Quotidiano di enogastronomia, turismo, ristorazione e accoglienza
venerdì 19 aprile 2024  | aggiornato alle 10:58 | 104689 articoli pubblicati

Cuoco, fra professione e impresa. Il ristorante del futuro va ripensato

Un confronto aperto: lo scambio di lettere tra Luciano Sbraga, vicedirettore e responsabile dell’ufficio Studi di Fipe e Matteo Scibilia, cuoco del ristorante Piazza Repubblica a Milano sul ruolo del cuoco in Italia

 
31 maggio 2023 | 16:36

Cuoco, fra professione e impresa. Il ristorante del futuro va ripensato

Un confronto aperto: lo scambio di lettere tra Luciano Sbraga, vicedirettore e responsabile dell’ufficio Studi di Fipe e Matteo Scibilia, cuoco del ristorante Piazza Repubblica a Milano sul ruolo del cuoco in Italia

31 maggio 2023 | 16:36
 

Dopo l’intervento di Matteo Scibilia sul tema del cuoco e delle sfide professionali che lo riguardano, con un provocazione riguardo a un lavoro quasi più da artigiano, il vicedirettore e responsabile dell’ufficio Studi di Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) Luciano Sbraga, ricorda come il tema in realtà non esista perché al di là della figura del cuoco (che è ancora in attesa di una definizione precisa come chiede ad esempio da tempo la Federazione italiana cuochi), il “ristorante” è un’impresa che senza alcun dubbio offre un “servizio” e non si occupa solo di una trasformazione di beni (che in questo caso potrebbe parzialmente riguarda il cibo). Il confronto, oltre che utile per fare chiarezza, apre un dibattito che certamente caratterizzerà tutto il comparto nei prossimi. Riportiamo lo scambio di lettere tra Luciano Sbraga e Matteo Scibilia, cuoco del ristorante Piazza Repubblica a Milano e responsabile scientifico di Italia a Tavola.

Cuoco, fra professione e impresa. Il ristorante del futuro va ripensato

Il cuoco: un lavoro in evoluzione? Il dibattito si accende

Sbraga (Fipe): «La ristorazione è prevalentemente servizio»

Caro Matteo,
intanto una precisazione. Il contratto non è quello del commercio, ma della ristorazione (il nome è più lungo ma va bene). Dal punto di vista dei contenuti segnalo che la classificazione delle attività economiche riguarda le imprese, non le professionalità che ne sono all’interno. L’idea che il ristorante sia un’impresa artigiana perché si trasformano gli alimenti è una vecchia suggestione cavalcata dalle associazioni degli artigiani e di tanto in tanto anche da qualche ristoratore. Ma la ristorazione è prevalentemente servizio, non trasformazione e non vendita. Lo dimostra anche l’aliquota iva ridotta che la caratterizza. Se poi guardiamo alle figure professionali sono tante le attività in cui le figure professionali “trasformano” ma non per questo si ritiene che siano artigiani. Pensiamo agli addetti al settore dell’Ict solo per fare un esempio.

La classificazione delle attività riguarda ciò che le imprese fanno non le modalità di lavoro del personale. In tale ambito il ristorante è un’attività a prevalente contenuto di servizio anche se lo scambio con il cliente prevede che vi sia un prodotto fisico trasformato.


Buona giornata


Luciano Sbraga
Vicedirettore e responsabile ufficio Studi di Fipe

Scibilia: «I ristoranti e devono cambiare»

Caro Luciano,
ti ringrazio della tua risposta al mio articolo che tentava un’analisi della figura del “Cuoco”. Tu, giustamente, hai difeso la figura della ristorazione non come attività artigianale, ma non capisco quando evidenzi che la stessa è una attività di servizio, e non di trasformazione, e di vendita. Credo che questa sia la questione da affrontare e che riguarda aspetti su cui tu che sei molto più preparato di me (contratti, commercio, turismo, in ogni caso pubblici esercizi). A mio modesto parere potremmo partire da qui per affrontare e progettare qualcosa di nuovo. Non c’è ombra di dubbio che il settore sia in grave crisi. Per carità possiamo dire che qualche progresso c’è. In centro a Milano, grazie ai turisti, ma grazie anche a una proposta di cucina, come dicono gli esperti di comfort food, ho un lavoro che tiene, ma non ho personale e rischio come tanti di dover chiudere a pranzo.
La società post Covid, si dice, è cambiata. I giovani non vogliono più fare sacrifici? Io aggiungo che anche l’impresa è cambiata, intanto a furia di raccontarci che non c’è personale, i costi stanno aumentando, compriamo sempre più semilavorati che hanno costi maggiori, pesce sfilettato, carni sezionate, salse già pronte e, in più, non si tiene conto che questa carenza di personale comporta meno entrate fiscali e soprattutto meno contributi Inps…
Qualcosa di nuovo? Vogliamo evitare che le varie suggestioni prendano piede? Artigianato, sfiducia, isolamento e non rinnovi delle iscrizioni, queste figlie anche delle chiusure, sono aspetti reali. C’è poi un continuo attacco alla nostra categoria, accusata di evasione fiscale, di non rispettare le norme contrattuali, di trattar male i collaboratori e tanto altro ancora. In molti casi purtroppo sono realtà. Occorre ridare valore alla figura dell’impresa, che crea ricchezza e benessere, e all’imprenditore che sicuramente merita più attenzione.
Forse è arrivato il momento di scelte coraggiose: in altri Paesi la ristorazione chiude alle 21; si devono modulare le 8 ore giornaliere in maniera diversa, con due giorni di riposo. Solo così si può trasmettere l’immagine e il desiderio di un settore capace di interpretare e soddisfare i nuovi bisogni. Agire con forza sulle scuole alberghiere incapaci di formare le nuove generazioni, forzare un cambiamento dei docenti, spesso allievi diplomati delle stesse ma che non hanno mai lavorato in un ristorante, scuola alberghiera in grado formare nuovi cuochi, scienziati dell’alimentazione e addetti di sala venditori psicologicamente capaci di soddisfare un cliente sempre più preparato, ed un esperto di marketing. Ribaltare l’immagine di un comparto che, certo, come dici tu è di servizio, ma che è inserito in un contesto storico e culturale molto affascinante. Il cibo è un viaggio e un racconto e oggi con ingredienti che arrivano da ogni dove e con una mescolanza di culture. E noi dobbiamo raccontare questo viaggio. La nostra organizzazione, Fipe, potrebbe impegnarsi in un lavoro di immagine del “Cuoco “, elevarlo a esperto di cultura del cibo, professionista attento alla salute, conoscitore delle materie prime e del territorio, traghettarlo dallo stereotipo televisivo verso un nuovo mondo professionale. Bisogna detassare il nostro lavoro, il nostro settore paga un sistema contributivo tra i più alti d’Europa. 
Ma facciamo fatica a raccontarlo, quasi ci vergognassimo. Insomma “Cuoco Artigiano” è una solo una sfida, una provocazione, ma non possiamo far finta che qualche problema non ci sia.


Matteo Scibilia
cuoco del ristorante Piazza Repubblica a Milano e responsabile scientifico di Italia a Tavola

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
Voglio ricevere le newsletter settimanali

10/06/2023 18:25:43
1) bravo Matteo
straordinario Matteo, come sempre puntuale, preciso e sopra tutto concreto e realista nei tuoi commenti.
valerio angelino catella



Siad
ROS
Cattel

Siad
ROS
Cattel

Prugne della California
Siggi