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A lezione da Luigi Moio I suoi vini tra tecnica e passione

di Alberto Santini
 
14 dicembre 2017 | 12:16

A lezione da Luigi Moio I suoi vini tra tecnica e passione

di Alberto Santini
14 dicembre 2017 | 12:16
 

Luigi Moio è fondatore dell’azienda di famiglia Quintodecimo a Mirabella Eclano (Av). Il nome dell’azienda deriva dalla ex colonia romana Quintum decimum perché distante esattamente 15 miglia dall’antica Benevento.

Lui si può considerare uno dei massimi esperti-professionisti di vino in Italia. È professore ordinario di Enologia all’Università degli Studi di Napoli, presidente della Commissione di Enologia dell’Oiv (l’Organization international de la vigne), accademico dei Georgofili e dell'Accademia italiana della vite e del vino, e da più di vent'anni si occupa degli aspetti sensoriali, biochimici e tecnologici dell'aroma del vino.

Roberta Agnelli e Luigi Moio (A lezione da Luigi Moio I suoi vini tra tecnica e passione)
Roberta Agnelli e Luigi Moio

Recente l’uscita del suo ultimo libro “Il respiro del vino” con il quale ha voluto “parlare” delle percezioni sensoriali e dei profumi del vino, in modo semplice ma diretto, ad una più vasta scala di appassionati di enologia e non solo ad una platea di tecnici ed esperti. Ma per inquadrare in modo migliore la figura del professor Luigi Moio, dobbiamo inserirlo e collocarlo nel contesto dove meglio si esprime, la vigna.

L’opportunità di conoscere questa importante realtà vinicola campana è stata la serata organizzata dall’Ais di Bergamo, regia Roberta Agnelli, che ha avuto come sfondo il Relais & Chateaux Da Vittorio dei fratelli Cerea, presso il ristorante la Cantalupa a Brusaporto. A fare da garante Pietro Pellegrini, patron della famosa azienda distributrice e grossista di vini, ma soprattutto grande amico di Luigi Moio.

(A lezione da Luigi Moio I suoi vini tra tecnica e passione)

Più che un winemaker, Moio ama definirsi un “enologo superconsigliere del vino”. Lasciata l’azienda di famiglia a 13 anni, coltiva la passione dei degli odori e dei sapori del vino dedicando il suo interesse ai laboratori di analisi sensoriali in Francia dove vi trascorre 4 anni, dal 1990 al 1994. Anni importanti perché li passa in Borgogna, dove impara a conoscere la vigna e l’importanza del terroir. «Si fanno tanti vini buoni nel mondo ma solo in alcune parti del mondo si fanno grandi vini, solo dove la vigna si trova in sintonia con il terreno la vite darà la sua massima espressione in un grappolo dal perfetto equilibrio», sentenzia il professore con grande fervore e passione.

Terroir che Luigi Moio è estremamente convinto si possa trovare in molti posti anche in Italia, Paese straordinario per il suo variegato contesto pedoclimatico; terroir che Moio ha trovato in Irpinia e nei suoi areali di 30 ettari, dove si esprime al meglio il connubio tra clima, vigna e lavoro dell’uomo. Inizia cosi il suo progetto, il sogno di una vita: «La volontà di essere enologo di me stesso con la libertà di fare e vivere il vino a mio modo».

(A lezione da Luigi Moio I suoi vini tra tecnica e passione)

Il sogno si realizza nel 2001, anno in cui nasce l’azienda con l’acquisto dei primi terreni, ubicati in un’area particolarmente vocata dell’Irpinia, a circa 80 km da Napoli, in colline a circa 460-500 metri d’altitudine, con terreni argillosi, vulcanici, particolarmente poveri e quindi adatti a far soffrire la vite per poi farla rendere al meglio. Il clima, essendo i poderi sulla dorsale appenninica, è particolarmente piovoso, con forti escursioni termiche, inverni rigidi e nevosi (almeno una volta l’anno nevica) ed estati miti. L’azienda ruota introno alla casa di famiglia, attorniata, simile ai contesti dei Chateau Bordeaux, dai suoi terreni, gli areali, veri e propri cru di ogni vino.

L’azienda campana produce 3 vini rossi e 3 vini bianchi, i primi tutti a vitigno Aglianico simbolo del territorio, mentre i secondi sono composti da un trio di vitigni autoctoni che hanno trovato qui la loro massima espressione, il Fiano di Avellino, il Greco di Tufo e il Falanghina Irpinia, tutti prodotti in purezza monovitigno. E sono proprio i bianchi a farla da padrone nella degustazione che inizia con il Via Del Campo 2016 Doc Falanghinia Irpinia, dal gusto piacevole e dal buon profumo. Il vino, che rievoca nel titolo la nota poesia in canzone di De André, è di un giallo luminoso, vivace, presenta profumi di frutta verde ed esotica, con un finale in bocca leggermente tostato, derivante anche dai 10 mesi di affinamento in barriques di rovere francese.  

(A lezione da Luigi Moio I suoi vini tra tecnica e passione)

A seguire viene servito il Fiano di Avellino Exultet 2016 Docg, dal colore giallo paglierino con riflessi verdolini, un vino corposo che al naso denota profumi floreali e sentori di camomilla, mentre in bocca ricorda la frutta gialla, pesca e nocciole ed un finale decisamente fresco, acido. Un vino di struttura anch’esso fatto riposare in piccole botti di rovere.
Come abbiamo sempre detto non c’è vino senza cibo ed ecco che entra in gioco la grande cucina dei fratelli Cerea con l’antipasto di Filetto di Rombo dorato su letto di porri e caviale d’aringa che anticipa uno dei piatti forti della cucina stellata made in Bergamo: i Paccheri alla Vittorio, che vede arrivare direttamente in sala Roberto Cerea con la sorella Rossella, uniti a preparare il piatto davanti ai commensali. In accompagnamento il Greco di Tufo Giallo D’Arles 2016 Docg, decisamente più strutturato dei primi due, potremmo definirlo un rosso travestito da bianco. Si tratta di un cru prodotto con le uve provenienti dall’omonima vigna che si trova a Tufo, nel cuore della denominazione; il colore si presenta giallo paglierino intenso, al naso prevalgono i sentori di albicocca mentre al palato esplode tutta la sua potenza nelle note di freschezza e persistenza. Un’opera d’arte, non a caso il nome della vigna prende spunto dalle celebri opere del grande Van Gogh.

E lo conferma anche lo stesso Luigi Moio, il vino deve essere un progetto estetico a 360 gradi perché il vino deve essere non solo buono ma soprattutto bello e raffinato, deve essere essenza come lo era Van Gogh, intercala la delegata Ais Roberta Agnelli. E il vino deve comunicare e far sentire di sé come i quadri, un vino che non profuma e non comunica, non dice nulla, è morto.

(A lezione da Luigi Moio I suoi vini tra tecnica e passione)

Chiusa la batteria dei bianchi degustiamo l’unico rosso presente alla serata, il Terra D’Eclano 2015 Doc Aglianico Irpinia, vino 100% Aglianico in purezza e proveniente da 5 vigneti diversi. Vino giovane i cui profumi ricordano i frutti rossi, la violetta e il coriandolo, mentre in bocca entra morbido con un tannino leggero che solletica il palato, denotando una complessità ma, data l’assenza di astringenza, non esuberanza, favorendo la persistenza gusto olfattiva, dovuta anche al passaggio in barriques di rovere da 225 l. Un vino che esprime tutta la sua gioventù con il quale si assapora l’alba per poi aspettarsi, tra qualche anno, un bellissimo tramonto fatto di sapori e profumi della piena maturazione.

L’abbinamento culinario è perfetto ed in piena sintonia nord-sud: Guancialino di vitello con polenta e verdure. A chiudere il classico Panettone alla Vittorio con crema Chantilly servito con un Moscato D’Asti Docg 2017 Cascina Galletto.
La serata è stata ricca di passione ed emozione, quell’emozione che solo un produttore che parla del suo vino sa dare e regalare. Lo si avverte nel modo in cui si esprime Luigi Moio, didattico ma semplice, diretto ma appassionato, quando ricorda che fu spinto a fare vino anche dal grande maestro Luigi Veronelli.

Il vino come armonia nella sua totale bellezza, nella perfezione degli acini del grappolo, dove la qualità deve prevalere sulla quantità, produrre meno per produrre meglio, nell’ottica che non tutto ciò che è presente nell’uva serve a fare vino, ma bisogna estrarne il meglio... Less is more!

Per informazioni: www.quintodecimo.it

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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