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domenica 28 dicembre 2025  | aggiornato alle 20:49 | 116537 articoli pubblicati

Mostarda italiana: perché non c’entra nulla con la moutarde (o senape) francese

La mostarda italiana unisce storia, frutta e senape, attraversando secoli di evoluzione, con varietà regionali uniche e abbinamenti moderni che spaziano dal bollito ai piatti gourmet più creativi e aromatici

 
28 dicembre 2025 | 18:30

Mostarda italiana: perché non c’entra nulla con la moutarde (o senape) francese

La mostarda italiana unisce storia, frutta e senape, attraversando secoli di evoluzione, con varietà regionali uniche e abbinamenti moderni che spaziano dal bollito ai piatti gourmet più creativi e aromatici

28 dicembre 2025 | 18:30
 

Profumata, piccante, dolce. La mostarda è uno di quei condimenti che sfidano il tempo e le mode, sempre uguale a se stessa e sempre sorprendente. Nata per non sprecare nulla, oggi conquista cucine stellate e palati curiosi, anche se resta un prodotto che divide: c’è chi la ama alla follia e chi continua a non capirla. Eppure, dietro quel vasetto che compare immancabilmente vicino al bollito misto durante le cene natalizie, si nasconde una storia affascinante che attraversa Medioevo, Rinascimento e rivoluzioni gastronomiche moderne.

Mostarda italiana: perché non c’entra nulla con la moutarde (o senape) francese

La mostarda, un condimento profumato, piccante e dolce allo stesso tempo

Per cominciare, una precisazione necessaria: la mostarda italiana non ha nulla a che vedere con la senape francese. L’equivoco linguistico è antico e resistente, soprattutto al Sud, dove “mostarda” è spesso sinonimo di moutarde. L’origine del termine, però, è la stessa: mustum ardens, “mosto ardente”, cioè piccante. In origine, infatti, si usava il mosto d’uva insieme ai semi di senape per conservare la frutta. Poi la ricetta si è evoluta e il prodotto ha preso una direzione tutta italiana.

Dal Medioevo all’Ottocento: evoluzione e diffusione

Le prime testimonianze della mostarda risalgono al Trecento e al Quattrocento: primo documento ufficiale che la descrive in modo inequivocabile è del 1397: un ordine di “uno zebro grande de mostarda de fructa cum la senavra” commissionato dal cancelliere di Giangaleazzo Visconti. Nel Rinascimento, soprattutto a Cremona, la mostarda diventa un piccolo lusso da intenditori. Diplomazia e gastronomia si intrecciano: cronache dell’epoca raccontano di doni ufficiali che includevano vasetti di mostarda cremonese, considerata una specialità locale di grande pregio. Nel Cinquecento la ricetta si stabilizza: non più semplice conserva domestica ma prodotto riconoscibile, con tecniche via via più raffinate.

Mostarda italiana: perché non c’entra nulla con la moutarde (o senape) francese

La mostarda cremonese

La svolta vera arriva nell’Ottocento. Nel 1836 Enea Sperlari apre la sua bottega nel cuore di Cremona, specializzata in “torrone e altri dolciumi”, e intuisce una possibilità: applicare le tecniche della canditura industriale a una ricetta che fino ad allora era rimasta casalinga. È il passaggio decisivo. La mostarda si standardizza, perde la variabilità familiare, diventa un prodotto identitario.

Le diverse tipologie regionali di mostarda in Italia

Oggi l’Italia custodisce una straordinaria costellazione di mostarde, ognuna con una personalità precisa. La cremonese resta la più celebre, con la sua frutta intera - pere, ciliegie, fichi, mandarini - immersa in uno sciroppo lucido e pungente. A Mantova cambia tutto: protagoniste sono le mele campanine, piccole, acidule, spesso affiancate da pere cotogne, per una conserva più essenziale, quasi austera.

In Veneto, la mostarda vicentina diventa cremosa: mele cotogne e pere veneziane frullate fino a ottenere una pasta vellutata, arricchita solo alla fine da qualche cubetto di frutta candita. In Piemonte cambia persino il nome: la cognà, con il suo sapore di mosto cotto e frutta autunnale, è la più dolce del gruppo. E poi c’è un’Italia meridionale dove “mostarda” significa tutt’altro: conserve di mosto cotto, fichi, noci, senza traccia di senape, accomunate alla versione padana solo da un nome antico e dalla funzione di accompagnamento.

Negli ultimi anni, la mostarda non è più relegata al ruolo di comprimaria del bollito natalizio. Gli chef la usano per dare un guizzo aromatico a piatti complessi, compaiono abbinamenti audaci - con pesci affumicati, crostacei, formaggi erborinati - e non mancano incursioni nella pasticceria.

Regole? Non ce ne sono. Come accade per i vini, ogni mostarda ha il suo abbinamento ideale: le versioni più dolci trovano equilibrio accanto ai formaggi stagionati, quelle più piccanti si sposano con carni delicate, quelle agli agrumi illuminano perfino un carpaccio di pesce.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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