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venerdì 19 dicembre 2025  | aggiornato alle 13:45 | 116438 articoli pubblicati

Capitale... kaputt

Roma, l'affondo di Riccioli: Città svenduta, ai ristoranti servono i turisti

A pochi passi dal Pantheon incontriamo lo chef patron del noto ristorante romano che col suo consueto stile diretto affronta i temi della ripresa capitolina. Fra politica miope ed eccessiva offerta ristorativa

di Jerry Bortolan
 
21 luglio 2021 | 09:30

Roma, l'affondo di Riccioli: Città svenduta, ai ristoranti servono i turisti

A pochi passi dal Pantheon incontriamo lo chef patron del noto ristorante romano che col suo consueto stile diretto affronta i temi della ripresa capitolina. Fra politica miope ed eccessiva offerta ristorativa

di Jerry Bortolan
21 luglio 2021 | 09:30
 

Una volta usciti dal Pantheon e percorsi 100 passi, si arriva all’ingresso della Rosetta, il ristorante di Massimo Riccioli, il geniale chef e patron di uno dei templi storici della gastronomia capitolina, dove va per un lunch o per un dinner tutto il mondo politico e finanziario che passa per la Capitale.

Massimo Riccioli Roma, l'affondo di Riccioli: Città svenduta, ai ristoranti servono i turisti

Massimo Riccioli

 

Sul tavolo, tutti i problemi della ristorazione romana

Non racconterò le leggende dei trionfi in cucina  per i suoi piatti che hanno fatto la storia nella capitale - premiato anche dalla Michelin - ma racconterò l’uomo, un personaggio verace e burbero, sempre in lotta con le sue due anime: quella allegra, sorridente e compagnona dello chef, sempre in vena di giocare in cucina con la sua brigada per inventare  al momento piatti capaci di stupire il palato dei suoi clienti, con  le sue performance sbalorditive a base di pesce, elaborate a suon di musica e un sorso di vino; e quella del critico  spigoloso,  puntiglioso nel dire la sua sulle cose che per lui sono sbagliate e non vanno. Insomma, un attento brontolone che non le manda a dire.

Anche adesso che le tavole dei ristoranti sono tornate ad essere occupate, facendo il pieno come nel suo locale, la sua vulcanica natura di imprenditore continua a essere molto perplessa e critica perché restano seri problemi, come quello di non trovare cuochi per la cucina e personale di sala, ora praticamente scomparsi. In un momento di tranquillità, l’ho catturato e gli ho aperto il microfono dicendogli: dai, prenditi le tue responsabilità e sputa fuori tutto quello che per te non funziona, e di chi è la colpa.

 

 

Allora secondo te cosa si dovrebbe fare?
Io vorrei avere un confronto pubblico con chi mi governa che mi dovrebbe spiegare perché a Roma ci sono 30 milioni di visitatori (prima del Covid, naturalmente) e incassa meno della Lombardia con 8 milioni. Chi dirige la politica del turismo di molte città d’Italia e a Roma non ha la competenza per capire che questa città non può essere svenduta a 30 euro al giorno, tutto compreso tra dormire e mangiare (è questa la cifra base che pagano la gran parte dei visitatori e dei pellegrini in visita), svilisce la città e gli investimenti. Fare un ristorante rispettando le regole è molto faticoso, l’amministrazione locale dovrebbe almeno provvedere a fornire la materia prima che sono i clienti. Ma tutto questo non avviene. Non puoi pretendere che ci sia solo un turismo di élite che spende cifre non alla portata di tutti solo per mangiare una cosa diversa. Io posso prevedere tutto però non posso prevedere solo i pellegrini: 28 milioni sono pellegrini (prima del Covid) dati diffusi dalla amministrazione capitolina. Ora, tu favorisci solo un certo tipo di turismo, aumentando tutte le problematiche di Roma che sono i trasporti, i rifiuti, il decoro della città e poi i servizi che non ce la fanno a soddisfare questa enorme invasione di persone. Roma è la città più bella del mondo però non ha le strutture della grande città, cioè i trasporti che funzionano, i servizi che funzionano, i ristoranti che hanno un decoro. Io non parlo di top, parlo di ristoranti “basici” italiani dove la materia prima costa meno, il personale costa meno,  tutto costa meno rispetto al resto del mondo.

L'esterno del locale Roma, l'affondo di Riccioli: Città svenduta, ai ristoranti servono i turisti

L'esterno del locale



E allora che cosa non funziona nella ristorazione?
In questo settore si opera senza avere un minimo di competenza. Purtroppo c’è una stampa molto amica di certi personaggi che valorizza solo certe figure e non tiene conto di quel movimento medio che è encomiabile perché fa un grande lavoro di mantenimento del prestigio italiano. E’ necessario che questa città scelga l’indirizzo turistico vero. Bellissimo discorso socio-economico, ma parliamo di ristorazione. Secondo te che sei un cuoco di lungo corso, cosa c’è che non va in questo mondo dell’enogastronomia. Manca il concept: noi siamo a Roma, una città che ha una cucina meravigliosa che si chiama “cucina romana”. Però non può essere l’unica espressione altrimenti diventa un po’ conservatrice. Non posso fare solo amatriciane, involtini, carciofi alla giudia, che sono tutti piatti meravigliosi, ma dimenticare che Roma sta a soli 25 chilometri dal mare e che in cento chilometri ci sono quattro porti che pescano. Quindi c’è un pesce meraviglioso che non può essere quello di allevamento, come la spigola, invece di consumare il pesce azzurro: questa città deve capire quali sono le sue potenzialità. Chi lo capisce? E’ come per il traffico. Il traffico deve essere gestito da chi sta al comune che deve tenere conto delle capacità produttive di commercianti di una città come Roma.

 

Che cosa c’entra il traffico con il pesce?
Intanto bisogna spiegare che c’è pesce e pesce. E questa è una responsabilità che spetta anche a chi fa informazione: spiegare che ci sono le spigole da sei euro al chilo e quelle da cinquanta euro al chilo. Non è una follia è solo la differenza tra spigole pescate e spigole allevate con antibiotici e in acque  piene dei loro escrementi. Grasse che non si possono mangiare, con sapori ignobili. Ma la “gente ha mangiato la spigola”. Se noi cambiamo il nome a questo pesce e invece di spigola la chiamiamo “spig”, la gente saprà che ha mangiato una sottospecie di pesce. Io ovviamente sono una voce fuori dal coro: tra un po’ smetto, ho un’età avanzata magari lascio anche Roma.

 

Allora  il cliente italiano capisce poco di pesce e di qualità. Chi capisce è lo straniero che ha anche i soldi?
Non è così schematico. Lo straniero può tornare e promuovere la nostra città e quindi dovrebbe essere tenuto da conto. Quando una persona viene da me e spende 100 euro a testa - che sono normali per una cena in un ristorante di questo stile e valore - deve sapere che il prodotto fornito, la qualità del servizio, i vini di una cantina di livello hanno un costo. Si deve capire che c’è una qualità nel cibo e nel vino che costa tanti soldi ed è legittimo chiedere una cifra adeguata.

 

Parliamo della ripresa. Mi sembra che stia funzionando
Funziona, ma io vorrei anche che cambiasse l’approccio a questo lavoro perché nella ristorazione non si può continuare a fare turni da sei giorni settimanali, anche se ufficialmente secondo il contratto nazionale le ore lavorative sono 40, e poi se ne fanno 50. Questo è l’errore iniziale: noi lavoriamo pranzo e cena quando gli altri si fermano. Bisogna chiedere una partecipazione di più perché noi facciamo ospitalità, se no mettiamo i robot, risparmiamo, però non c’è l’intervento umano.



Questo è il futuro?
Per me no, perché io smetto prima. La ristorazione è incontro. Non è solo mangiare quattro cose: è l’incontro con qualcuno che ti trasmette il proprio cuore, il proprio rapporto col cibo, col vino, con la vita, con l’esistenza: questa per me è ristorazione. Se ho un ristorante dove si mangia bene e ho un’atmosfera da chiesa dove si sta zitti come se si dovesse pregare, beh, io non ci vado perché è il contrario della mia idea di ristorazione. Poi le persone ci vanno, il mondo è bello perché è ampio ma io non ci andrò mai: dopo 55 anni di ristorazione faccio quello che voglio.

 

Tu hai potuto conoscere personaggi importanti. Chi ti ha sorpreso di più perché capisce il cibo al di là della fama e dei soldi?
Russel Crowe è stato a Roma quando ha promosso un suo film. E’ la persona che stimo di più perché conosce e capisce il piatto, da me ha fatto tanti pranzi e tante cene, regalando ai nostri camerieri grandi soddisfazioni, per i suoi comportamenti e generosità.

 

Hai aperto un grande ristorante a Londra dove si mangiava ad alti livelli. Che cosa è successo poi che hai lasciato?
Avevo la prova di un anno durante il quale abbiamo lavorato benissimo ma purtroppo io ho dovuto lasciare perché non potevo farcela: in un anno ho fatto 130 voli andata e ritorno. Ero distrutto e, non potendo trasferirmi a Londra per motivi familiari, ho lasciato a una squadra il mio ristorante. Londra per me è stata l’esperienza più importante della mia vita perché ho capito che cos’è un certo tipo di lavoro, cos’è l’organizzazione, cosa sono i numeri: un ristorante da 150 coperti, più 20 nella sala privata, e tutti al top, e 70 dipendenti. Londra è il massimo.

 

In questo momento sento che la gente che lavorava nella ristorazione si è messa a fare altre cose e così ci sono problemi di personale sia in cucina che in sala. Cosa sta succedendo?
Io sono molto riconoscente alle nostre maestranze che ci permettono di fare ristorazione e amano questo settore. Mi rendo conto che è molto difficile farlo specialmente in una situazione come quella romana con sei giorni lavorativi e un giorno di riposo a settimana, e parlo della norma. Poi gli orari vanno dalla mattina, al pranzo, al pomeriggio e alla sera. Forse una regola potrebbe essere quella di fissare cinque giorni alla settimana di lavoro, due di riposo su più turni.

 

Ma è quello che già fanno in Francia
Magari allungando anche l’orario: in Francia le 36 ore settimanali sono molto limitanti. Qui aumenterei l’orario settimanale ripartito in meno giorni e distribuito in modo da permettere tre sere libere nella settimana.

 

Questo è un problema generale. Ma nello specifico, c’è un futuro per questo personale?
Io penso che il futuro sia quello di mettere delle regole che permettono di recuperare un lavoro che impegna moltissimo. E bisogna anche pagare di più.



Ma c’è professionalità? Mi sembra che non sempre in sala ci siano delle persone competenti
Hai toccato un argomento molto importante. Riusciamo a fare il nostro lavoro solo grazie ai nostri collaboratori. Si possono avere tutte le idee del mondo però poi dobbiamo avere degli aiuti che mantengono alto il livello della nostra ristorazione che non può essere banalizzata perché abbiamo una tradizione importante che tutto il mondo ci invidia. Noi dobbiamo assolutamente valorizzare i nostri collaboratori, sia con lo stipendio sia con la soddisfazione di partecipare a qualcosa di bello e gratificante.

 

C’è anche il pericolo della robotica che sta entrando a gamba tesa in molti settori, anche nei ristoranti
Io voglio parlare con le persone. Non posso parlare con un robot, con una macchina, con un computer quando vado a mangiare al ristorante perché voglio comunicare e incontrare persone.

 

E degli insetti, visto che la comunità europea ha dato il via libera all’uso degli insetti a tavola, cosa ne pensi?
Io non li ho mai assaggiati, può essere che siano straordinari. Non si sa, però noi abbiamo tanti prodotti straordinari, meravigliosi, fantastici. Per esempio,  l’Italia è il paese che ha più verdure al mondo: su 5mila varietà esistenti noi ne abbiamo circa 4mila. Allora, gli insetti li potremo usare in altri settori, magari in medicina.

 

E se l’imprenditore è andato giù duro e si è tolto qualche sassolino dalle scarpe, le sue opinioni sui problemi del settore sono tutt’altro che sbagliate perché provengono da chi tutti i giorni scende in pista e deve correre per far quadrare il cerchio. Lui dice che è stanco, ma non molla, non lo farà mai: la sua vita è legata ai vapori, agli odori, ai sapori della sua cucina. Basta osservarlo quando esce sorridente dalla cucina con il piatto in mano che va a portare personalmente al cliente per farsi gratificare perché sicuro della sua bontà.
    


 

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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