La vitamina K è una protagonista silenziosa dell’alimentazione: non ha l’aura pop della vitamina C, né la narrativa modaiola di D o B12, ma senza di lei funzioni vitali come la coagulazione del sangue e la salute delle ossa semplicemente non esisterebbero. È presente in molti ingredienti comuni della nostra cucina - soprattutto nei vegetali a foglia verde - e una parte viene prodotta dal microbiota intestinale, ma il nostro organismo non è in grado di conservarla. È una vitamina idrosolubile, e come tale va reintegrata quotidianamente con l’alimentazione, in un equilibrio che spesso diamo per scontato finché non si rompe.

Cosa sapere sulla vitamina K
Perché la vitamina K è così importante
Il suo ruolo più immediato, come riportano gli esperti di Humanitas Salute, è quello nella coagulazione: la vitamina K attiva una serie di proteine che permettono all’organismo di arrestare un’emorragia, un processo che funziona in modo impeccabile finché questa vitamina resta presente in quantità adeguate. Ma l’altra metà della sua importanza si gioca sulle ossa. Qui la vitamina K interviene nel metabolismo di proteine fondamentali per mantenere densità e struttura del tessuto osseo, motivo per cui una sua carenza prolungata può contribuire a osteoporosi, fratture e forme degenerative come l’artrosi.
Dove si trova e perché le carenze sono rare
Le fonti alimentari sono principalmente vegetali: spinaci, cavoli, cime di rapa, lattuga e pomodori. Il fegato ne contiene quantità significative, mentre l’intestino ne produce una quota grazie alla microflora. Il fabbisogno medio è di circa un milligrammo per ogni chilogrammo di peso corporeo al giorno, una soglia che una dieta equilibrata copre con relativa facilità. Le carenze, infatti, non sono comuni: compaiono quasi esclusivamente in presenza di disturbi che limitano l’assorbimento intestinale o dopo terapie antibiotiche prolungate che alterano la flora batterica. I segnali più evidenti riguardano la coagulazione - sanguinamenti anomali, tempi di cicatrizzazione più lunghi - mentre nei casi più avanzati emerge una fragilità ossea crescente.
Tre forme, un’unica funzione chiave
A rendere il quadro più articolato c’è la distinzione tra tre forme di vitamina K. La K1, o fillochinone, è quella presente nei vegetali ed è strettamente legata alla coagulazione. La K2, o menachinone, è prodotta dai batteri intestinali ed è particolarmente attiva nel metabolismo osseo. La K3, o menadione, è invece una forma sintetica utilizzata in ambito medico per modulare la coagulazione. Gli eccessi, in ogni caso, sono rari: negli adulti possono provocare vomito, anemia, vampate o - in casi estremi - trombosi; nei neonati un sovradosaggio di integratori può generare sintomi simili all’itterizia.