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“Rosa”, il vino nuovo dell'Italia I 6 consorzi parlano la stessa lingua

di Marco Di Giovanni
 
11 giugno 2019 | 10:59

“Rosa”, il vino nuovo dell'Italia I 6 consorzi parlano la stessa lingua

di Marco Di Giovanni
11 giugno 2019 | 10:59
 

Dal boom di presenze a Italia in Rosa alla carta d'identità del Chiaretto grazie alle analisi del Centro del Rosé francese fino al work in progress di Rosautoctono: il colore “Rosa” si svecchia, acquisisce un nuovo significato e vuole entrare nelle carte dei ristoranti e nei gusti degli italiani.

Il punto della situazione è stato fatto durante il convegno di Italia in Rosa, manifestazione dedicata ai rosati d'Italia andata in scena questo weekend appena trascorso lungo le sponde del lago di Garda, parte bresciana (precisamente a Moniga). Alta l'affluenza, tanti i curiosi che non vogliono solo assaggiare ma comprendere, in aumento i giovani che si affacciano al vino dal nuovo colore. Ma dietro le quinte? Tre i macrotemi che meritano, visti i risultati raggiunti, di smuovere le coscienze dei tanti wine lovers sparsi per il Belpaese.

I numeri di Italia in Rosa (Il Rosa non è solo un colore Uniti, i consorzi vincono la partita)
I numeri di Italia in Rosa

Durante il convegno, che ha visto la consegna del tanto ambito Trofeo Pompeo Molmenti alla cantina Antica Corte ai Ronchi, primo argomento affrontato è quello di Rosautoctono, che ben si può definire con le parole di Franco Cristoforetti «un filo rosa che unisce tutta l'Italia, da Nord a Sud». Si tratta di un Consorzio di "secondo livello" che raggruppa in sé le denominazioni produttrici di rosé di qualità, vale a dire Consorzio Valtènesi e Bardolino sul lago di Garda, il Cerasuolo in Abruzzo, Castel del Monte e Salice Salentino in Puglia e Cirò in Calabria (si attende, con grandi speranze, l'ingresso nel prossimo anno anche dell'Etna).

Alessandro Luzzago, Franco Cristoforetti, Nathalie Pouzalgues e Gilles Masson (Il Rosa non è solo un colore Uniti, i consorzi vincono la partita)
Alessandro Luzzago, Franco Cristoforetti, Nathalie Pouzalgues e Gilles Masson

«Dopo aver valorizzato la nostra identità - ha detto il presidente del Consorzio Valtènesi Alessandro Luzzago - abbiamo deciso di aprirci al confronto con altre realtà, cercavamo di stimolare qualcosa che oggi con Rosautoctono può concretizzarsi». Questo qualcosa può essere riassunto nelle parole "orgoglio rosa": «Utilizzare il termine "Rosa" per il nome dell'istituto - ha proseguito Cristoforetti - serve a comunicare la tradizione e la dignità di un prodotto e dei territori che da sempre lo tramandano. La nostra forza sta nel comunicare la diversità di vini rosa da Nord a Sud, che però oggi parlano la stessa lingua». A questo proposito, una meditata degustazione per conoscere le sfumature di rosa lungo il Belpaese ha messo in luce le peculiarità di ogni consorzio - presenti, oltre ai due presidenti dei rispettivi consorzi gardesani e al direttore Valtènesi Carlo Alberto Panont, anche Luigi Cataldi Madonna per l'Abruzzo (da assaggiare il suo Cataldino, frutto della tesi della figlia, futura generazione a prendere in mano l'azienda) e il presidente della Doc Cirò e Melissa Raffaele Librandi per il Cirò (clicca qui per scoprire i vini di Librandi).

Certo, il mercato in questo non aiuta: l'Italia (a seconda dell'annata) è tra la seconda e la terza posizione nella classifica mondiale di produzione di vino rosato, ma è addirittura sotto la media mondiale per quanto riguarda il consumo - una media che si attesta intorno al 10%, con l'Italia fanalino di coda tra il 5,5% e il 6% e una Francia che domina incontrastata intorno a un 34%. In una situazione del genere, sapendo che l'export è un problema secondario perché «per essere credibili lontano da casa, dobbiamo esserlo prima di tutto a casa nostra», Cristoforetti sceglie di vedere la prospettiva più rosea: «C'è una prateria davanti a noi, uno spazio di crescita che possiamo conquistare, perché la qualità c'è».

A proposito di qualità... Più di 20 cantine del Consorzio Valtènesi hanno inviato negli ultimi cinque anni campioni di Chiaretto di propria produzione al Centro del Rosé, in Francia. Qui sono state condotte analisi sul colore, sull'aspetto chimico e sensoriale del vino, con lo scopo di rispondere a una precisa domanda: qual è il miglior esempio di Valtènesi? Come descriverlo? Lo scopo è stato quindi dare un'identità al territorio. Gilles Masson e Nathalie Pouzalgues, rispettivamente direttore ed enologo del Centro del Rosé, sono intervenuti al convegno durante Italia in Rosa per portare davanti a produttori e stampa i risultati di queste analisi: un vino di buona maturità, un colore rosa leggermente fioco e una quantità zuccherina di circa 4-5 grammi. Questi primi indicatori sono un passo avanti importante, determinano la carta d'identità di un vino che nel tempo si sta sempre più affermando sul territorio nazionale (e non). Ciò che manca è un linguaggio comune per descrivere l'analisi sensoriale, ed ecco che Valtènesi è pronta ad affrontare anche questo importante step.

Gianluca Folì (Il Rosa non è solo un colore Uniti, i consorzi vincono la partita)
Gianluca Folì

A chiudere le ultime novità del rosato italiano - in questo caso di Valtènesi, padrone di casa in occasione di Italia in Rosa - c'è la nuova immagine del consorzio, realizzata dall'illustratore Gianluca Folì. «Il lavoro di un illustratore è trasformare in immagine un concetto che il cliente non riesce ad esprimere». Folì "c'ha preso in pieno"! Rinfrescare l'immagine di un Consorzio senza puntare su "banalità" come il lago e le montagne che lo circondano, ma rendendo protagonisti gli uomini che questo territorio e il suo vino li vivono quotidianamente: «Ho cercato di interpretare ognuno di questi personaggi come se conoscessi le loro attività, la loro storia. Partendo da qui ho voluto concentrarmi su uno scambio reciproco, quello tra il territorio e le persone che lo lavorano, cogliendo il momento in cui il territorio viene plasmato dalle persone e il momento in cui il territorio è capace di plasmare coloro che lo lavorano. Per fare tutto questo... Ho usato il rosa».



Un rosa che continua a tornare, su cui si punta tutto. Un rosa protagonista anche nella cena realizzata per l'occasione da Carlo Bresciani, patron dell'Antica Cascina San Zago. Dopo un aperitivo gardesano tra tartare di manzo, tartellette al salmone affumicato e altre sfioziosità in abbinamento ai Chiaretti del Consorzio, si inizia con una Terrina di coregone (pesce tipico del lago) con pomodorini confit all'olio Casaliva (di produzione del Castello di Puegnago, sede del Consorzio) e foglie di menta.



A seguire un Risottino mantecato agli agrumi del Garda (anche qui il territorio la fa da padrone) e latticello di burrata; Trancetto di baccalà (un gusto semplice, delicato, ideale per valorizzare i sentori dei Chiaretti dei diversi produttori) in crosta di patate e salvia con salsa gardesana, tagliatelle di verdure e crema di patate violette; infine, a chiudere, una Tartelletta croccante con cremoso agli agrumi e cedro candito.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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