzo dolce tipico che raramente viene servito negli hotel. La proposta enogastronomica è arricchita dal bistrot La Buona Novella, dove lo chef Edoardo Papiani offre piatti tipici toscani in un ambiente che celebra l’arte, con le sedute di Carlo Scarpa e alcune litografie di Emilio Greco.
L’architettura sulla pelle al Grand Hotel Minerva
Il Grand Hotel Minerva è uno di quei luoghi in cui senti l’architettura sulla pelle. Non ti travolge, ma ti dà la sensazione di aver camminato dentro un pensiero. Con la stessa leggerezza con cui una scala può diventare un’emozione.
Piazza di Santa Maria Novella 16 50123 Firenze