Booking ha raggiunto un accordo con l'Agenzia delle Entrate per regolarizzare le ritenute del 21% mai applicate ai proprietari di case in affitto breve. L'intesa, firmata nei mesi scorsi, vale 312,5 milioni di euro e chiude una lunga partita fiscale che ha coinvolto la società italiana del gruppo olandese per il periodo che va dal 2017 al 2023.

Booking chiude i conti col Fisco italiano: maxi transazione da 312 milioni
La transazione è frutto di un accertamento condotto dall'Agenzia sul mancato ruolo di sostituto d'imposta da parte del portale, che in quegli anni ha gestito prenotazioni e pagamenti senza trattenere quanto previsto dalla normativa italiana. Molto probabilmente, nel totale versato da Booking rientrano anche sanzioni e interessi maturati nel tempo. I dettagli dell'accordo sono rimasti riservati, ma non si esclude che tra le clausole vi sia anche la condivisione dei dati fiscali, anagrafici e bancari degli host italiani. Una direzione, questa, verso cui Booking aveva già iniziato a muoversi, come confermano gli accertamenti ricevuti recentemente da molte strutture ricettive e intermediari turistici, basati proprio sui pagamenti ricevuti tramite la piattaforma.
L'archiviazione del procedimento penale da parte del Gip del Tribunale di Roma, depositata a febbraio, è stata motivata dall'atteggiamento collaborativo della società, dal pagamento dell'importo pattuito e dalla messa in atto di misure correttive per il futuro. È la conseguenza diretta di una vertenza che affonda le radici in anni di ambiguità normativa e che ha visto coinvolti diversi attori del mercato delle locazioni brevi. Prima che entrassero in vigore strumenti come il Dac7 e il Cin, i portali di intermediazione turistica si limitavano a raccogliere informazioni generiche sulla natura degli alloggi proposti, un'impostazione che ha creato ulteriore incertezza sulla corretta applicazione della cedolare secca. Il contesto italiano, con decine di forme diverse di ospitalità (da quelle più tradizionali fino a soluzioni come case sugli alberi, garden sharing, palafitte, boat&breakfast o alloggi in grotte), ha contribuito a rendere ancora più complesso il quadro, solo recentemente sistematizzato con la Bdsr - la Banca dati delle strutture ricettive del ministero del Turismo.

Airbnb, a differenza di Booking, aveva contestato formalmente l'obbligo di trattenere le imposte sugli affitti brevi ricorrendo al Tar nel 2017, sostenendo l'illegittimità del Decreto Legge n. 50/2017. Da parte loro, altri portali internazionali hanno scelto una via più silenziosa: hanno semplicemente ignorato la norma, rinviando lo scontro a data da destinarsi. La vicenda Airbnb, però, ha attraversato tutti i gradi di giudizio, fino ad arrivare alla Corte di Giustizia Europea e poi al Consiglio di Stato, che ha confermato la legittimità dell'obbligo per gli intermediari digitali che gestiscono pagamenti di operare come sostituti d'imposta, con effetto retroattivo a partire da giugno 2017. Intanto, Booking, come detto, si è adeguata al nuovo scenario. E la piattaforma, tramite un comunicato, ha dichiarato: «Accogliamo con favore la chiarezza fornita sul ruolo delle piattaforme online indipendenti nel processo di raccolta e versamento delle imposte sul reddito personale da parte dei singoli proprietari alle autorità fiscali. Dal dicembre 2023, e a partire da gennaio 2024, ci occupiamo direttamente della riscossione di tale imposta per conto dei proprietari interessati».
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