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Altin Prenga e la cucina nel bosco L’agrichef che seduce l’Albania

di Mariella Morosi
 
07 maggio 2019 | 11:09

Altin Prenga e la cucina nel bosco L’agrichef che seduce l’Albania

di Mariella Morosi
07 maggio 2019 | 11:09
 

In Albania tutti conoscono il ristorante Mrizi Zanave che lo chef Altin Prenga si è costruito da solo in un bosco presso il villaggio Fishte a Blinisht, un centinaio di chilometri da Tirana.

È il simbolo della nuova cucina albanese, quella della rinascita e dell'orgoglio, basata sulla riscoperta della tradizione contadina. Ci lavorano trenta persone, 50 pastori allevano per lui capre e agnelli e nei cortili razzolano oche e galline. Trecento famiglie di contadini riforniscono il ristorante di verdure, raccolgono melograni selvatici e frutti di bosco e un mulino macina i cereali locali.

(Altin Prenga e la cucina nel bosco L’agrochef che seduce l’Albania)

Altri piccoli viticoltori curano le vigne di Kallmet, l’antico vitigno locale che riesce a dare il massimo solo qui.  Tutt'intorno al ristorante ci sono terreni coltivati e animali al pascolo, proprio dove erano i campi di lavoro forzato del regime di Enver Hoxa (nel 1991 erano 31  secondo Amnesty International). Affascinato da Carlin Petrini, che considera il suo maestro,  Altin Prenga ha fondato nel Paese delle Aquile il primo locale Slow Food.

(Altin Prenga e la cucina nel bosco L’agrochef che seduce l’Albania)
Altin Prenga

Deve tutto all'Italia, ci dice. C'era anche lui, nel 1998,  su quei barconi  approdati  sulle nostre coste in un disperato viaggio della speranza. Aveva appena 15 anni e  voleva raggiungere il padre che lavorava in un ristorante del Trentino. Gli andò bene: cominciò come lavapiatti, poi lavorò nella lavorazione delle carni, in un caseificio, e per un periodo gestì anche un piccolo locale. Ma mai avrebbe immaginato di essere invitato nel 2015 all'Expo di Milano come ospite d'onore. Poi, nove anni fa, con l'Italia del cuore, decise con il fratello Anton di tornare alle sue radici e cominciò la sua storia di emigrato di ritorno, con entusiasmo e tante idee.

Chiamò il suo locale Mrizi Zanave (“L’ombra delle fate”), dal titolo di un’opera di Gjergj Fishta, poeta albanese. Traduzione: "lo  spiazzo ombreggiato vicino al ruscello in cui riposa il pastore". Ma non fu facile aprire l'attività in un'Albania improvvisamente democratica e affamata di mondo, con una complessa burocrazia da affrontare per due fratelli considerati ormai stranieri.  

(Altin Prenga e la cucina nel bosco L’agrochef che seduce l’Albania)

«Il peggio - ci racconta Altin Prenga - è stato convincere gli stessi albanesi ad apprezzare la biodiversità e la qualità delle produzioni artigianali. Tutti volevano cibi stranieri, trascuravano la frutta locale per le banane, mai viste prima. Durante i 40 anni della dittatura il latte consegnato dai contadini diventava un solo formaggio industriale, quadrato, che si tagliava a blocchi, tutte le carni erano considerate uguali e la stessa fine facevano tutti i prodotti dell'agroalimentare.  Gusti unici, pensati solo per nutrire, con una qualità uniformata al basso. Inoltre, quando abbiamo aperto,  la vita grama dei contadini era troppo recente ed era considerata una vergogna sporcarsi le mani con la terra». Ma Altin Prenga ce l'ha fatta a diventare un punto di riferimento della nuova cucina albanese, imponendosi sulle nuove emergenti tendenze trendy.

(Altin Prenga e la cucina nel bosco L’agrochef che seduce l’Albania)

Lo hanno scoperto  per primi i politici e i vip ma ora i 250 posti del "Mrizi Zanave" sono sempre occupati da chi  vuole festeggiare compleanni e ricorrenze con i sapori di una volta. Non si possono rimuovere dalla memoria i tempi in cui con un po' di carne o con un pane speciale si festeggiavano di nascosto le feste religiose in un Paese ateo, quando per benedire una casa il prete rischiava la vita, o allevare una gallina senza portarla all'ammasso significava carcere o lavori forzati.  

Mangiare da lui è fare un viaggio nella cultura albanese e nella storia di un popolo che ha sofferto un crudele isolamento che ne ha sospeso la crescita.  Non c'è una carta: è lo chef che manda in tavola un menu degustazione con quello che arriva dai campi e dai laboratori familiari. Si comincia con una degustazione di salumi e formaggi serviti su taglieri di legno con focacce e, da bere, un calice di succo di melograno selvatico fermentato.

La mishavina, formaggio di montagna stagionato in botti, viene servita con il gilko, una mostarda di fichi selvatici e noci e il flee, una frittella cotta sotto una cupola di metallo coperta da braci. Squisita la Jufka, pasta all’uovo fatta a mano e cotta nel forno a legna con  pollo. Sontuosi i piatti di carne, dal byrek, capretto giovane, al maiale affumicato con cavolo. Ma a trionfare è sempre l'agnello, arrostito per lunghe ore allo spiedo. Il finale è a base di fantasiosi dolci a base di frutta e di bacche, con cui si fanno anche i distillati.

Un lungo, sostanzioso pasto qui non arriva a 20 euro. Il costo della vita è basso, rispetto a noi, ma lo chef precisa di impegnarsi nel mantenere i prezzi accessibili a tutti grazie alla filiera cortissima. Sta anche riproponendo antiche ricette di cui si era persa a memoria, e grazie all'esperienza italiana lavora alla costituzione di consorzi di tutela in un Paese dove erano sconosciuti i controlli sulla qualità degli alimenti. «Dobbiamo pensare globale e mangiare locale - dice - promuovendo i valori delle piccole culture. Perché in fondo questa è l'Europa: un'unione meravigliosa di culture».

La sua attività ha creato anche occupazione nell'artigianato. Prosegue il lavoro di un prete che ha creato una scuola di ceramica e tante altre attività per i giovani, don Antonio Sciarra. «Prima dei crocifissi - sottolinea - ha portato qui carriole, badili e semi da piantare». Altin Prenga ha ricevuto vari riconoscimenti internazionali  per le sue idee innovative di cucina sostenibile. "Vogue", uno dei più autorevoli magazine, lo ha definito uno dei protagonisti più interessanti della nuova “food revolution” nella cucina mondiale. Sull'enogastronomia puntano anche le istituzioni di Tirana per incrementare l'afflusso turistico in Albania e già si vedono i risultati di una nuova politica anche di alleggerimento fiscale per gli operatori dell'accoglienza e della ristorazione.

Cresce a due cifre ogni anno il numero di turisti che scelgono la destinazione ma sono i nostri connazionali a ricevere un'accoglienza speciale anche grazie al fatto che tutti parlano la nostra lingua. L'hanno imparata - come ci è stato detto - ascoltando di nascosto le canzoni di Al Bano e di altri nostri cantanti, intercettate attraverso collegamenti radio di fortuna, severamente proibiti dalla dittatura. Ma per noi è davvero facile andare in Albania, appena al di là dell'Adriatico. Ed è meglio per nave che in aereo, perché l'unico aeroporto non è ben collegato. Numerose sono le partenze giornaliere di Adria Ferries da Ancona, Bari e Trieste.

Per informazioni: www.mrizizanave.al

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