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La sala non è morta: siamo noi che l’abbiamo lasciata marcire

Gabriele Bianchi, sommelier e consulente, smonta alibi e vecchie liturgie: la sala non è un ripiego, ma il cuore economico del ristorante. Tra mobbing, formazione inesistente e nuovi linguaggi, propone una rivoluzioneche mette in crisi tutti. Anche gli chef. Con coraggio e pragmatismo ridefinisce il valore della sala nella ristorazione

di Tommaso Gipponi
Redattore
20 novembre 2025 | 05:00
La sala non è morta: siamo noi che l’abbiamo lasciata marcire
La sala non è morta: siamo noi che l’abbiamo lasciata marcire

La sala non è morta: siamo noi che l’abbiamo lasciata marcire

Gabriele Bianchi, sommelier e consulente, smonta alibi e vecchie liturgie: la sala non è un ripiego, ma il cuore economico del ristorante. Tra mobbing, formazione inesistente e nuovi linguaggi, propone una rivoluzioneche mette in crisi tutti. Anche gli chef. Con coraggio e pragmatismo ridefinisce il valore della sala nella ristorazione

di Tommaso Gipponi
Redattore
20 novembre 2025 | 05:00
 

C’è una verità scomoda che nessuno in ristorazione vuole davvero sentire: la sala non è in crisi perché i giovani “non hanno voglia”. È in crisi perché l’abbiamo trattata come l’ultimo anello della catena. Poi arriva uno come Gabriele Bianchi - sommelier, consulente, uno che non ha certo paura di dire ciò che pensa - e ti sbatte in faccia l’equazione che nessuno ha il coraggio di pronunciare: chi porta i soldi non è la cucina. È la sala. Il resto è rumore: stipendi bassi, contratti, orari, chef-star. Tutte foglie di fico. Se il servizio è crollato è perché abbiamo insegnato per vent’anni che “conta solo il piatto”. E adesso che il cliente vuole essere ascoltato, seguito, coccolato… surprise: non sappiamo più farlo.

La sala non è morta: siamo noi che l’abbiamo lasciata marcire

Il lavoro in sala è spesso sottovalutato, mentre per Gabiele Bianchi è centrale nelle fortune di un‘attività ristorativa

La sala non è il problema: siamo noi ad averla uccisa

Nel mondo contemporaneo dell’ospitalità e della ristorazione di alto livello, la figura del sommelier e del professionista di sala continua a essere centrale, ma anche attraversata da sfide e incertezze. Lo conferma Gabriele Bianchi, sommelier riconosciuto a livello nazionale e consulente per alcuni dei più importanti ristoranti italiani, che da anni porta avanti una riflessione critica sul ruolo del servizio.

«Nel 2019, quando ho vinto il concorso Emergente Sala, ci raccontavamo sempre le stesse cose di oggi», osserva Bianchi. «La situazione del personale di sala non è migliorata. Si parla sempre di stipendio o contratto, ma ci sono problemi più profondi, radicati nella base». La carenza di personale, secondo Bianchi, nasce da un tema culturale prima ancora che economico. Una percezione distorta che continua a svalutare un mestiere ad alta specializzazione, nonostante un mercato che, dopo la pandemia, mostra una richiesta crescente di accoglienza di qualità.

Perché mancano camerieri? Non per gli stipendi: per la cultura sbagliata

Da questa analisi nasce il nuovo progetto dell’autore: il Manuale di sopravvivenza per la ristorazione, di prossima uscita, un libro che racconta storie reali e motivazioni autentiche del perchè le persone scelgono di lasciare la sala. «È un inno al ritorno al mestiere», spiega. «Ma soprattutto vuole elencare le problematiche che spingono tanti ragazzi ad abbandonarlo e offrire un metodo per far funzionare davvero un ristorante. Ho voluto raccontare il mio metodo di formazione e il modo in cui vivo l’accoglienza, perché la sala deve tornare a essere un luogo di crescita e di competenze».

“Chi porta i soldi è la sala”: la verità che nessuno vuole dire

Per Bianchi, infatti, la chiave sta nella professionalità e nella consapevolezza: «Purtroppo ci siamo scordati che chi vende è la sala, non la cucina. Negli ultimi vent’anni lo chef è diventato protagonista assoluto, ma il valore economico di un locale passa dal servizio».

La sala non è morta: siamo noi che l’abbiamo lasciata marcire

Per Gabriele Bianchi, in un ristorante chi vende realmente è la sala, non la cucina

Il mobbing invisibile che spinge via i giovani

Da questo concetto Bianchi affronta anche il mobbing, tra le principali criticità del mondo sala. Un fenomeno spesso taciuto, ma più diffuso di quanto si creda. «Mi scrivono persone che hanno paura di parlare», racconta Bianchi, sottolineando come l’assenza di tutele e la mancanza di cultura manageriale possano spegnere le ambizioni dei giovani. Lo stesso accade in molti ristoranti, dove il ricambio generazionale fatica a imporsi e dove la figura del cameriere non viene ancora riconosciuta come strategica. Per l’esperto, invece, la sala genera valore e ribadisce: «Chi porta i guadagni in azienda? Il maître. Bisogna ricominciare da qui, qualificare il personale e non smettere mai di studiare». La formazione aziendale, tuttavia, resta ancora un miraggio per molti.

Il metodo Bianchi: la nuova accoglienza che trasforma ristoranti e hotel

Attraverso la sua società Gabriele Bianchi Hospitality Management, il sommelier porta avanti servizi di consulenza, formazione e posizionamento professionale dedicati all’ospitalità di fascia alta. Dalle pizzerie ai bistrot, fino ai ristoranti gourmet e agli hotel luxury, l’obiettivo è costruire un metodo personalizzato per migliorare la resa della sala.

«La mia azienda lavora solo sull’accoglienza», racconta. «Dopo il 2020 ho visto un incremento enorme da parte degli imprenditori: oggi la coccola vale più dell’estetica del piatto. Il cliente vuole essere seguito, ascoltato, sorpreso». Non mancano proposte di direzione fissa in vari ristoranti, ma Bianchi preferisce concentrarsi sul proprio progetto imprenditoriale: «Ho raggiunto i 30 anni e voglio costruire qualcosa di mio. La consulenza mi permette di vedere più stili di servizio e aiutare realtà molto diverse tra loro».

Il cambiamento del gusto: vini naturali, tradizione e nuovi consumatori

Nel dialogo con i clienti emergono anche i profondi cambiamenti del consumo di vino. Secondo Bianchi, il dibattito tra vini naturali e vini tradizionali è spesso esasperato: «Si sta facendo un campanilismo che non ha senso. Ci sono cantine che lavorano in naturale da sempre, senza etichette o slogan».

La sala non è morta: siamo noi che l’abbiamo lasciata marcire

Secondo Bianchi, il dibattito tra vini naturali e vini tradizionali è spesso esasperato

Per il sommelier, il punto centrale è il mutamento del pubblico: «Il giovane oggi preferisce un cocktail in piedi a un bicchiere di vino. È cambiata la comunicazione, è cambiata la cultura domestica, non c’è più la bottiglia sulla tavola dei nonni. Bisogna partire da qui». Nonostante i cambiamenti, il criterio rimane uno: «Un vino naturale buono e un tradizionale buono possono convivere. Il vino naturale si fa in campo, quello tradizionale in cantina. Ma ciò che conta è che sia buono».

Abbinamenti fuori schema: tè, tisane e fermentati come leva creativa

Tra i tratti distintivi del lavoro di Bianchi c’è lo studio degli abbinamenti con tè, tisane e fermentati, ambito per cui è stato premiato come Miglior Food Pairing 2022. «Cercavo un modo per dare più valore alla figura del sommelier, che spesso viene percepita come separata dalla brigata di sala. Ho iniziato a pensare: perché non cucinare liquidi?». L’idea nasce quindi dalla volontà di ampliare le possibilità del pairing tradizionale: «Il mondo del tè ha molti più sentori del vino, circa 150mila. Con una giusta acidità e una buona tecnica si possono creare abbinamenti sorprendenti».

La sala non è morta: siamo noi che l’abbiamo lasciata marcire

Tra i tratti distintivi del lavoro di Bianchi c’è lo studio degli abbinamenti con tè, tisane e fermentati

Esempi concreti non mancano: «Un piccione cotto a bassa temperatura accompagnato da un tè nero che riprende il fondo di cottura è un abbinamento vincente. Oppure i tè Pu-erh, che esaltano note vegetali intense e aprono strade nuove al gusto».

Dalla consulenza alla psicologia: la sala come mestiere ad alta complessità

Per Bianchi, l’innovazione del servizio passa attraverso la psicologia e la sorpresa: «La mia sala ideale è molto psicologica. Mi piace giocare con le aspettative dell’ospite, creare emozioni anche in ambienti dove non se le aspetta». Tra i suoi riferimenti cita Daniel Humm e David Guidara, pionieri della ristorazione “di sorpresa” a New York. «Oggi bisogna concentrarsi sui valori, sulla predisposizione al pubblico e sulla conoscenza. Quando manca la conoscenza, tentando di fare qualcosa in più si finisce per fare qualcosa in meno. Semplificare è più difficile che complicare. Ci mette un secondo a fare qualcosa di complesso, ma servono anni per far funzionare la semplicità».

La tendenza attuale? Il ritorno del servizio davanti al cliente. «Piccole sorprese fanno la differenza. Anche portare una crema di caffè montata al momento può trasformare un gesto semplice in un’esperienza».

Social, linguaggi e reputazione: comunicare la sala senza pietismi

Oltre alla consulenza, Bianchi investe molto nella comunicazione digitale. «Comunicare sui social è fondamentale, ma va fatto con consapevolezza. Il troppo stroppia». Per il professionista, i social servono soprattutto a raccontare la cultura della sala: «Dobbiamo far capire che il cameriere non è un servitore che porta il piatto. È una figura colta, formata, che parla lingue straniere. A volte più degli chef stessi».

Formazione nella sala: competenze chiave e nuove esigenze del settore hospitality

Nel mondo dell’ospitalità la formazione continua rappresenta un pilastro essenziale. Gabriele Bianchi sottolinea come «la comunicazione, insieme alla formazione e alla consulenza, sia al centro della mia attività, perché è attraverso i clienti che posso portare un nuovo modo di vedere la sala». L’obiettivo è condividere un approccio innovativo con chi lavora ogni giorno nel servizio, valorizzando la professione del sommelier e del cameriere.

La sala non è morta: siamo noi che l’abbiamo lasciata marcire

Il cameriere è una figura colta, formata, che parla lingue straniere, e i social possono aiutare a comunicare proprio questo

Da anni Bianchi collabora con la Rai, contribuendo a portare le figure di sala in contesti televisivi che raramente le hanno raccontate. «È difficile emergere, perché la cucina attira più attenzione, ma stiamo cercando di sdoganare la sala anche sul piccolo schermo», evidenzia. Le recenti registrazioni per programmi come la “Volta Buona” di Caterina Balivo hanno acceso un faro sugli abbinamenti e sulla narrazione del servizio.

L’academy digitale Mise en Plus: il progetto che può spostare l’ago

Il percorso di formazione passa ora anche attraverso strumenti digitali. A marzo 2026 debutterà Mise en Plus, la prima academy online interamente dedicata alla sala, un progetto che vuole colmare un vuoto evidente nel panorama italiano. Bianchi spiega che «oggi non esiste ancora un’accademia al 100% online sulla sala, e questo è il momento di cambiare le regole». La piattaforma offrirà videocorsi sviluppati da professionisti del settore, integrati da un kit di strumenti per ogni studente e percorsi di inserimento lavorativo.

Perché la formazione alberghiera non funziona più

Le difficoltà nel reperire personale qualificato affondano le radici anche all’interno del sistema scolastico. Bianchi visita ogni anno oltre 80 istituti alberghieri con il progetto “Rivoluzione Sala”. L'osservazione è netta: «Il giovane vuole lavorare, ma deve essere messo nelle condizioni di farlo bene. Programmi ministeriali obsoleti, risorse ridotte e mancanza di un vero collegamento con il mondo del lavoro contribuiscono alla disaffezione verso le professioni di sala».

In alcune scuole, racconta, il budget per la pratica è di appena due euro per alunno: troppo poco per offrire strumenti adeguati. È una falla che si riflette poi nel mercato del lavoro, dove vecchie logiche possono ostacolare i talenti più giovani.

Divise, immagine e dignità: basta sembrare camerieri degli anni ’90

Un altro tema centrale è quello della divisa nella ristorazione. Bianchi ha collaborato con Casa della Divisa di Senigallia per una collezione che rompe gli schemi tradizionali. «La sala va sdoganata, non possiamo essere sempre iperimpostati. Oggi servono divise più aperte, più casual, più moderne». L’obiettivo è costruire un’immagine professionale coerente con l’evoluzione del settore, in cui estetica e funzionalità si incontrano.

La sala non è morta: siamo noi che l’abbiamo lasciata marcire

La divisa è molto importante nel lavoro di sala, secondo Gabriele Bianchi

Il ruolo della stampa e la narrazione del mestiere

Bianchi richiama anche la responsabilità della stampa di settore. Secondo lui, «se raccontiamo solo il negativo, non daremo mai speranza ai giovani». Servono storie di rinascita, esperienze positive e una comunicazione che dia dignità al lavoro di sala. Solo così sarà possibile restituire attrattività a un mestiere che, nelle sue parole, «dovrebbe essere il più bello del mondo».

La sala non è morta: siamo noi che l’abbiamo lasciata marcire

Per Gabriele Bianchi la sala ha bisogno di una comunicazione positiva

La sala come cuore strategico della ristorazione del futuro

La verità è semplice e fa male: finché la sala resterà un mestiere raccontato solo quando fa scandalo, nessuno vorrà farlo. Bianchi ci mette davanti allo specchio: formazione, metodo, psicologia, divise, linguaggi. Il punto non è salvare la sala. Il punto è salvare la ristorazione. Perché - che piaccia o no - un piatto buono lo fanno in tanti. Un servizio che ti resta addosso, quasi nessuno.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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