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Università dell’accoglienza tra studio ed esperienza sul campo

di Alessandro D’Andrea
presidente Associazione direttori d’albergo
 
28 marzo 2018 | 09:02

Università dell’accoglienza tra studio ed esperienza sul campo

di Alessandro D’Andrea
presidente Associazione direttori d’albergo
28 marzo 2018 | 09:02
 

Ci vorrebbe una università delle professioni alberghiere con lezioni che siano un connubio tra teoria specialistica trasmessa da esperti e apprendimento direttamente sul posto di lavoro dove un domani si dovrà operare.

Pochi giorni fa sono stati enunciati i risultati della classifica sulla qualità delle università mondiali e l’Italia riafferma, migliorandola, la sua posizione di leadership. I commenti più comuni, anche dall’estero, puntano il dito sul fatto che proprio in un Paese come l’Italia, a vocazione indiscutibilmente turistica, non esista una università del turismo. Ma come è possibile? In realtà se si parla di turismo a 360 gradi ci sono molti corsi di laurea, sia normali che brevi, che formano su temi attinenti il turismo: dal marketing alle lingue straniere, dall’amministrazione al controllo di gestione, dalle tecnologie alla gestione delle risorse umane e molti altri ancora. Ma manca qualcosa (ed è proprio per questo che nei mesi scorsi Italia a Tavola ha promosso il progetto #laureaccoglienza).

(Università dell’accoglienza tra studio ed esperienza sul campo)

Il turismo non può essere solo teoria applicata perché è soprattutto servizio e passione; più che una professione è un’arte, una missione. E non esiste facoltà alcuna dove si può imparare ad esercitare un mestiere basato sui rapporti interpersonali e interculturali, fondato su rispetto, gentilezza ed educazione anche verso chi non si conosce ma con cui bisogna convivere, in un albergo, in una sala da pranzo, in un museo, su una nave; e non abbiamo ancora approcciato le professionalità alberghiere...

Un tempo l’Italia, forse solo dopo la Svizzera, era il Paese più famoso per importanza delle sue scuole alberghiere, Stresa fra tutte. A quei tempi si imparavano le professioni alberghiere che erano suddivise fondamentalmente in due settori, quello “ricettivo-amministrativo” e quello “ristorativo”, a loro volta suddivisi nei diversi reparti alberghieri: segreteria, amministrazione, cucina, sala, bar. Già da allora si iniziava la carriera dal basso, dopo gli studi, e si cresceva professionalmente man mano che si acquisivano molteplici e più approfondite competenze.

Per questo la carriera era molto più lunga ma anche certamente più efficace perché con il passare del tempo si riuscivano ad acquisire sul campo quelle competenze che poi sarebbero servite per affrontare sfide sempre più dure e importanti, ma con una solida base di esperienza. E già da allora non era pensabile andare a scuola per “imparare” ad essere un responsabile, infatti non esisteva una scuola per capi reparto (come peraltro neanche oggi) o tantomeno università.

Oggi, invece, sono nati molti corsi per diventare manager di questo e di quel reparto e scuole che vorrebbero formare anche i direttori. Ma perché non c’è l’università? Perché se analizziamo nel dettaglio la particolarità di questa professione (o per esempio anche quella della governante) non ci sono metodi scientifici di insegnamento di un qualcosa che non può essere basato solo sulla teoria e che non si possa apprendere solo da dietro un banco o da un libro.

La mia posizione, già nota a chi mi conosce, rimane determinata sul fatto che l’unica scuola sia l’esperienza sul campo e che certe professioni - in particolare quelle di capo reparto o di responsabile di divisione, fino a direttore di una struttura alberghiera - è impossibile insegnarle e di conseguenza impararle dentro un edificio che non sia un albergo. Ma certamente pensare di creare una università delle professioni alberghiere con lezioni che siano un connubio tra teoria specialistica trasmessa da colleghi/e più esperti e apprendimento direttamente sul posto di lavoro dove un domani si dovrà operare, questo sì. Pertanto bisogna continuare ad insistere affinché i corsi di studio vengano approvati però con l’ausilio di esperti di settore.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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