Donald Trump ha deciso di togliere i dazi su carne, caffè, banane e su decine di altri prodotti importati. Una mossa improvvisa, come riporta l’Ansa, che arriva in piena tensione interna sul costo della vita e che apre subito una domanda inevitabile: che cosa cambia per l’Italia? Il punto è che, nonostante la portata dell’annuncio, nessuno dei principali prodotti agroalimentari italiani rientra nella lista dei beni esentati. E questo spiega perché nel mondo del made in Italy la decisione sia stata accolta più con cautela che con entusiasmo.

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump
La Casa Bianca giustifica la scelta parlando di progressi nelle trattative commerciali e dell’impossibilità, per gli Stati Uniti, di produrre internamente quantità sufficienti di alcuni beni alimentari di largo consumo. Ma la logica, osservano gli esperti, è piuttosto chiara: Washington ha tolto i dazi solo dove l’interesse è diretto e immediato. E infatti Coldiretti e Filiera Italia lo hanno spiegato senza giri di parole: «Il nuovo ordine esecutivo non comprende alcuno dei prodotti italiani esportati in modo significativo negli Stati Uniti». Significa che vino, olio, pasta, riso, formaggi - i cardini del nostro export - restano fuori dal provvedimento.
La lista dei prodotti agevolati conferma questa impostazione: banane, caffè, tè, pomodori, succhi, cacao, arance, frutta esotica, alcuni tagli di carne bovina (non esportati dall’Italia), fertilizzanti e pinoli. Si tratta di beni che gli Stati Uniti non producono o producono in quantità troppo basse per il proprio fabbisogno. Esattamente per questo vengono liberati dai dazi: i prezzi, gonfiati dalle tariffe, stavano diventando difficili da sostenere per i consumatori americani. Ma il fatto che nessun prodotto italiano significativo sia stato inserito evidenzia come il taglio dei dazi risponda soprattutto a un’esigenza interna, non a una revisione generale dei rapporti commerciali. Ed è proprio qui che nasce la preoccupazione delle nostre filiere: se gli Stati Uniti ritoccano le tariffe solo sui prodotti utili alle famiglie americane, senza toccare quelli che l’Italia esporta, la nostra posizione non migliora. Anzi, resta sospesa dentro un quadro commerciale che cambia velocemente e nel quale l’Europa - e l’Italia in particolare - rischia di avere meno spazio negoziale. La rimozione dei dazi su beni tropicali e agricoli statunitensi può spostare equilibri di mercato, ma non alleggerisce il peso che grava sulle eccellenze italiane.
La scelta di Trump va però letta anche dentro la politica interna americana. Negli ultimi mesi il costo della vita ha continuato a salire e il presidente è sotto pressione dopo una campagna elettorale in cui il tema dell’“affordability” è diventato uno dei più discussi, spinto anche dalla vittoria a New York del socialista democratico Zohran Mamdani. Le famiglie percepiscono una spesa alimentare più pesante, e la Casa Bianca ha bisogno di segnare un punto, anche simbolico. Non sorprende quindi che i primi dazi a cadere siano quelli sui prodotti che gli Stati Uniti consumano in grandi quantità. A complicare il quadro c’è la scadenza dei sussidi Obamacare, destinati a terminare a gennaio, con la prospettiva di un forte aumento dei premi assicurativi. Un elemento che rischia di alimentare il malcontento e di pesare sulle elezioni di metà mandato. Ecco perché la Casa Bianca appare nervosa, mentre alcuni analisti parlano apertamente di un’amministrazione in affanno nel tentativo di controllare la narrativa sui prezzi.
Non aiutano le continue retromarce di Trump sul tema dei dazi, che hanno rilanciato un vecchio soprannome tornato virale: Taco, “Trump always chickens out”, cioè “Trump si tira sempre indietro”. Dalla prima ondata di annunci del 2 aprile a oggi, le misure sono state rimaneggiate più volte. Quello che doveva essere un pilastro dell’agenda economica - rigore commerciale, America forte, tariffe come leva strategica - si è trasformato in un tira e molla che mina la credibilità della politica tariffaria americana. Infine resta un nodo che potrebbe cambiare tutto: la Corte Suprema sta valutando la legittimità dei dazi. I giudici non sembrano convinti dell’argomento dell’emergenza nazionale, e un’eventuale bocciatura sarebbe un colpo durissimo. Non solo politico: secondo le stime citate dallo stesso Trump, il governo potrebbe dover restituire fino a “3mila miliardi di dollari” di tariffe già incassate.