È il momento della riscossa della cucina romana, urlava allegramente il cuoco di un ristorante romano, portando in tavola il piatto con un “maialino da latte porchettato con le nostre spezie”. Naturalmente, aggiungevano alcuni clienti romani, perché la nostra cucina è tosta, forte, succulenta e, alla fine, è “gourmand”. Tra le cucine di tradizione regionale, quella romana è sicuramente la meno sofisticata - come direbbero i gourmet -, ma è concreta per i piatti realizzati con il “quinto quarto”, trippa, animelle, cervella, minestre e le tante verdure, come il broccolo e i carciofi alla romana, le puntarelle con le alici… Insomma, un must d’alta cucina regionale. In questo momento, poi, sta rallentando l’orientamento verso il “nuovo” da parte di molti cuochi a favore di un ritorno alle origini delle tradizioni culinarie italiane.

Il ristorante con il nome del secondo Re di Roma
Nel dopo pandemia in cucina si ricerca la tradizione
Dopo le riaperture, molti ristoratori hanno annusato e capito che l’euforia per le cucine iper-creative della pre-pandemia (spesso non capite per la complessità) per il momento segnano il passo. La gente vuole ritrovare il concreto già metabolizzato dal palato e dalla memoria del gusto con i piatti delle tradizioni, che poi sono tanto buoni e accontentano tutti.

Catalana di gamberoni
La cucina verace di Davide Cianetti
È quello che ha pensato Davide Cianetti, il rubicondo e concreto chef del Numa, di ritorno in Italia dopo un’esperienza negativa americana causata dal Covid 19.
Alla riapertura si è presentato con tutto il repertorio delle paste, dei secondi, riproposti con qualche accenno di reinterpretazione destrutturati del più per renderli più sani e ancora più gustosi, come le fettuccine con alici e friggitelli, o i paccheri all’amatriciana e i gustosissimi tranci di pizza ripieni di verdure e formaggi. E per essere ancora più verace, ha chiamato il suo ristorante con il nome del secondo Re di Roma: Numa Pompilio.
Niente di più azzeccato vista la location: Viale Aventino, a fianco del Circo Massimo, con le imponenti mura del Foro romano, Caracalla e, poco più avanti, l’Arco di Costantino e il Colosseo; e, non ultima, come dirimpettaia la sede dell’Agenzia internazionale della Fao, dove all’interno si concentra la variegata umanità del globo che, una volta fuori il Numa è diventato il loro punto di riferimento enogastronomico.
Il perché del successo e di come è composta la sua cucina me lo faccio raccontare da lui mentre testo la sua magnifica versione della “catalana di gamberoni”, perfetta per la temperatura mite, con una salsina leggera di olio evo che avvolge le verdure con la giusta armonia per esaltare il crostaceo.

Una cucina verace e senza orpelliDavide, quando sei stato colpito dal virus della creatività in cucina o, comunque, quando hai deciso di affrontare questo doloroso percorso di “lacrime e sangue”, perché è questo che promette una sana cucina.Penso che ci si nasca con questa “sana” infezione. Si tratta solamente di scoprirla e io l’ho scoperta fin da piccolo. I miei genitori avevano una macelleria e già all’epoca giocavo con il coltellino a togliere i grassetti invece di giocare a pallone in mezzo al prato. Poi, per una punizione, mio padre mi costrinse a fare il lavapiatti per comprendere il senso della fatica e del lavoro. Così, ho conosciuto il mondo della cucina, me ne sono innamorato e da allora non ho più voluto cambiare.
Tante padelle lavate, molte verdure trattate e poi il salto. Qual è stato il momento del cambiamento?Verso i 16 anni sono passato in una cucina importante come quella del Convivio che, all’epoca, aveva preso la prima stella Michelin solamente da un anno. Ho visto un altro mondo, ho conosciuto un’altra ristorazione un’altra cultura del cibo e quella è stata la mia prima esperienza in una grande cucina. Poi, quando
Heinz Beck ha fatto la sua prima stagione romana, sono stato quasi un anno con lui e da lì ho avuto tanta voglia, come ho tuttora, di conoscere, di acculturarmi. Insomma, mi reputo un autodidatta.
Michael Longo e Davide CianettiPerò da quello che si vede e proponi hai accelerato il tuo percorso. So che sei anche andato a Miami per aprire un tuo ristorante.Sì, è stata un’esperienza molto dolorosa perché il progetto di aprire un mio ristorante negli Stati Uniti è saltato a causa della pandemia. Insomma, sono stato colpito in pieno da questa crisi mondiale.
Ho accusato il colpo perché stavo per realizzare quello che era il sogno di una vita: andare negli Stati Uniti per cambiare vita. Mi sono trovato chiuso tra i due mondi e sono dovuto rientrare a Roma in pieno lockdown, cercando di capire quale poteva essere il futuro. È stato veramente un problema, ma poi ho cercato di trasformarlo un’opportunità, un modo per rinascere. Ed è da lì che nasce Numa, figlio della mia rinascita.
Numa al Circo è una nuova avventura ristorativa dall’impronta internazionaleInsomma, un progetto per vincere. Quale alchimia sta determinando il tuo successo?Questo progetto è frutto di tutta l’esperienza che ho maturato fino ad oggi. Quello che ci metto, quello che ci mettiamo, è tanto entusiasmo, tanta forza e tanta voglia di vincere questa sfida per non darla vinta a questo virus che ci sta facendo soffrire. Vogliamo reagire con la gioia, con l’allegria: è questo il nostro motto. Noi siamo una giostra gastronomica perché qui da noi ti devi sentire felice di vivere un’esperienza che puoi personalizzare. Qui il protagonista è il cliente, sono le persone sedute al tavolo alle quali vogliamo dare l’opportunità di gustare del buon cibo insieme a un buon vino.
Da come sta andando pare che tu abbia indovinato la formula vincente. Però si è sempre sul filo di un rasoio: per te che cosa vuol dire gourmet e qual è un piatto gourmet?Con il tempo e le mie esperienze ho maturato alcune convinzioni. Nel 2010, dopo vari percorsi nei ristoranti che allora si chiamavano gourmet, diventai promessa stella Michelin con il mio ristorante. Subito dopo ebbi due grandi esperienze nelle cucine di due storici ristoranti romani che sono Pier Luigi e Il Bolognese.
Oggi,
al Numa, gourmet significa il cibo buono, le cose di qualità che non hanno bisogno di una lavorazione esasperata. Significa il rispetto della materia prima e del mangiar bene: questo per me è gourmet. Anche pane, olio e pomodoro, se sono di eccellenza, diventano gourmet.
E sì, sono d’accordo. Oggi ho testato le tue verdure: sono godibilissime per i sapori autentici che esprimono. Noi siamo un popolo di contadini e la verdura fa parte delle nostre tradizioni che dobbiamo difendere e portare avanti. Ci tengo molto che da noi venga selezionata la verdura di stagione e naturale.
Il problema sorge quando le verdure, che sono la materia più delicata, passano la soglia della cucina. Il risultato che tu ottieni, però, è straordinario e questo vuol dire avere una grande conoscenza e sapere come trattarle. Chi ti ha insegnato o sei un autodidatta anche in questo? Chi ha avuto la fortuna nella vita di avere delle nonne che insegnavano l’importanza della verdura ha un passo in più. Se inizi con una puntarella, un carciofo, un broccoletto, una misticanza, il pasto diventa divertente. È più facile trovare oggi un piatto elaborato che un broccoletto fatto “a mestiere”.
Vero, è la cultura antica, quella delle massaie. Il broccoletto fatto a mestiere significa conoscerlo da sempre, da quando viene colto, e tenerlo a vista in cucina. Una volta non c’erano i sottovuoti, dovevi sapere come era e la resa che ti dava, a seconda di come lo trattavi. Condivido. Il sottovuoto che nasce per conservare alcuni tipi di alimenti, nel tempo, è diventato un abuso: prodotti comperati freschi di prima qualità, cotti, messi sottovuoto e poi rigenerati…
Oggi mi hai proposto un piatto: la catalana di gamberi (che è in carta), straordinaria: la tua catalana ha la stessa intensità di sapore come hanno le tue carni. Come riesci a creare questo equilibrio?Io sono figlio di macellaio, quindi la carne ce l’ho nel sangue, si può dire. Poi, nel ristorante da Pier luigi ho maturato questa grande esperienza per il pesce. In più, negli ultimi 15 anni la ristorazione ha chiesto sempre più pesce e quindi abbiamo dovuto imparare a trattare al meglio questa materia. Il mestiere la tecnica e gli anni, poi, contano sempre.
Bravo, hai capito come far marciare una cucina a tutto campo con supplì, pizze, arancini, e una ristorazione di trattoria elevata. La location di Numa è davanti alla sede della Fao per cui molta della tua clientela arriva da tutto il mondo. Come si accostano alla nostra cucina?L’esperienza avuta recentemente mi ha confermato che il modo di mangiare, di vestire, di vivere dell’Italia è amato in tutto il mondo.
Ma, certamente, a questi nuovi clienti di culture gastronomiche diverse, devo far capire che noi siamo questi in Italia: niente contaminazioni esotiche per catturarli, noi siamo i broccoletti, siamo la cicoria, siamo la margherita, la matriciana. Quindi, per me, la sfida più grande è cercare di offrire più soluzioni ma lasciando alto il livello della realizzazione di ogni singola pietanza.
Quello che sto cercando di fare è proprio di essere autentico, di rimanere legato alle tradizioni per tramandare la nostra storia e la nostra cultura, altrimenti, la nostra tradizione andrà a sparire perché tutte queste contaminazioni non ci lasciano niente. Invece io voglio che le persone che vengono a mangiare qui conoscano la grande tradizione della cucina italiana, quella che abbiamo ancora oggi. Io lavoro con piccole aziende, piccoli contadini, dalle patate di Leonessa ai carciofi di Ladispoli, e lì c’è ancora il contadino: io sono la parte finale di un lavoro che è infinito.
Con la fine della pandemia pensi di modificare qualcosa?C’è sempre voglia di pensare a qualcosa di nuovo. Quello che mi piacerebbe tornare a fare, anche soprattutto per quanto riguarda il pesce, sono le varie aste notturne. La sera alle 22, alle 21, questo è un posto costantemente in movimento, ma il concetto di Numa resta sempre lo stesso: mettere al centro la clientela e la materia prima.
Davide, tu cambieresti la tua cucina per entrare in un percorso stellato, come quello dell’alta cucina?Forse sto per dire una cosa poco credibile. Io sono una persona solare, conviviale che ama ridere con gli amici, con le persone. Mi sono accorto negli ultimi anni che questa solarità, questa leggerezza nei ristoranti stellati non c’era più. Diventava tutto troppo serio, troppa ansia per le osservazioni dei clienti e la gente che ci lavorava era sempre triste, silenziosa. Per me la ristorazione è altro, è un posto di festa.
Non ci credo… però la tua scelta è stata precisa e hai capito che la qualità della vita è importante. Hai ancora dei sogni nel cassetto?Sì,
mi piacerebbe tra qualche anno tornare negli Stati Uniti. Ho sempre avuto una ammirazione per gli Stati Uniti, per questo mondo così vasto e competitivo.
Insomma, vorresti metterti in competizione con il Paese più forte del mondo: però in cucina vinciamo noi per cui avresti delle buone chance. E un viaggio che vorresti fare, al di là degli Stati Uniti?Il viaggio che voglio fare, perché è una terra che mi porto nel cuore, è il Brasile. È un posto che amo e appena sarà possibile voglio ritornarci.
Risotto con asparagi, calamari e melanzaneAlla fine di questo lungo e piacevole racconto, Davide ha insistito per farmi assaggiare la sua v
ersione di un piatto fuori carta: il “risotto con asparagi, calamari e melanzane”. Piatto imperiale per potenzialità ed emozione, direi un po’ d’antan…
E, per finire,
Martina Lucchisani, l’affascinante restaurant manager che mi consiglia, al posto del solito amaro o del classico limoncello, l’Equilibrista a base di gin, infuso all’Earl grey, sciroppo di basilico, lime, zenzero: un tocco di internazionalità in un palcoscenico all’aperto dove dalla mattina alla sera approdano etnie e culture che rendono il dehor di Numa un posto esotico e stimolante anche per sorseggiare un solo caffè.
Ultimo punto non da poco: la qualità-prezzo è perfetta.
Numa al Circo
Viale Aventino 20, Roma
Tel. 06 64420669
www.numaalcirco.it