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L'appello di Stoppani al Governo: Siamo a terra, chiediamo giustizia

Il presidente della Fipe ha parlato durante la protesta nazionale dalla piazza Duomo di Milano. Un discorso pacato, ma determinato nel quale ha parlato della difficoltà economica, ma anche emotiva dei ristoratori.

 
28 ottobre 2020 | 17:11

L'appello di Stoppani al Governo: Siamo a terra, chiediamo giustizia

Il presidente della Fipe ha parlato durante la protesta nazionale dalla piazza Duomo di Milano. Un discorso pacato, ma determinato nel quale ha parlato della difficoltà economica, ma anche emotiva dei ristoratori.

28 ottobre 2020 | 17:11
 

Il presidente della Fipe, Lino Stoppani ha parlato dal cuore della Piazza Duomo, a Milano circondato da centinaia di imprenditori attivit nel mondo della ristorazione che hanno preso parte alla protesta organizzata dalla stessa Fipe questa mattina in 24 piazze italiane. Stoppani si è rivolto con determinazione e pacatezza al Governo per ribadire una volta in più lo stato di crisi in cui versano i pubblici esercizi, ma ancor di più per spiegare con precisione lo stato emotivo di sconforto e paura che avvolge i lavoratori da marzo. Di seguito, il testo integrale del suo discorso:

Lino Stoppani -

Lino Stoppani


Innanzitutto un ringraziamento ai titolari di pubblici esercizi presenti, alle Forze dell’Ordine che vigilano e ai cittadini che hanno la sensibilità e la benevolenza di ascoltare e raccogliere il disagio, la preoccupazione e lo sconforto che caratterizza oggi gli operatori del Pubblico Esercizio di Milano e dei colleghi di tutta l’Italia.

Lo diciamo con serietà, con rispetto verso le istituzioni, con responsabilità, addirittura prendendo atto anche dello sforzo che il governo sta facendo per aiutare il settore, con i provvedimenti di ieri su nuovi indennizzi a fondo perduto, su nuovi crediti d’imposta sulle locazioni commerciali e gli affitti d’azienda, sul prolungamento di altre 6 settimane della Cig, della cancellazione della 2^ rata Imu e di altri provvedimenti di sostegno ad un settore letteralmente al collasso. Provvedimenti certamente importanti, ma non adeguati e proporzionati rispetto ai danni, alle difficoltà e ai valori del settore che con questa Manifestazione vuole esprimere, trasferendo il disagio, la preoccupazione, l’amarezza, spesso anche la disperazione e i rischi che i suoi operatori stanno vivendo.

Lo facciamo scendendo in piazza, superando anche l’indole dei seri imprenditori come ci riteniamo, più portati al fare che al protestare. Lo diciamo consapevoli della gravità del momento dal punto di vista sanitario, che richiede certamente un supplemento di responsabilità da parte di tutti, anche da parte dei Pubblici Esercizi italiani, che oggi sono a terra e sono qui, come in altre 24 piazze italiane: numerosi, coraggiosi, ordinati, pacifici, ma determinati, perché vedono il futuro - loro, delle loro aziende, delle loro famiglie, del loro progetto di vita, che spesso coincide con il loro ristorante, bar, pub, pizzeria, azienda di catering, discoteca - in vero pericolo.

“Siamo a terra” economicamente. Il settore dei pubblici esercizi perderà quest’anno almeno 27 miliardi di euro su 96 di fatturato complessivo. 300mila posti di lavoro nel nostro settore rischiano di scomparire definitivamente. L’ulteriore imposizione della chiusura alle 18 ci costerà da sola 2,1 miliardi di euro al mese, impedendo a 600mila persone di lavorare.Tutto questo oggi costa caro a noi, ma il conto lo pagherà anche tutto il Paese, perché i nostri esercizi sono la vera rete distributiva della socialità in Italia, perché bar, ristoranti, pizzerie, catering, discoteche e sale da ballo popolano paesi, città, metropoli, vie e piazze, dando a questi luoghi, vita, luce, sicurezza, decoro, animazione, vivibilità.

Prima di questa emergenza sanitaria ed economica, ogni giorno servivamo oltre 11 milioni di persone, siamo il luogo del primo caffè e sorriso al mattino, del pranzo d’affari, della cena fra amici, spesso rappresentiamo i luoghi dove la memoria ha fissato i ricordi più intimi e belli della nostra e vostra vita. Ma siamo imprese anche noi, con i nostri bilanci e i conti da far tornare. Siamo più di 300mila imprese e diamo lavoro a più di 1,2milioni di persone in tutta Italia, e le nostre aziende sono il terminale strategico per 2 filiere importanti per il nostro Paese: quella agroalimentare e il turismo.

Eppure, “Siamo a terra”. Comprendiamo e siamo responsabili di fronte ad una tragica emergenza sanitaria; subiamo però da tempo la sconfortante considerazione di attività ritenute “non essenziali” ogni volta in cui la situazione si complica; attività, cioè, che si possono chiudere o limitare nella loro attività, nonostante i rigorosi ed onerosi Protocolli Sanitari che abbiamo accettato, vidimati dal Cts (Comitato Tecnico Scientifico) e dall’Inail.

Eppure, tutte le attività economiche sono essenziali quando producono ricchezza, occupazione, servizi. E tutte le attività sono sicure se garantiscono le giuste regole e attuano i protocolli sanitari assegnati. E noi li abbiamo applicati, accollandoci spesso costi importanti e responsabilità spinose. Per questo, “Siamo a terra” anche moralmente. Perché -dopo tutto questo, a quasi otto mesi dal primo lockdown- non veniamo considerati alleati nel gestire l’emergenza sanitaria e non vediamo riconosciuto il nostro valore sociale, ma ci sentiamo usati ancora una volta come capro espiatorio, a causa di controlli carenti nel far rispettare regole, che prima di inasprire sarebbero da far rispettare.

Ci sfibra l’incertezza e ci demotiva l’instabilità, in un’insensata gara all’untore, e allora lo vogliamo dire con forza. Non siamo noi i responsabili della curva dei contagi. Noi non siamo il problema. Possiamo e vogliamo essere parte della soluzione. “Siamo a terra”, ma non ci arrendiamo ne abbiamo intenzione di farlo. Lo diciamo con il pensiero che va agli amici e colleghi hanno chiuso definitivamente e a quelli che si sono tolti la vita o hanno perso la voglia di viverla, a cui va il nostro rispetto. Oggi siamo in 24 piazze anche per loro, per dire a tutti voi e a tutti noi che un’altra strada è possibile. Anche per loro, noi ci vogliamo rialzare.

Insieme, per quel senso di solidarietà che da sempre appartiene al nostro settore e che oggi attraversa le piazze di tutta Italia. Insieme, con dignità, anche seduti per terra. Con la mascherina e il distanziamento. Con il silenzio assordante di un settore che non ha più fiato ma ha ancora una voce: quella di Fipe, che con serietà, impegno e lavoro cerca di rappresentare le aspettative, le esigenze e i valori - economici, sociali, culturali, antropologici - del settore. Gli indennizzi al settore sono un atto dovuto, non una misura compensativa: nulla può compensare la negazione del diritto al lavoro. Queste misure sono necessarie per rimetterci in piedi. Chiediamo con forza che si renda giustizia ad un settore che oggi è sì a terra, ma che vuole tornare a correre sulle sue gambe. Lo chiediamo per la storia delle nostre imprese, per il presente delle nostre famiglie, ma soprattutto per il futuro dei nostri giovani, delle nostre città e del nostro Paese.

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