Se da un lato l’isola di Pantelleria, a sud della Sicilia, chiede riconoscimenti internazionali per i suoi olivi striscianti, dall’altro ora deve fronteggiare un’emergenza che rischia di privare l’isola di uno dei suoi simboli gastronomici: la produzione del cappero Igp. Anche quest’estate, infatti, le aziende agricole locali hanno lanciato l’allarme per la mancanza di manodopera nella raccolta dei boccioli.
Il cappero di Pantelleria rischia di scomparire
La presidente della Cooperativa capperi di Pantelleria, Emanuela Bonomo, non ha utilizzato giri di parole: «Nei prossimi anni la produzione del prodotto simbolo dell’isola potrebbe scomparire perché mancano i raccoglitori». Parole che pesano, perché i numeri raccontano già un trend preoccupante. Nel 2022 la cooperativa aveva registrato 61,73 tonnellate di prodotto certificato, scese a 40,812 tonnellate l’anno successivo. Nel 2024 il dato si è leggermente rialzato, fermandosi comunque a 47,550 tonnellate.

La coltivazione di capperi a Pantelleria
«Abbiamo assistito a una drastica riduzione dei capperi conferiti alla nostra cooperativa - spiega Bonomo - e andando avanti così rischiamo di far scomparire una tradizione secolare per la nostra isola». Il problema, però, non riguarda soltanto i coltivatori, bensì l’intera filiera gastronomica è in bilico. Chef e ristoratori, in Italia e all’estero, rischiano di dover rinunciare a un ingrediente che non ha sostituti. Il cappero di Pantelleria non è infatti un cappero qualunque, ma un prodotto con caratteristiche uniche, che lo rendono protagonista della cucina mediterranea, dalla puttanesca al pesto pantesco, passando per le pizze napoletane e siciliane.
La (difficile) raccolta del cappero di Pantelleria
Per capire la portata dell’allarme bisogna entrare nel cuore del problema: la raccolta. È un lavoro duro, che non attrae i giovani e che costringe i raccoglitori a piegarsi per ore su piante basse, tenute così per resistere al vento dell’isola. Non basta la forza fisica: serve manualità, delicatezza, esperienza. Ecco perché da sempre la raccolta è considerata un’attività in cui le donne hanno un ruolo centrale. I turni iniziano nel cuore della notte, attorno alle tre e mezza, e si protraggono fino a metà mattina, quando il caldo rende impossibile continuare.

Una pianta di capperi
Per ogni chilo di capperi raccolti quest’anno i lavoratori hanno ricevuto 13,50 euro, ma la fatica e le condizioni rendono il mestiere poco appetibile. Ricordiamo, poi, che non è la prima volta che Pantelleria si trova davanti a questa sfida. Agli inizi degli anni Novanta, a garantire la sopravvivenza della raccolta furono alcuni operai romeni che, arrivati sull’isola per apprendere l’arte della costruzione dei muretti a secco, si dedicarono anche ai capperi. Oggi quella manodopera è venuta meno, e la comunità agricola pantesca deve cercare nuove soluzioni.
La storia del cappero di Pantelleria
Per capire perché valga la pena difendere questa coltivazione basta guardare più da vicino cos’è il cappero di Pantelleria Igp (riconoscimento ottenuto nel 1996). Si tratta del bocciolo fiorale della pianta Capparis spinosa L., varietà inermis, cultivar Nocellara. Il terreno vulcanico, povero d’acqua ma ricco di minerali, ne esalta l’intensità aromatica e la presenza di glucocapparina, sostanza che conferisce al prodotto quel sapore deciso che lo distingue da tutti gli altri. Dopo la raccolta i capperi sono disposti in tini con sale marino grosso, rimescolati quotidianamente e sottoposti a un doppio ciclo di salatura che ne garantisce la maturazione e la conservazione naturale.
L’aspetto è inconfondibile: globoso, di colore verde tendente al senape, con un odore pungente e un gusto tipicamente salato e aromatico. Un cappero che, se conservato correttamente sotto sale, può durare anche anni senza perdere le sue qualità organolettiche. Prima di essere consumato, basta sciacquarlo e liberarlo del sale in eccesso. In cucina è un ingrediente poliedrico: accompagna piatti di pesce, insalate, carni e pasta. È protagonista della tradizione mediterranea, ma anche delle tavole d’autore, ed è apprezzato per le sue proprietà digestive e toniche.

Il colore del cappero di Pantelleria è un verde tendente al senape
Il legame tra Pantelleria e i capperi è antico. Già Greci e Latini li conoscevano per le proprietà culinarie e medicinali, e persino la Bibbia cita le virtù afrodisiache della pianta. Nel Cinquecento Domenico Romoli, detto Panunto, scriveva nel suo trattato che «quei che mangeranno non hauran dolore di milza, ne di fegato [...] son contrari alla melanchonia». Nell’Ottocento, Pietro Calcara sottolineava sul Giornale della Commissione d’Agricoltura e Pastorizia in Sicilia il valore economico e sociale del cappero per la comunità pantesca. Da allora la coltivazione non ha fatto che rafforzarsi, fino a superare, per importanza, perfino la viticoltura locale.
Il cappero fa i conti con la scarsità di braccia
Oggi però quella storia rischia di spezzarsi. L’isola che ha fatto del cappero un emblema della propria identità deve fare i conti con la scarsità di braccia. Se non si troveranno soluzioni concrete per garantire la raccolta, la prospettiva paventata da Bonomo non appare così lontana: vedere scomparire, insieme a un prodotto unico, un pezzo fondamentale della cultura agricola mediterranea.