Pandemia, smart working, chiusura delle scuole. Il 2020 della ristorazione collettiva è stato un cataclisma che ha generato un calo complessivo di ricavi e volume di vendite pari a 1,5 miliardi di euro a causa di un ammanco di 329 milioni di pasti non serviti. Una situazione a cui le aziende del settore hanno cercato di rispondere puntando su continuità di servizio, protocolli più rigidi e rinegoziazione dei contratti d'appalto.
Attività che hanno impegnato anche All Food SpA, azienda con oltre 30 anni di esperienza nell'ambito della ristorazione collettiva. Presente in 14 regioni italiane, All Food Spa produce circa 18 milioni di pasti all'anno con un fatturato medio intorno agli 80 milioni di euro e duemila dipendenti (di cui il 90% donne). A guidarla c'è l'amministratore delegato Massimo Piacenti: «Il nostro è un settore maturo e a basso valore aggiunto. La differenza la fanno pochi centesimi a pasto sia nei costi che nei ricavi».
Massimo Piacenti, amministratore delegato di All Food SpA
Come si è chiuso il 2020?Chiudiamo il 2020 con una diminuzione di
fatturato del -50% per la ristorazione aziendale e socio-sanitaria e -35% per la scolastica. Questo senza considerare la fase del primo
lockdown, ossia marzo-aprile 2020 che, altrimenti, peggiorerebbe il dato medio per tutti i settori al -67% del fatturato. Il tutto con duemila occupati di cui uno su quattro in cassa integrazione. D’altronde, abbiamo una procedura aperta per tutti i dipendenti. Non appena la situazione lo richiede, per esempio quando scoppia un
focolaio in una scuola o in una Rsa, siamo pronti a intervenire.
Tutto negativo, quindi?Non proprio. Da un punto di vista
commerciale il 2020 è stato anche un anno positivo. Quando c’erano
contratti in scadenza o scaduti ce li siamo aggiudicati nel bando successivo riuscendo anche a introdurre appalti nuovi. Certo prima che si concretizzino e diventino operativi ci vorrà qualche mese, ma almeno siamo attivi sul mercato. La cosa peggiore, infatti, non è tanto rimanere
chiusi e bloccare completamente il servizio, quanto mantenere il servizio attivo a fronte di un calo di pasti considerevole e tutta una serie di
costi fissi da corrispondere.
La ristorazione scolastica è ripartita a singhiozzo a causa delle decisioni governative e regionali. Quali sono state le maggiori difficoltà per voi in termini di servizio?La scolastica è sicuramente il servizio più
delicato per il tipo di utenti che abbiamo, ossia i
bambini. Tutto il settore ha risposto con grandissima responsabilità, in stretta collaborazione con le autorità. Tra l’altro è l’unico servizio in cui siamo riusciti a
rinegoziare il contratto al punto da coprire almeno parzialmente perdite e costi aggiuntivi, lievitati intorno al 20-25%.
A livello aziendale, lo smart working è stato uno dei fenomeni del 2020. Che impatto sul vostro giro d’affari? Avete attivato delle modalità alternative?Impatto pesantissimo. L’aziendale è stata colpita al cuore. Le grandi
aziende con cui collaboriamo sono arrivate anche a punte del 70% di smart working. Una soluzione che potrebbe diventare
strutturale oltre la pandemia. Per questo già ora abbiamo sperimentato delle
alternative sebbene siamo ancora lontani dal raggiungere un nuovo modello. Chi ce la farà avrà accesso a un mercato dal valore di miliardi di euro.
Che innovazioni in campo di ricerca e sviluppo?Abbiamo da poco avviato al nostro interno un gruppo di lavoro interdisciplinare all’opera sull’innovazione di processo e distribuzione. Ancora non abbiamo risultati apprezzabili. Lato utente, stiamo tentando delle sperimentazioni tramite il
vending e raccogliendo delle case history di successo a livello internazionale. In generale, la sfida più ostica è quella della
dieta mediterranea. Mi spiego meglio: in Italia la pasta, il primo piatto ricopre un ruolo fondamentale nella dieta delle persone. Riuscire ad andare oltre questo paradigma per seguire le mutate abitudini di consumo non è facile.
Che prospettive per il 2021?Il nostro è un settore maturo e a basso valore aggiunto. La
differenza la fanno pochi centesimi a pasto sia nei costi che nei ricavi. Il futuro, quindi, lo vedo con meno aziende presenti sul mercato perché il volume di affari si ridurrà ma sarà gestito da
player molto più attrezzati che avranno risorse da investire su innovazione e formazione del personale. Insomma, gli
standard qualitativi si alzeranno ancora una volta.