Nell’ultimo dei quattro week-end della “ottobrata 2025” si è svolto a Zafferana Etnea (Ct) “L’Etna e il Canavese: comunità e vino”, un convegno con degustazione tecnica sui due territori vinicoli, che punta a definire un asset strategico fra Etna e Piemonte (nei due anni scorsi è stato fatto riferimento al Barolo e al Barbaresco).

“L’Etna e il Canavese: comunità e vino” si è tenuto a Zafferana Etnea
Identità e dialogo tra territori
Custodire l’identità dei luoghi è quello che viene effettuato nelle terre in cui si coltiva con successo la vite, ottenendo risultati sempre più ragguardevoli: dialogare fra produttori, enologi ed esperti di due territori serve sempre a migliorare la suscettività culturale necessaria all’ulteriore miglioramento. Con la conduzione di Salvo Ogniben, che ha voluto ricordare che fa parte della cultura del territorio anche la sua capacità di tenerlo pulito (nella zona di Menfi, dove il 40% del territorio è vitato, non c’è un solo sacchetto di immondizia per strada), sono seguiti i saluti del sindaco Salvatore Russo; quindi si sono susseguiti i contributi del suddetto dialogo.
Etna e Canavese: un dialogo aperto
Ha preso subito la parola Mauri Cutuli dell’azienda Grottafumata, ispiratore di questa iniziativa, con la convinzione di trovare nel Piemonte un valido benchmark. Gualtiero Onore, dell’azienda Nuove Tradizioni, in rappresentanza dei Giovani Vignaioli Canavesani, associazione che riunisce oltre venti aziende vitivinicole tra le province di Torino, Biella e Vercelli, ha evidenziato l’esistenza di punti di connessione fra Nebbiolo e Nerello Mascalese, varietà con analoga storia evolutiva, fondata sulle Persone.

Etna e Canavese in un dialogo aperto
Oggi, una nuova generazione richiede la giusta attenzione, per la capacità di fondere decisioni sulla grande tradizione esistente con una rinnovata competenza tecnica, frutto di studi specialistici, con l’obiettivo di innovare coltivazione, produzione, mercati e comunicazione, pur restando in un contesto “tradizionale” sia in Piemonte che in Sicilia.
Il tessuto culturale dell’Etna
Antonio Tomaselli di Confagricoltura Catania ha sottolineato come il fattore più rilevante del fenomeno enologico etneo sia il “tessuto culturale” necessario allo sviluppo: occorre investire tempo, energie e intelligenza, anche su strumenti comunicativi più moderni, evitando sterili concorrenze. Matteo Gallello, cronista e direttore editoriale della rivista Bromio, ha dichiarato: «Un territorio interessante fatica a esprimere la propria identità se resta ancorato alla sola quotidianità, privo di una visione più ampia. Coltivare un vigneto significa restare, prendersi cura della terra e delle relazioni che la attraversano». Restare in una comunità diventa così un atto critico e consapevole, capace di generare cambiamento, a patto che chi lavora la vigna si riconosca come custode del tempo e dello spazio che abita.

Alla fine dell’incontro si è svolta una degustazione tecnica dei vini etnei
L’identità come mutazione della tradizione, anche nella produzione del vino, richiede una preparazione culturale: curare l’orgoglio del fare, ma anche la capacità di scoprirne di nuove, con umiltà, confronto e saggezza, evitando opportunismi sterili. Il futuro vede la costruzione del territorio attraverso buone pratiche agricole e buoni praticanti agricoli, con sensibilità anche scientifica.
La degustazione tecnica
Alla fine dell’incontro si è svolta una degustazione tecnica dei vini etnei di Biondi, Grottafumata, Giuseppe Lazzaro, Pietrardita e altri piccoli produttori artigianali etnei, e dei vini canavesi di Monte Maletto, Nuove Tradizioni, Eporedia e Vigneti Aloi.