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L'appello delle mense: «Oltre i ristori, riconoscere i costi»

La situazione di mense scolastiche, ospedaliere e aziendali richiede un nuovo approccio: «Un meccanismo che consideri i costi insopprimibili patiti», dice Massimiliano Fabbro, presidente Anir-Confindustria. L'unico strumento che sembra aver funzionato è quello delle rinegoziazioni

di Nicola Grolla
 
11 marzo 2021 | 08:30

L'appello delle mense: «Oltre i ristori, riconoscere i costi»

La situazione di mense scolastiche, ospedaliere e aziendali richiede un nuovo approccio: «Un meccanismo che consideri i costi insopprimibili patiti», dice Massimiliano Fabbro, presidente Anir-Confindustria. L'unico strumento che sembra aver funzionato è quello delle rinegoziazioni

di Nicola Grolla
11 marzo 2021 | 08:30
 

Mai una gioia per il settore della ristorazione collettiva che, dopo gli allentamenti della prima parte dell'anno, è costretta a subire gli effetti del nuovo Dpcm Pasquale. Il decreto, infatti, fissa dei paletti molto rigidi per la chiusura delle scuole (eventualità che scatta in ogni territorio che superi i 250 contagi per 100mila abitanti nell'arco di una settimana) mettendo così in difficoltà le imprese che si occupano delle mense. Peraltro già gravate dagli effetti del massicio ricorso allo smart working da parte delle medie e grandi aziende. Una situazione insostenibile tanto che «il rischio di perdere per fallimento attività anche con grande storicità è una certezza così come lo è la possibile perdita di 60mila occupati, soprattutto donne, se non si ricorre a dei correttivi», commenta Massimiliano Fabbro, presidente di Anir (Associazione nazionale imprese della ristorazione)-Confindustria.

Ristorazione collettiva - «Oltre i ristori, riconoscere i costi» Le posizioni di Anir sulla colletiva

La ristorazione collettiva è alle prese con un cambio di paradigma

Scuola, un settore resiliente
La scuola non rappresenta l'intero mondo della collettiva, ma finora era quella che - nonostante tutto - aveva dato i maggiori segnali di resilienza: «Nel 2020 il canale ha funzionato a singhiozzo, con difficoltà enormi per gli operatori che, a un certo punto, hanno dovuto anche superare lo spettro delle lunch box. Una modalità di servizio che, fortunatamente, il ministero ha subito escluso confermando la centralità del momento ristorativo all'interno della giornata scolastica come strumento di uguaglianza e pari opportunità fra gli studenti», afferma Fabbro.

Ospedali e aziende, uno stravolgimento
Diverso il discorso per la ristorazione sanitaria e quella aziendale. Nel primo caso, «contrariamente all'apparenza, gli ospedali hanno rappresentato un canale poco redditizzio per le aziende della collettiva», rivela Fabbro. D'altronde, le strutture ospedaliere non sono solo la destinazione di malati Covid. Attorno a ogni ospedale circola una comunità composta da medici, infermieri, pazienti, studenti, accompagnatori. Un microcosmo di fatto bloccato dalle misure di sicurezza messe in atto per contrastare il contagio. Per quanto riguarda le mense aziendali, invece, sono stati dolori: «La diminuzione dei volumi di attività si protrarrà anche dopo la fine dell'emergenza per effetto dello smart working con una variabile di forza lavoro che non rientrerà in ufficio che va dal 20 al 70%».

Mancano ristori adeguati
Situazioni che pesano sul conto economico delle aziende della ristorazione collettiva che hanno dovuto sostenere ingenti costi per la messa in sicurezza di dipendenti e clienti, nonché modifiche al servizio (come l'introduzione del pasto monoporzione oppure la consegna in classe, al banco, piuttosto che al refettorio). Il tutto senza ricevere dei ristori adeguati. Eventualità peraltro irraggiungibile per un settore caratterizzato da alti fatturati e una bassa marginalità. «Bisogna ripensare completamente il supporto al settore, magari estendendo un meccanismo di sgravi contributivi simili a quello attivato per le imprese del Mezzogiorno. Inoltre, serve mettere in campo uno strumento che riconosca anche l'ammontare dei danni patiti lo scorso anno. C’è un problema di bilanci da sostenere attraverso il riconoscimento di quei costi fissi incomprimibili che non hanno trovato corrispondenza. Insomma, servirebbe un'indicazione di tipo lesgislativo per dare riconoscimento certo alle perdite registrate», afferma Fabbro.

Oltre lo strumento delle rinegoziazioni
L'unico strumento che sembra aver funzionato è quello delle rinegoziazioni. L'Anac, per esempio, a novembre 2020 ha riconosciuto la forte incidenza della pandemia sui contratti d'appalto in essere dando il via libera al ricorso alle "circostanze impreviste e imprevedibili" come motivazione per rinegoziare il contratto oppure terminarlo senza penali. Detto altrimenti: «Ora il committente deve scegliere se contrattare oppure terminare il contratto e indire una nuova gara d'appalto con il rischio di non avere partecipanti o di ricevere proposte con termini più onerosi», spiega Fabbro. Un meccanismo che, in ambito pubblico, ha contribuito alla conciliazione della maggior parte delle situazioni.

Situazione diversa, invece, per la ristorazione aziendale. Le rinegoziazioni ci sono state, ma il problema è più strutturale e riguarda la futura organizzazione delle aziende all'indomani della fine della pandemia. «La collettiva vive di grandi numeri e non può seguire le economie particolari del retail o del delivery. Per questo sono convinto che chi rimarrà in smart working sarà sostanzialmente fuori escluso dalla nostra rete di servizi. Sostanzialmente, siamo di fronte a uno scenario ancor più dirompente di quello verificatosi con l'introduzione dei ticket restaurant. Se, però, allora una parte dei professionisti che utilizzavano i ticket poi finivano con il ricadere nel servizio mensa, ora chi lavora da remoto finirà per sparire dai nostri radar a favore del retail e della Gdo», prevede Fabbro. E partendo da queste considerazioni, la strada sembra già tracciata: «Il settore deve riaddattarsi su numeri diversi e rinegoziare i contratti in una logica di servizio. Mi spiego meglio: il fatto che una collettevità abbia un servizio in house deve essere remunerato per sé, al di là della quantità di pasti serviti. Insomma, qualità e professionalità prima della quantità», propone Fabbro.

Innovare sì, ma le priorità sono altre
Prospettiva difficile in un momento di forte ingessamento del mercato. Ovvio, l'innovazione non manca, ma cui prodest? «Il nostro settore, culturalmente, è sempre stato pronto a promuovere l'innovazione e il rispetto delle regole. Tutto quello che la normativa ci chiede noi lo rispettiamo per elevare lo standard di servizio. Ora, però, le necessità sono altre. Prendiamo il caso dei Cam (Criteri ambientali minimi, ndr). Sono un riferimento ma farvi riferimento in questo il momento è come obbligare i negozianti a installare il software per il cashback quando i negozi erano chiusi», conclude Fabbro.

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