Mangiare bene non significa vivere di rinunce. Ma quanto spazio possiamo concedere ai piaceri del palato senza mandare all’aria equilibrio e salute? È una domanda che, secondo il biologo nutrizionista Luca Avoledo, arriva spesso in studio: da chi sta seguendo un piano dimagrante e da chi, semplicemente, vuole mantenersi in forma. «La risposta breve è sì: un pasto libero si può fare - spiega. La risposta completa, quella che conta davvero, è che in media il pasto libero è uno solo alla settimana». Un pranzo o una cena più rilassati, insomma, rientrano nella normalità di un’alimentazione equilibrata. Anzi, aggiunge Avoledo, «nei momenti di maggior socialità, come le vacanze o le feste, si può arrivare anche a due, se non ci sono condizioni di salute che richiedano prudenza». Il punto non è vietare, ma dare un senso alle eccezioni.

Pasto libero, non settimana libera: cosa insegna la nutrizione
Un pasto libero non significa una settimana senza regole
Un errore diffuso è pensare che un pasto libero equivalga a una settimana senza regole. Non è così: si tratta di un intervallo dentro una struttura ordinata, non di un lasciapassare per ricorrere ogni giorno a dolci, fritti o bicchieri di vino extra. «Se ogni giorno c’è solo un piccolo sgarro, la somma non è più piccola: diventa un’abitudine» ricorda il nutrizionista. Ed è proprio la differenza tra abitudini e eccezioni a determinare il risultato nel tempo. Quando la base alimentare è solida - pasti bilanciati, porzioni adeguate, zuccheri ridotti e verdure a ogni portata - un pasto libero diventa anche un alleato psicologico. Aiuta a rilassarsi, attenua la tensione del controllo costante e rende più sostenibile il percorso. Ma se la settimana è già confusa, lo “sgarro” aggiunge solo caos: rallenta il metabolismo, aumenta l’infiammazione e manda al corpo un messaggio sbagliato, quello di non sapersi più autoregolare.
Il metabolismo cambia: ciò che prima funzionava non basta più
C’è poi un aspetto che spesso si sottovaluta: l’età. Fino ai trent’anni il metabolismo perdona di più, la massa muscolare è maggiore e l’attività fisica viene naturale. Col tempo, però, la tolleranza cala: «Quello che una volta non mi faceva niente comincia a farsi sentire» racconta Avoledo. È il segnale che l’organismo non gestisce più gli eccessi con la stessa efficienza: digestione più lenta, gonfiore, glicemia e colesterolo in salita, fegato affaticato. «Continuare a mangiare come prima diventa un errore di prospettiva: non siamo più quelli di prima e la biologia ce lo ricorda ogni giorno». In questo senso, la libertà alimentare non significa mangiare di tutto senza limiti, ma sapere quando e come concederselo. «La vera libertà - sottolinea Avoledo - nasce dall’autoregolazione. Una settimana ben gestita può accogliere un pasto libero senza danni, una settimana disordinata trasforma quel pasto nell’ennesima scusa».
Equilibrio e consapevolezza: la chiave per godersi il piacere
La chiave, allora, è semplice: concedersi un momento di piacere, ma con consapevolezza. Non serve esagerare o fare scorta di tutto ciò che si è evitato nei giorni precedenti. Meglio scegliere un piatto che ci piace davvero - una pizza ben fatta, un dolce artigianale, un calice di vino - e gustarlo con calma, senza sensi di colpa, ma nemmeno con l’idea di “recuperare” poi. Come ricorda Avoledo, «non serve essere perfetti, serve essere costanti». È questa la vera forma di equilibrio: un modo di mangiare che non punisce, ma accompagna.