Asahi Super Dry Birra giapponese da cucine top

È la super premium più venduta nei Paesi del Sol Levante che sta conquistando anche il panorama birrario italiano grazie alla sua caratteristica “Super Dry” (gusto secco)

20 agosto 2019 | 18:15
Un concetto, quello di Karakuchi che racchiude un pensiero più ampio risalente al lontano 1987, quando Asahi Super Dry è stata prodotta per la prima volta in Giappone, definendo nuovi standard produttivi pensati per creare un gusto pulito, secco e rinfrescante in grado di pulire il palato ed essere perfettamente abbinato con il cibo giapponese ma anche con la più raffinata cucina internazionale. Queste particolari caratteristiche hanno decretato il successo internazionale di Asahi Super Dry in tutto il mondo, e anche in Italia, dove è stata apprezzata sin da subito da un popolo sempre attento all'eccellenza, alla qualità e allo stile.


La birra giapponese che sta conquistando l'Italia

Asahi Super Dry continua il suo percorso nel mondo del fine dining italiano: dopo aver conquistato, tra gli altri, gli chef stellati Michelin del calibro di Marco Martini, Giancarlo Morelli (socio Euro-Toques) e Yoji Tokuyoshi, la birra giapponese è sempre più presente nelle cucine italiane di fama internazionale orgogliose di poter rappresentare e raccontare questa birra agli italiani.

Con lo chef Matias Perdomo, una stella Michelin, del ristorante Contraste di Milano si aggiunge un nuovo tassello al percorso che porta Asahi Super Dry nella fascia dell’alta ristorazione italiana. Lo chef nel corso dell’evento del 16 luglio presso il suo ristorante Contraste ha sposato appieno le caratteristiche del gusto Karakuchi, creando per la serata un menu ad hoc alla scoperta di questo gusto.
 
La giusta collocazione del prodotto in una fascia di ristorazione alta permette di scoprire al meglio il concetto giapponese di “Karakuchi”. Infatti, la birra Asahi Super Dry mette in risalto le caratteristiche dei piatti stellati dell’alta cucina italiana, oltre che di quella orientale, grazie al suo gusto pulito e secco.

Per la produzione il Gruppo Asahi ha scelto lo stabilimento Birra Peroni di Padova che fornisce tutta Europa. Lo stabilimento è dotato dei più elevati standard tecnologici e qualitativi necessari alla produzione di questa birra, rispettandone l’autentica e super segreta ricetta giapponese. Infatti, per ottenere il gusto così straordinario del prodotto, viene riposta un'estrema cura del dettaglio in ogni fase del processo di birrificazione. Asahi Super Dry ha infatti un metodo di produzione innovativo che comprende una meticolosa selezione degli ingredienti, un processo di lunga fermentazione, la microfiltrazione e la non pastorizzazione. Quest’ultima avviene attraverso il processo "na-ma", che ne conserva la freschezza, permettendo alla birra di ottenere il retrogusto netto e pulito che la contraddistingue.

Infatti, il gusto unico della birra numero uno in Giappone è il risultato della filosofia orientale del Kaizèn applicata al processo produttivo: spirito innovativo, cura del dettaglio e miglioramento continuo volto alla ricerca dell'eccellenza e della perfezione del gusto. Un mix perfetto di tradizione e innovazione nel rispetto dell'autentica ricetta giapponese che dà vita ad una birra unica nel suo genere, grazie proprio alla sua capacità di pulire nettamente il palato e non sovrastare il sapore dei cibi.
 
«Siamo orgogliosi di aver portato Asahi Super Dry oltre i confini della birra - sostiene Michela Di Pasquale, Asahi Super Dry brand manager - sdoganando anche in Italia il suo gusto Karakuchi, che la contraddistingue nel mercato delle birre internazionali. In questi anni abbiamo contribuito a lanciare anche in Italia un trend che arriva direttamente dal Giappone, dove la birra diventa davvero parte integrante dell’alta ristorazione in abbinamento ai piatti del nostro Paese. Vogliamo che Asahi Super Dry non sia semplicemente una birra, ma rappresenti per il consumatore una vera e propria esperienza multi-sensoriale e, tramite l’abbinamento con il cibo, porti la degustazione ad un livello superiore».

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Alberto Lupini


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