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Pizza e critica gastronomica tra stimoli e delusioni

All’inizio fu la scelta di escludere le pizzerie di Napoli dai vertici della neonata categoria di riferimento nella guida Ristoranti d’Italia 2013 del Gambero Rosso. Ne scaturirono polemiche a non finire. Una levata di scudi. Proprio a Napoli la pizza si era conquistata il marchio Stg ed era stata riconosciuta dalla Comunità europea.

di Gabriele Ancona
vicedirettore
24 novembre 2017 | 17:56
Pizza e critica gastronomica 
tra stimoli e delusioni
Pizza e critica gastronomica 
tra stimoli e delusioni

Pizza e critica gastronomica tra stimoli e delusioni

All’inizio fu la scelta di escludere le pizzerie di Napoli dai vertici della neonata categoria di riferimento nella guida Ristoranti d’Italia 2013 del Gambero Rosso. Ne scaturirono polemiche a non finire. Una levata di scudi. Proprio a Napoli la pizza si era conquistata il marchio Stg ed era stata riconosciuta dalla Comunità europea.

di Gabriele Ancona
vicedirettore
24 novembre 2017 | 17:56
 

All’inizio fu la scelta di escludere le pizzerie di Napoli dai vertici della neonata categoria di riferimento nella guida Ristoranti d’Italia 2013 del Gambero Rosso. Ne scaturirono polemiche a non finire. Una levata di scudi. Proprio a Napoli la pizza si era conquistata il marchio Stg ed era stata riconosciuta dalla Comunità europea.

Va annotato, che dopo il gran polverone è nata la guida alle Pizzerie d’Italia che con l’edizione 2014 ha segnalato oltre 400 pizzerie suddivise in tre grandi famiglie: “La grande tradizione napoletana”, “La pizza all’italiana”, “La pizza gourmet”.

(Pizza e critica gastronomica tra stimoli e delusioni)

Poi ci ha messo lo zampino la puntata di Report sulla pizza andata in onda su RaiTre domenica 5 ottobre 2014. Un’inchiesta che è sembrata un po’ sbilanciata: sono stati citati i valori del settore solo per una manciata di minuti e in chiusura di trasmissione. Pizza nel mirino? Ma perché? Nel frattempo, per non saper né leggere né scrivere, l'Arte dei pizzaiuoli napoletani si è rimboccata le maniche ed è stata candidata per l’iscrizione nella Lista del patrimonio culturale immateriale dell'Unesco. Entro l’8 dicembre in Corea del Sud è prevista la riunione del Comitato intergovernativo che vedrà i 24 rappresentanti dei singoli Paesi prendere una decisione in merito. Incrociamo le dita, perché dopo la beffa costituita dall’Ema - l’Agenza del farmaco che per sorteggio è finita ad Amsterdam invece che nella più titolata Milano - ci si può aspettare di tutto.

Una candidatura, quella per l’Unesco, che in ogni caso avrebbe rappresentato una “buona scusa” per assegnare una stella Michelin a una pizzeria. Invece no. Peccato. Per creare tendenze, a volte ci vuole coraggio, mentre l’autorevolezza si guadagna anche attraverso un cambio di rotta inaspettato. Ma la “Rossa 2018” ha deciso di vestire il suo gessato d’ordinanza, nell’accezione di vestito di gesso.

«Non che avesse di fronte a sé altre guide concorrenti più coraggiose (nessuna assegna cappelli o forchette a una pizzeria) - come ha sottolineato Alberto Lupini in un recente editoriale - ma certo questa novità avrebbe segnato una differenza di non poco conto. Chissà che l’anno prossimo non si trovi superata in questo da qualche team di guidaioli più attenti a cosa cambia nel nostro mondo…».

Allarmati da troppe ambiguità nei confronti di un settore che è un portentoso traino economico e che negli anni di crisi ha prodotto risultati in controtendenza, tanto per vedere che aria tira abbiamo chiesto ad alcuni protagonisti dell’universo pizza che rapporto hanno con la critica gastronomica.

Siamo partiti proprio da Napoli, dalla pizzeria Antonio e Gino Sorbillo. «Napoli è la patria della pizza - commenta il giovane Vincenzo Iannucci - e le pizzerie vanno alla grande. Mi sembra strano che nessuna sia stata premiata. Più che il locale, mi piacerebbe venisse riconosciuto il valore dell’artigiano che cura impasto e farcitura. Le guide hanno comunque un merito fondamentale, quello di stimolare i pizzaioli che hanno appena iniziato l’attività. Possono comprendere quali sono i parametri da seguire per avere successo e orientarsi verso precisi standard di qualità».

«Ci sono tante pizzerie che lavorano bene, ma le esigenze di una guida vanno oltre», ribatte Corrado Scaglione, Enosteria Lipen di Canonica Lambro (Mb), Campione del Mondo Pizza Stg nel 2011. «La critica non si ferma al piatto, valuta anche la cura del servizio, l’ambiente, la gestione della cantina. La posizione della Michelin 2018 riguardo le pizzerie ritengo quindi sia corretta. I tempi non sono ancora maturi. Per il resto trovo le guide molto stimolanti, sono un elenco di affidabilità. Possono anche incrementare il senso di responsabilità degli operatori. L‘utente si informa e decide di frequentare un determinato locale dove si aspetta quel qualcosa in più. E noi dobbiamo essere in grado di fornirlo. È un potente stimolo che può fare da traino al miglioramento della professionalità».

Di parere opposto Graziano Monogrammi, La Divina Pizza di Firenze. «La guida Michelin quest’anno ha perso un’occasione. Peccato, perché ci sono alcune pizzerie in Italia che la stella la meritano davvero». Monogrammi volta pagina e sottolinea: «Noi il valore aggiunto lo abbiamo già: è nell’impasto, un elemento che fa la differenza. E chi lavora bene può contare sul passaparola, che funziona sempre. Certo, la segnalazione su una guida è di grande aiuto, dà visibilità. Un’opportunità che rinforza un fondamentale principio di base: non deludere le aspettative di chi ci è venuto a trovare». Guida o non guida.

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