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Riapertura, solo se si è guariti veri Lo deve certificare il tampone

In una prospettiva di riapertura delle attività, bisogna capire per quanto un ex malato rimane contagioso. Il rischio è quello di tornare a diffondere il virus tra la popolazione.

 
30 marzo 2020 | 11:05

Riapertura, solo se si è guariti veri Lo deve certificare il tampone

In una prospettiva di riapertura delle attività, bisogna capire per quanto un ex malato rimane contagioso. Il rischio è quello di tornare a diffondere il virus tra la popolazione.

30 marzo 2020 | 11:05
 

Da Giulio Gallera, assessore al Welfare della Lombardia, che ieri ha parlato di un possibile già avvenuto superamento del picco in Regione, a Silvio Brusafero (presidente Iss) che dice chiaramente: «Un rallentamento c'è»: le prospettive per l'Italia vanno verso un'organizzazione della riapertura, per gradi, delle attività economiche. E gli studi, anche, vanno in questa direzione. L'ultimo, in ordine di tempo, è quello dell'Istituto Mario Negri di Bergamo, fatto in collaborazione con l'Istituto Superiore di Scienze Sociali di Parigi. Uno studio che si concentra sui tempi in cui gli ex malati diffondono il virus.

Abbiamo un mese prima di riaprire, usiamolo per non rischiare in una "ricaduta nazionale" - Riapertura, solo se si è guariti veri Lo deve certificare il tampone

Abbiamo un mese prima di riaprire, usiamolo per non rischiare in una "ricaduta nazionale"

Se infatti le conoscenze sono aumentate sul tema "periodo di incubazione", ancora troppo poco si conosce sulla gestione del periodo durante il quale la persona malata diffonde il virus nell'ambiente e deve quindi osservare la quarantena. È fondamentale come dato per un'eventuale riapertura per gradi, perché sia evitato un ritorno della pandemia. Vale per l'Italia, vale per il mondo intero.

Il ragionamento comincia dal numero: quanti saranno gli ex malati? Per la fine di aprile il numero totale di persone in età lavorativa dichiarate infette mediante tampone potrebbe essere intorno alle 115mila unità, ammesso che possa essere quello il momento di una parziale riapertura (il virologo Roberto Burioni, insieme ad altri colleghi ed esperti, ha lanciato un chiaro messaggio a questo proposito nei giorni scorsi: «Bisogna cominciare a ragionare su cosa fare delle nostre vite finita la quarantena, ma la situazione è ancora talmente grave da rendere impensabile una riapertura prima della fine di aprile»). Se si parla di 115mila di fine aprile, si prospetta una salita a un massimo di 130mila agli inizi di giugno, questo perché non sono previste variazioni molto significative rispetto alle attuali curve statistiche (che, secondo il ministro della Salute Speranza, si scongiurano se «non abbassiamo la guardia proprio ora»). Numeri questi che ognuno di noi deve almeno raddoppiare, naturalmente: per fare un esempio, per capirci, possiamo parlare dei dati citati dal sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, che parla di effettivi malati di coronavirus pari a 5-10 volte il numero ufficiale solo per la provincia lombarda più colpita. Ci si riferisce a quelle persone isolate a casa, con sintomi, che si sono rivolte al medico di base ma che non sono così gravi da necessitare del ricovero in ospedale e quindi del tampone.

Partendo da questi dati (totali) bisogna ragionare sul fatto che un gran numero apparterrà alla categoria dei guariti. Ma quando una persona si può davvero dire guarita? Cioè, per quanto tempo una persona che ha contratto il coronavirus e poi "ne esce" può ancora diffondere il virus nell'ambiente?

I dati che ci vengono forniti (e sono pochi gli studi che contribuiscono per ora a questo genere di informazione) parlano di una capacità temporale di contagiare di 20 giorni in media per quei pazienti che hanno una forma grave di Covid-19 (che può arrivare fino a picchi di 37 giorni); per i malati invece più lievi la durata media è di una decina di giorni (che può estendersi fino alle 2 settimane). Dopo tutto non si può dire quando davvero si è guariti, senza che lo certifichi il tampone: Per certificarlo esistono solo delle raccomandazioni.

La certezza da dove viene? Dal tampone, non c'è alternativa. Precisamente da due tamponi effettuati a distanza di un giorno. Più facile a dirsi che a farsi, però, considerando che, come abbiamo detto sopra con l'esempio di Bergamo, sono davvero tanti i pazienti con forma lieve di Covid-19 che non vengono ricoverati. Gli ospedali, specialmente in Lombardia, non dispongono di sufficienti posti letto (le immagini del servizio del New York Times su Bergamo rendono bene l'idea, mostrando corridoi sovraffollati di lettini al Papa Giovanni XXIII): si parla già da giorni (se non settimane) di un sovraccarico degli ospedali. Per non parlare de fatto che per far ei tamponi servono i reagneti, che invece scarseggiano in tutta Italia....

Oltre ai sintomatici lievi e quindi non registrati, caso che ancora di più preoccupa - perché, come detto dagli studiosi Boris e Alexander Bibkov, dello studio firmato dal Mario Negri, «non è stato ampiamente comunicato al pubblico» - è quello degli asintomatici, che occupano una percentuale compresa tra il 18% e il 30% dei contagiati totali. Questa è una percentuale di cui tener fortemente conto, specialmente nell'ottica di una riapertura, per evitare un'epidemia di ritorno.

Che si tratti di asintomatici, che si tratti di sintomatici che vedono sparire i sintomi più gravi (come febbre alta o tosse forte), chi ha a che fare con il Covid-19 non può considerarsi guarito finché non lo attesta un test diagnostico ripetuto più volte (due, per l'esattezza, come detto). L'attuale carenza di tamponi, scrive il Corriere della Sera, non rende possibile fare il test a tutte le persone con sintomi. Aggiungiamo poi, prendendo spunto dalla situazione in Lombardia: anche qualora di tamponi ce ne fossero a disposizione per essere fatti a un maggior numero di persone, non ci sono i laboratori per analizzarli (Gallera, due giorni fa parlava di una capacità di analisi lombarda fino a 5mila campioni, per questo ha chiesto aiuto anche ai laboratori privati, specialmente dopo la raccomandazione dell'Iss di far tamponi anche ai monosintomatici, e non solo ai plurisintomatici).

I due studiosi aggiungono che queste informazioni «devono servire per sviluppare un metodo razionale e diffuso per combattere l'epidemia a livello individuale e collettivo».

«Un guarito, uno solo, che si aggira inconsapevole di essere ancora contagioso, e ricominceremo daccapo - ha dichiarato Giuseppe Remuzzi, direttore del Mario Negri - Finora dalle autorità abbiamo avuto una comunicazione incentrata su alcune cose importanti, come l'isolamento sociale. Il prossimo obiettivo deve essere quello di coinvolgere i cittadini, fornendo le conoscenze che li aiutino a uscire in sicurezza dalle loro case». Inoltre, «credo occorra indicare una strada precisa - secondo Remuzzi - un nuovo protocollo. Il medico di base non può lasciare andare via subito l'ex malato. Deve rivolgersi all'Asl, ognuna delle quali ha bisogno di mezzi di organizzazione per i controlli, senza aspettare 15 giorni per vedere se il paziente è negativo». Frase emblematica, che raccoglie tutti questi concetti in poche parole, è ancora di Remuzzi: «Mandando in giro guariti veri, aiuteremo l'economia».

I guariti possono tornare positivi, la riceca a Wuhan
Da tenere conto in questa macro-riflessione, anche un'interessante ricerca pubblicata sul South Cina Morning Post. Sulla base di uno studio effettuato su un gruppo di 147 pazienti guariti dal coronavirus, si stima che una percentuale compresa tra il 3% e il 10% dei pazienti possa tornare positiva. Questa ricerca fa sorgere spontanea una domanda: queste persone possono ancora infettare? Non esiste al momento una risposta certa, ma si possono fare considerazioni.

A Wuhan tutto è pronto per la riapertura alla normalità, prevista per l'8 aprile. I contagi interni sono vicini allo zero e i pazienti guariti aumentano, ma aumentano anche coloro che tornano positivi al coronavirus dopo le dimissioni dagli ospedali. La comunità scientifica, in particolare cinese, si interroga da tempo sul fatto che i guariti possano aver sviluppato anticorpi utili alla difesa del virus.

Ebbene, la ricerca, seppur condotta su una porzione minima di popolazione, rivela che i pazienti guariti e dimessi dagli ospedali tornano alla normalità. Sottoposti a un successivo tampone, risultano positivi, ma non in grado di contagiare altre persone. Sono in corso ulteriori studi scientifici per accertare questa prima ipotesi.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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