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«Aprirò quando tutto sarà finito». Ristoratore milanese contro i nuovi fermi

Stefano Del Savio è socio di due ristoranti a Milano: Nerino Dieci Trattoria e Alto. Aveva deciso di non riaprire i suoi locali il 13 dicembre con la Lombardia di nuovo in movimento. Spiega il perché a Italia a Tavola .

 
19 dicembre 2020 | 17:38

«Aprirò quando tutto sarà finito». Ristoratore milanese contro i nuovi fermi

Stefano Del Savio è socio di due ristoranti a Milano: Nerino Dieci Trattoria e Alto. Aveva deciso di non riaprire i suoi locali il 13 dicembre con la Lombardia di nuovo in movimento. Spiega il perché a Italia a Tavola .

19 dicembre 2020 | 17:38
 

Ristorazione, pandemia, zona rossa, arancione o gialla. E ora nuovi blocchi. Aprire o non aprire? Pubblichiamo l’analisi di Stefano Del Savio, 50 anni, imprenditore nel mondo della tecnologia e per diversi anni consigliere nel gruppo Telecomunicazioni di Assolombarda. Appassionato di ristorazione, ha investito nel tempo anni in diversi locali. Oggi è socio di due ristoranti in centro a Milano: Nerino Dieci Trattoria, sulla cresta dell’onda da oltre 10 anni, e Alto, inaugurato il 30 ottobre 2020 sfruttando uno spiraglio di possibilità tra un Dpcm e l’altro. Del Savio aveva deciso di non riaprire i suoi ristoranti il 13 dicembre con la Lombardia di nuovo zona gialla. E i fatti gli hanno dato ragione.

«Aprirò quando tutto sarà finito». L'imprenditore contro la zona gialla

Stefano Del Savio con Alessandro Rinaldi, chef di Alto

«La zona gialla era uno specchietto per le allodole, un sistema per rinfrancare gli animi ma non certo per risanare i portafogli che ormai sono gonfi di debiti contratti con le banche durante il primo lockdown, nella speranza che di li a poco tutto sarebbe finito. Lo Stato a oggi, parlo per noi, non ha erogato alcun aiuto e del Decreto ristori non abbiamo visto nulla. Andiamo avanti con le nostre sole forze, ma purtroppo molti amici ristoratori non ce l’hanno fatta e molti altri stanno per cedere. Si stima, solo a Milano, una chiusura per cessata attività del 20% dei ristoranti. È un dato allarmante!

Perché i ristoranti sono stati così presi di mira?
Lo stesso Decreto ristori quater era molto penalizzante. Come si può pensare di aiutare un’attività che solo d’affitto mensile paga 10.000 euro - pur chiusa - con 6/7 mila euro per 2 mesi? Perché i ristoranti sono stati così presi di mira? In un ristorante ho il metro di distanza, ho dispositivi di protezione per il personale e di igienizzazione per gli ospiti, ho un accesso controllato e un tracciamento (misuro la temperatura, scrivo i nomi e i numeri di telefono) ho una capienza massima di persone consentite, ho il plexiglass alla cassa e in molti casi anche tra i tavoli. Ho tutto quello che serve per garantire a personale e ospiti la loro sicurezza. In altri luoghi, per esempio mezzi pubblici, scuole, supermercati, di queste misure se ne applica sono una, due o forse tre. Difficilmente  le vedo applicare tutte.

Più le spese dei ricavi: non si riesce ad andare in pareggio
Che senso ha lasciare aperti  i ristoranti all’interno degli alberghi e degli aeroporti, ma quelli all’esterno chiusi? Che beneficio porta stare aperti solo a pranzo, quando nella normalità il fatturato del pranzo è 1/3 di quello della giornata. Figuriamoci con scuole chiuse, aziende in smart working, turismo azzerato. Sono più le spese dei ricavi, non riesci neppure ad andare in pareggio. Il virus non acquista forza durante la notte, anzi, semmai il contrario. Io di sera esco con la famiglia, con gli amici, quindi persone che conosco bene e sulle quali posso essere “quasi certo” della loro salute, sicuramente molto di più rispetto a un collega d’ufficio, a un fornitore o a un cliente con il quale vado a pranzo.

La ricerca statistica condotta dalla Public Health England
Interessanti i dati di una ricerca statistica condotta dalla Public Health England (PHE) che ha eseguito il tracciamento di oltre 100 mila persone positive. Lo studio è stato condotto in Gran Bretagna. I risultati sono emersi analizzando contatti e spostamenti di circa 128mila persone nell’arco di una settimana, dal 9 al 15 novembre 2020.

Ecco cosa è emerso in merito ai luoghi a maggior rischio di contagio:
Supermercato – 18,3%
Scuola secondaria – 12,7%
Scuola primaria – 10,1%
Ospedale – 3,6%
Casa di cura – 2,8%
College – 2,4%
Magazzini – 2,2%
Asilo nido prescolare – 1,8%
Pub o bar – 1,6%
Alberghi – 1,5%
Università – 1,4%
Studi medici – 1,1%
Palestre – 1,1%
Ristoranti  – 1,0%

Il supermercato è stato indicato come il luogo più “pericoloso” in termini di contagi. Le spiegazioni potrebbero essere diverse: per esempio potrebbe influire il fatto che è il posto in assoluto in cui quasi tutte le persone si recano sistematicamente anche con il lockdown.

E quindi perché chiudere i ristoranti? Con tutto l’indotto di mano d’opera e fornitori che questi si portano dietro? Perché penalizzare così questa categoria? Con Alto ho avuto il coraggio di aprire quando la Lombardia era in zona gialla (30 ottobre, ndr), sono stato aperto 7 giorni e poi ho chiuso. Niente asporto, niente delivery, troppi costi, sommati a quelli già sostenuti per igienizzare, sanificare, rendere accessibile il locale. Senza contare le perdite che i distanziamenti hanno portato, riducendo drasticamente il numero di coperti e di persone all’interno del locale.
Dunque? Tutto questo che senso ha? Non so darmi una risposta, so soltanto che, in zona “gialla” non aprirò, aspetto quando tutto sarà finito e finalmente potremo tornare a vivere la nostra vita in totale libertà. Allora e solo allora riaprirò».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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